Una significativa perturbazione ha interessato la fascia di territorio compresa tra le alte valli dell’Alcantara e la zona di Milazzo, orientata quasi sud nord, per diverse ore del giorno 22 novembre 2002. Una serie di cumulo nembi hanno inondato la superficie del suolo con precipitazioni piovose eccezionali che hanno superato i 350 mm in 12 ore (figure 1, 2 e 3).



E’ interessante osservare che la fascia percorsa dai cumulo nembi il 22 novembre scorso nella Sicilia nordorientale, di circa 440 kmq, ha dimensioni simili a quella interessata dall’alluvione del 25 ottobre tra le Cinque Terre e la Lunigiana, di circa 450 kmq (figure 4 e 5).
Come si vede nella figura 2 la fascia interessata dalle più abbondanti precipitazioni ha una larghezza media di circa 11 km e una lunghezza di circa 40 km e comprende i versanti ionici e tirrenici. Questi ultimi sono stati quelli più battuti dalle piogge. Come sostiene Daniele Ingemi, perturbazioni simili sono frequenti nell’area della Sicilia nordorientale.
Il percorso dei cumulo nembi ha interessato obliquamente le valli del versante ionico mentre ha avuto lo stesso orientamento dei bacini idrografici, da sud a nord, lungo il versante tirrenico. In particolare sono state investite dalle forti precipitazioni parti delle valli del Patrì (oltre 10.000 ettari di bacino idrografico) e del Mela (oltre 10,000 ettari) mentre ilbacino del Longano (circa 1800 ettari) è stato interessato interamente dalle maggiori precipitazioni piovose.
Il bacino del Longano si è trovato esattamente nella parte più piovosa della fascia per cui tutto il territorio per diverse ore è stato inondato complessivamente da oltre 300 mm di pioggia. L’asta torrentizia del Longano, lunga circa 10 km, per alcune ore ha dovuto smaltire acqua e detriti alimentati dal ruscellamento superficiale e da numerose colate di fango e detriti che hanno interessato i versanti collinari e montani contribuendo ad incrementare significativamente il trasporto solido anche con tronchi d’albero d’alto fusto.




I dissesti causati dall’evento alluvionale: i versanti e le fiumare non hanno retto
Durante il transito dei cumuli nembi la pioggia ha incessantemente martellato i versanti per cui potenti flussi di acqua e detriti si sono riversati negli alvei del Patrì, del Longano e del Mela causando repentine modificazioni dell’alveo.
Come accade da diversi anni, gran parte dei detriti grossolani si è accumulata lungo gli alvei torrentizi causando una ulteriore aggradazione del letto e locali esondazioni con distruzione di strade come accaduto lungo la valle del Patrì.
I versanti collinari e montani caratterizzati da un substrato ricoperto da uno strato di spessore variabile da circa 1 m ad alcuni metri di rocce alterate e suolo hanno alimentato numerose colate rapide di fango e detriti che hanno mobilizzato istantaneamente diverse decine di migliaia di metri cubi di detriti, suolo e vegetazione arborea.
Di seguito saranno descritti i fenomeni tipo costituiti dalla colata rapida di Scarcelli e dall’esondazione del Longano nell’abitato di Barcellona Pozzo di Gotto.
La colata rapida di Scarcelli, frazione di Saponara
Una colata rapida di fango ha causato tre vittime nell’abitato di Scarcelli, frazione di Saponara (figura 7). Tale dissesto ha le stesse caratteristiche di quelli verificatisi nell’area di Giampilieri e zone limitrofe il 1 ottobre 2009 quando la zona fu investita da oltre 200 mm di pioggia rilasciata da cumuli nembi, provenienti dallo Ionio, che si sono dissolti in corrispondenza dello spartiacque sui monti Peloritani.

Da un versante normalmente manotenuto con vegetazione arborea e piantagione di ulivi a monte delle abitazioni si è innescato un fenomeno franoso nella parte alta alla quota di circa 200 m s.l.m.. La zona d’innesco del versante è caratterizzata da un tratto a pendenza maggiore nella quale alcune decine di metri cubi di suolo e substrato alterato si sono distaccati dal substrato iniziando a scorrere verso valle. Come solitamente accade in terreni granulari siltoso-sabbiosi-argillosi molto imbibiti di acqua, il distacco determina la istantanea liquefazione dei sedimenti che passano dallo stato solido a quello liquido riversandosi rovinosamente lungo il versante. I sedimenti sottostanti in seguito all’impatto della massa liquefatta (ogni metro cubo pesa almeno 1500 kg/metro cubo) si sono a loro volta liquefatti andando ad incrementare l’originario volume di primo distacco. Il versante planare ha determinato lo scorrimento verso il basso del detrito di frana e il suo ampliamento progressivo. Con il meccanismo delle valanghe di neve il corpo di frana ha acquistato velocità ed incrementato notevolmente il suo volume fino all’impatto distruttivo con le prime costruzioni. Alcune sono state distrutte e altre danneggiate dal flusso fangoso detritico che si deposto in parte in corrispondenza delle prime case e in parte è defluito verso valle incanalandosi lungo le strade come fango e acqua fangosa con detriti e tronchi d’albero.



