Dati alla mano, con la tremenda alluvione lampo che lo scorso martedi ha sommerso di fango, tronchi d’albero e detriti, i paesi delle Cinque Terre, parte dello spezzino e la Lunigiana, siamo saliti a quota 76. Dal 1990 ad oggi molte aree del nostro paese sono state devastate da ben 76 “Flash Flood”, ossia alluvioni lampo dagli esiti a dir poco devastanti. L’elenco è lunghissimo, ma nessuna regione può restare esente dal rischio idrogeologico, che molto spesso, sia al sud come al nord (dagli Iblei alle Alpi la storia è sempre la stessa anche se sono in pochi ad ammetterlo), viene accresciuto dall’abusivismo edilizio e dalla cementificazione di impluvi e zone limitrofe agli scorrimenti fluviali (letti e foci di bacini idrografici). Anche uno studio del professor, Giampiero Maracchi, direttore dell’Istituto di Biometeorologia (IBIMET) del Consiglio Nazionale delle Ricerche, mette in evidenza l’esponenziale crescita del numero e della frequenza di questi eventi alluvionali negli ultimi 10-15 anni. Se pensiamo che con la recentissima alluvione ligure-toscana si contano ben 76 alluvioni lampo, nel periodo compreso fra 1990 e il 2011, c’è poco da stare allegri. I dati sono eloquenti e dimostrano come l’Italia, ma più in generale questo discorso lo possiamo estendere al resto del Mediterraneo (da Gibilterra alla Turchia e alle coste di Israele), diventa molto spesso sede di questi fenomeni calamitosi che nel giro di poche ti scaricano botte di 300-400 mm di pioggia in appena 4-5 ore di precipitazioni temporalesche scroscianti. L’abbiamo visto con la tragica alluvione di Giampilieri e Scaletta Zanclea (nel messinese) del 1 Ottobre 2009, con le dimenticate inondazioni che hanno sconvolto l’Ogliastra e il cagliaritano, negli anni passati, lasciando dietro di se una gigantesca scia di morti e distruzioni, con paesi interi letteralmente cancellati e resi inagibili per sempre. Ma storie simili si sono viste pure in Calabria, in Campania, nelle Marche, in Toscana e nelle fasce pedemontane alpine e prealpine. Quasi sempre i “Flash Flood” made in Italy vengono prodotti dalla formazione dei temibili sistemi temporaleschi a mesoscala che assumono caratteristiche autorigeneranti,con la classica forma a “V”, divenendo stazionari su una medesima area per diverse ore fino a quando non si rompe l’equilibrio “termico-dinamico” che lo tiene in vita.
La Liguria era già recidiva; solo l’anno scorso un’altra grave alluvione lampo flagellò il savonese e il ponente di Genova con oltre 400 mm in meno di 12 ore.Ma nell’Ottobre 1970 si fece la storia con i 950 mm di Bolzaneto in appena 24 ore
Tra le regioni messe in evidenza sicuramente la Liguria è una delle più direttamente esposte alle alluvioni lampo, visto la particolare orografia che degrada rapidamente a mare e la diretta esposizione ai flussi caldi e molto umidi, quindi ricchi di vapore acqueo, di provenienza sciroccale o libecciale. Solo il 4 Ottobre dello scorso anno un grave evento alluvionale, con una batteria di piogge torrenziali portate da un sistema di temporali autorigenerante a “V”, flagellò i comuni del Savonese e del ponente genovese, concentrando la propria forza su un angolo molto ristretto di territorio, complici le correnti favorevoli, una conformazione orografica in grado di enfatizzare questo tipo di fenomenologia ed una situazione sinottica poco evolutiva che ha bloccato i nubifragi sulla stessa area per più ore. Anche allora si registrarono le scene simili viste in questi giorni tra i comuni delle Cinque Terre e la Lunigiana, con centri abitati trasformati in campi di battaglia, come dopo un bombardamento aereo. Solo che allora l’enorme mole di precipitazione portata dai temporali autorigeneranti pre-frontali si concentrò in poco più di 6 ore, riuscendo a scaricare fino a 411 mm nella stazione di Monte Gazzo, nel genovese, e 377 mm nella stazione di Genova Pegli. Nel savonese il dato più importante fu quello di Piampaludo che fece circa 294 mm. Anche allora all’inizio si parlo di un evento eccezionale, quasi senza precedenti. Ma se prendiamo in esame i “Flash Flood” documentati negli ultimi 60 anni nel territorio ligure vediamo che solo nella città di Genova, in questi decenni, si sono verificati cinque eventi simili o anche più intensi (altro che catastrofici), avvenuti precisamente nel 1953, nel 1970, nel 1977, nel 1992 e nel 1993. Nessuno ancora può dimenticare gli effetti dell’apocalittica alluvione del 7 e 8 Ottobre del 1970, una delle peggiori mai viste in Italia a memoria d’uomo, quando la città della lanterna fu investita da uno Tsunami di fango e acqua. Storico il dato della stazione amatoriale di Genova Bolzaneto che fra il 7 e l’8 Ottobre 1970 registrò, in appena 24 ore, un accumulo impressionante di ben 950 mm d’acqua. Questo dato tuttora vanta il record assoluto del più cospicuo accumulo pluviometrico nelle 24 ore mai registrato in ambito nazionale e forse anche europeo.
Rimanendo sempre alla Liguria, in tema di alluvioni, bisogna tenere presente l’effetto determinante della forzatura orografica dell’Appennino ligure che rappresenta una barriera che produce un sollevamento forzato dell’aria umida accatastata nei bassi strati dalle umidissime correnti di scirocco e ostro che dal Tirreno risalgono fino alla Versilia e alle coste della Riviera di Levante e del genovese. Questa azione, già di per se, attiva forti moti ascensionali che portano le masse d’aria umida, di genere marittima, a sollevarsi di quota e raffreddarsi, favorendo la condensazione del vapore acqueo e la successiva formazione di grosse nubi e “cumulogenesi” che dal mare vanno ad impattare contro i primi rilievi del retroterra ligure, venendo poi frenati dalla roccaforte appenninica presente alle spalle della costa. Ciò consente il continuo sviluppo di nuvole a sviluppo verticale che rimangono semi/stazionarie in loco, crescendo ulteriormente in altezza e dimensione, grazie al calore latente fornito dal mar Ligure, fino a raggiungere lo status di “cellula temporalesca marittima” o “sistema temporalesco organizzato a multicella”, con la classica forma a “V” dell’autorigenerante, spesso all’origine di questi immani disastri. Se poi aggiungiamo la presenza o l’attivazione di particolari “linee di convergenza” di vento nei bassi strati o in quota, con lo scontro fra gli umidi venti di Scirocco e Ostro che risalgono sul levante ligure contro quelli più freddi di Tramontana che dalla pianura Padana traboccano sulle coste liguri attraverso le valli interne del genovese e savonese (cosa che capita spesso in Liguria con i fronti atlantici), il rischio di grandi eventi precipitativi è a portata di mano. Diventa però più difficile individuare, per tempo, i luoghi pronti ad essere funestati dai temporali autorigeneranti killer e soprattutto prevedere fino a quanto tempo potrà durare l’equilibrio dinamico che mantiene l’area di convergenza, li dove i cumulonembi temporaleschi trovano il loro ambiente ideale per nutrirsi e rinforzarsi, fino ad invecchiare con il successivo passaggio sui rilievi del vicino retroterra, dove viene meno l’alimentazione umida marittima.