Manca una settimana alla prima udienza del processo ai componenti della Commissione Grandi Rischi, accusati di omicidio colposo plurimo e lesioni per la vicenda del terremoto di L’Aquila del 6 aprile 2009, e la rivista americana Nature ha dedicato la sua copertina di questa settimana proprio a quell’evento, raccontando all’interno “come la popolazione si è sentita tradita dalla scienza” in un articolo molto approfondito di Stephen S. Hall intitolato “Colpevoli?“.
Nell’articolo, l’autore ha dato la parola a tutti i protagonisti: gli imputati, fra i quali l’ex presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica (Ingv), Enzo Boschi, la pubblica accusa, i ricercatori. Nessun dubbio, naturalmente, sul fatto che prevedere un terremoto sia impossibile alla luce delle conoscenze scientifiche attuali. La questione, secondo Nature e gli esperti internazionali ai quali ha dato spazio in un lungo articolo, è piuttosto come debba essere comunicato ai cittadini il rischio di un terremoto, così come quello di altre catastrofi naturali come tsunami, alluvioni e uragani.
Questa vicenda “costringerà i sismologi di tutto il mondo a ripensare il modo in cui descrivono la bassa probabilità di eventi ad alto rischio“, osserva su Nature Thomas Jordan, direttore del Centro terremoti dell’Università della California a Los Angeles e presidente della Commissione Internazionale sulla Previsione dei Terremoti (Icef). Comunicazioni così delicate, ha aggiunto, “devono essere fatte bene, e all’Aquila non è stato fatto”.
E’ stata una situazione indubbiamente difficile, quella nella quale si è trovata a comunicare la Commissione Grandi Rischi dopo la riunone del 31 marzo 2009 , complicata in gran parte dalle tensioni generate dalle voci allarmistiche sollevate nei giorni precedenti da Giampaolo Giuliani, presentato da Nature come “un tecnico di laboratorio“. I suoi risultati sono giudicati “insoddisfacenti” nell’articolo, che riporta i dati dell’Icef: Giuliani “non ha ancora pubblicato un singolo articolo sul radon che abbia superato l’analisi dei revisori“, ossia la cosiddetta peer-review (revisione fra pari) che garantisce la legittimità di un lavoro scientifico.
Inoltre quella riunione della Commissione Grandi Rischi, si legge nell’articolo di Nature, era avvenuta in modo anomalo: le sessioni avvengono di solito a porte chiuse, ma in quell’occasione ”Boschi era rimasto sorpreso nel vedere decine di governanti locali e altre persone esterne alla comunità scientifica assistere alla riunione, durata circa un’ora, nella quale i sei scienziati si sono trovati ad affrontare un’ondata di timori da parte della popolazione locale”.
Ovviamente le risposte degli esperti dell’Ingv non si sono fatte attendere. A partire dal neo-presidente dell’istituto, Domenico Giardini, che ha spiegato che i ricercatori hanno il dovere di esporre le tante incertezze delle quali è disseminato il loro lavoro, così come tradurre queste informazioni in comunicazioni rivolte ai cittadini è compito delle autorità. Giardini non è voluto entrare nel merito della vicenda del terremoto di L’Aquila, ma ha parlato del problema generale di come esporre alla popolazione del rischio di un terremoto. “E’ un tema di estrema delicatezza“, ha detto il sismologo alla vigilia del suo insediamento alla presidenza dell’Ingv. “In generale il problema della comunicazione del rischio sismico pone due problematiche: da un lato i ricercatori parlano linguaggi diversi; dall’altro è quasi impossibile comunicare il rischio relativo a eventi rari“. Per esempio, prosegue, “è noto che tanti terremoti avvenuti nella storia, ma si pensa sempre che avvengano altrove“. Ma l’Italia, rileva, è un Paese sensibile ai terremoti, tanto che “il terremoto dell’Aquila non è stato un evento raro, non c’erano particolari dubbi che potesse accadere. L’area infatti è ad alto rischio“. Il problema, secondo Giardini, è “come un sismologo deve agire quando si deve passare dall’informazione scientifica all’informazione rivolta alla Protezione Civile. Questa ha bisogno di informazioni chiare, con un margine di incertezza minimo o nullo, ma nel mondo scientifico il margine di incertezza è enorme“. Si pone allora il problema di come tradurre questa comunicazione così difficile: “si tratta di trasferire l’incertezza verso una chiara indicazione da parte della Protezione civile: questo è davvero molto difficile“. I ricercatori, aggiunge, “hanno il dovere di riferire le conoscenze scientifiche e in Italia questo compito è dell’Ingv, ma non per questioni che riguardano la protezione Civile“. E’ tuttavia “un problema che esiste ovunque: èè sempre molto difficile distinguere chi ha la responsabilità di dire che cosa” e di “tradurre conoscenze che hanno un margine di incertezza in affermazioni che richiedono una risposta che sia un si o un no, come quelle relative all’evacuazione di un centro abitato. Se questa incertezza deve essere comunicata, questo deve essere fatto dalle autorità preposte“.
Anche il direttore del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca sociale dell’Università La Sapienza di Roma, Mario Morcellini s’è schierato dalla parte dei tecnici Italiani giudicando “non condivisibile” l’analisi di Nature. “E’ sorprendente – ha detto – che tale articolo venga pubblicato proprio nell’imminenza dell’avvio del processo che coinvolge i componenti della Commissione Grandi Rischi. Adesso è troppo facile dire che in quell’occasione bisognava ‘comunicare bene’, soprattutto perchè, come si riscontra anche nell’articolo, i terremoti non sono scientificamente prevedibili“. In generale, secondo Morcellini, ciò che la rivista scientifica avrebbe dovuto spiegare, “così come insegna la letteratura scientifica in caso di emergenza, è che il primo obiettivo di un operatore pubblico è ridurre l’ansia collettiva e il panico“. Il punto, osserva, è che in occasione del terremoto all’Aquila “si è determinato un problema al livello dei mezzi stessi di comunicazione: c’è stato cioè un ritardo nella tempestività delle notizie, con le radio locali che, nell’era della multimedialità, sono state le prime a comunicare ciò che stava accadendo“. Andrebbe inoltre approfondita l’analisi sul come i messaggi sono stati veicolati: “Nell’emergenza sono infatti due – afferma Morcellini – i mezzi cui ci si affida: la tv ed i rapporti interpersonali. E va sottolineato che la percezione del rischio non è tanto dovuta ad un eventuale messaggio iniziale, quanto al modo in cui sono rielaborati i messaggi veicolati dalla tv. Perciò i messaggi nelle emergenze dovrebbero essere iper-semplificati. Comunque quella pubblicata da Nature appare un’analisi piuttosto gracile di una tematica elaborata; un’analisi un pò sommaria e ‘per tesi’, come se il giudizio finale fosse già fissato in partenza“. Insomma, conclude l’esperto di comunicazione, “un giornalismo che si trasforma nella Corte dei Conti rischia, anche nel caso del giornalismo scientifico, di non essere un buon giornalismo“.
Dalle pagine di Nature il sismologo dell’Ingv, Giulio Selvaggi, fra gli indagati della Commissione Grandi Rischi, rileva che “il ruolo della scienza è fornire le informazioni sul rischio“, ma che “il ruolo dei decisori è prendere atto di queste informazioni, così come di altre, per prendere decisioni per il bene comune“.
Rende bene l’indeterminatezza di ogni tentativo di previsione l’osservazione di un altro sismologo dell’Ingv, Alessandro Amato: quando avverrà un altro terremoto, questo “potrebbe forse essere preceduto da avvisaglie (che comunque non sapremo interpretare), ma più probabilmente non lo sarà“. Perciò, rileva, “il punto principale è la riduzione graduale del rischio, con interventi per ridurre la vulnerabilita’ dei fabbricati“. E per questo motivo bisogna “prepararsi nel tempo, informarsi su cosa dobbiamo aspettarci nella zona in cui viviamo, sapere cosa fare, intervenire sulle nostre abitazioni e luoghi di scuola e lavoro. Pensare che qualcuno ci darà l’allerta poco prima potrebbe distogliere l’attenzione dalla prevenzione sarebbe un errore“.
In Abruzzo la terra aveva tremato per mesi a causa di uno sciame sismico cominciato nell’ottobre 2008 e proseguito per tutti i primi mesi del 2009: scosse alle quali la popolazione ormai si era abituata, in una zona ad alto rischio sismico. Ma gradualmente la paura si era fatta strada e poi era esplosa, innescando un caos di comunicazioni confuse e contraddittorie sui media locali e tra la gente, con il passaparola. Ad accelerare i timori era arrivato, per esempio, l’allarme di Giampaolo Giuliani, enfatizzato da tv, giornali, notiziari sul web. Il 30 marzo, una scossa di magnitudo 4.0 ha fatto impennare ulteriormente le paure. E alle paure dei cittadini si era trovata a rispondere, l’indomani, la Commissione Grandi Rischi. Il risultato era stato un messaggio rassicurante sulla scarsa probabilità che a L’Aquila si sarebbe verificato un terremoto analogo a quello devastante del 1703. “Non c’e’ nessun motivo per cui si possa dire che una sequenza di scosse di bassa magnitudo possa essere considerata precursore di un forte evento“, diceva Franco Barberi, presidente vicario della Commissione. Alle 3.32 del 6 aprile 2009 una scossa di magnitudo 5,9 richter provocò a L’Aquila e nel circondario centinaia di crolli che causarono la morte di 308 persone e il ferimento di altre 1.600.
L’inchiesta della procura della repubblica de L’Aquila sui crolli porta, il 25 maggio 2011, al rinvio a giudizio per sette componenti della Commissione Grandi Rischi. Secondo la tesi dell’accusa, i componenti della Commissione hanno dato una valutazione approssimativa allo sciame in atto da mesi nell’Aquilano e hanno fornito, in particolare subito dopo la riunione, cinque giorni prima del sisma, informazioni sommarie e comunque devianti perchè hanno rassicurato la popolazione che invece, messa al corrente dei rischi, avrebbe potuto attuare precauzioni e comportamenti diversi.
La prima udienza è fissata per il 20 settembre.
Dopotutto, come abbiamo già scritto in quest’articolo del 31 maggio, più che concentrarsi sulle mancate previsioni sismiche, i giudici avrebbero potuto pensare di approfondire il filone edilizio, in quanto le costruzioni sismiche possono sopportare senza alcun problema terremoti anche molto più forti di quello di L’Aquila e, quindi, se si fosse costruito in modo corretto, tutti sarebbero stati tranquilli anche in caso di sisma e non si sarebbe proprio posto il problema della sua eventuale previsione scientifica.
Lo sciame sismico di questi giorni nel Parmense, o quello di poche settimane fa nel Montefeltro, possono essere considerati similia quello dell’Abruzzo tra 2008 e 2009, ma sappiamo bene che eventi così ce ne sono molto spesso in Italia (basti pensare ai Nebrodi, tra giugno e luglio!) ma solo raramente scaturiscono poi in scosse più violente.