L’esondazione del torrente Longano a Barcellona Pozzo di Gotto
L’enorme volume di acqua e detriti affluito nell’alveo del torrente Longano ha determinato un rapido incremento della portata che si stima abbia superato i 500 mc/sec a Barcellona Pozzo di Gotto. Numerosi tronchi d’albero d’alto fusto hanno parzialmente occluso le luci dei viadotti e contribuito all’esondazione della fiumara, come evidenziato da vari video e come rappresentato nelle figure seguenti.


Protezione dei cittadini mediante un Sistema di Allarme Idrogeologico Immediato per la Sicilia nordorientale
Come si è verificato anche durante i recenti eventi alluvionali delle Cinque Terre-Lunigiana e di Genova gran parte dei cittadini e dei responsabili di istituzioni locali sono stati colti impreparati dall’evento del 22 novembre scorso. Si ripropongono alcune considerazioni elaborate in seguito all’analisi di quei fenomeni.
E’ evidente che l’attuale organizzazione pubblica che sovrintende alla protezione dell’ambiente naturale, antropizzato, urbanizzato e dei cittadini lascia ancora a desiderare per vari problemi, specialmente per quanto riguarda la difesa dei cittadini dalle piogge eccezionali rilasciate in tempo ristretto dai cumulo nembi.
E’ sempre il caso di sottolineare che le soluzioni valide per la sicurezza di tutti possono provenire da varie parti e da diverse persone dedite alla ricerca scientifica, funzionari pubblici o privati cittadini.
Non è detto che le soluzioni più valide possano essere fornite solo da impiegati delle istituzioni pubbliche (locali e centrali) che devono proteggere ambiente e cittadini.
Gli amministratori e i funzionari pubblici degli enti locali e nazionali preposti istituzionalmente alla difesa del territorio e dei cittadini hanno il “potere di individuare” le azioni da attuare, quindi la responsabilità delle catastrofi è in parte loro come pure sarà loro la responsabilità degli interventi che per l’ennesima volta dovrebbero garantire una maggiore sicurezza ambientale nel prossimo futuro.
Il primo appunto va fatto all’attuale organizzazione della Protezione Civile nel suo complesso che dovrebbe vigilare, dall’inizio alla fine, anche sugli eventi che stanno per scatenarsi come quelli idrogeologici.
Dopo le tante esperienze catastrofiche delle ultime decine di anni ci si aspettava che un evento come quello del 22 novembre 2011 avrebbe dovuto essere seguito dalle ore precedenti fino al suo acme fornendo adeguati avvertimenti ed allarmi con un preavviso variabile dalle ore alle decine di minuti quando i fenomeni piovosi hanno rivelato la loro potenza sui territori colpiti.
Ancora oggi, invece, abbiamo sperimentato che i territori devastati sono stati colti quasi di sorpresa e soprattutto , come evidenziano vari filmati, sono proprio i cittadini che non sono stati raggiunti dagli allarmi.
Sembra, poi, che gli allarmi locali siano stati deficitari e non coordinati nell’ambito dello stesso bacino idrografico e nei territori comunali confinanti.
Sulla base delle esperienze maturate con le ricerche geoambientali eseguite nelle aree devastate dagli eventi idrogeologici catastrofici degli ultimi 20 anni causati dal transito di cumulo nembi e soprattutto degli eventi dell’ottobre 2009 che hanno devastato il messinese, di Casamicciola del novembre 2009, di Mili San Pietro del marzo 2011, di Atrani del settembre 2010 e di San Gregorio Magno dell’ottobre 2011 abbiamo sollecitato le Istituzioni a migliorare i sistemi di protezione civile locali sostenendo che attualmente il territorio è indifeso dai micidiali meteo-serial-killer chiamati cumulo nembi che in poco tempo (alcune ore) possono rilasciare piogge torrenziali in grado di causare crisi idrogeologiche in qualsiasi territorio.
Questa tragica occasione ha fornito altri importanti elementi indispensabili per la messa a punto di semplici ed efficaci piani di protezione civile locale.
Subito dopo gli eventi catastrofici dell’ottobre 2009, durante il convegno “Alluvione di Messina – 01 ottobre 2009 – Contributi di studi ed idee per la salvaguardia e la protezione del territorio di Messina e provincia. Monitoraggio dei luoghi della calamità. Analisi tecnica e scenari di ricostruzione. Studi e proposte per il futuro” tenutosi presso l’Università di Messina, Facoltà di Ingegneria, Aula Magna Papardo, organizzato dal Collegio dei Geometri e Geometri laureati della Provincia di Messina sotto la direzione del Dott. Carmelo Citraro ed il coordinamento tecnico-scientifico dell’Arch. Giuseppe Aveni, Dirigente della Regione Siciliana, fu evidenziata la necessità di dotare il territorio della Sicilia nordorientale di una adeguata copertura di pluviometri a maglia stretta in grado di individuare in tempo reale quale fosse la fascia di territorio che stava per essere ulteriormente investita dalle precipitazioni eccezionali causate dal transito di cumulo nembi che frequentemente seguono un percorso dal versante ionico a quello tirrenico dei Peloritani.
Fu evidenziato che occorreva una sinergia nel monitoraggio tra le istituzioni statali, quelle regionali, provinciali e comunali in grado di seguire i fenomeni meteo durante il loro svolgimento mediante una previsione e un successivo rilevamento idrologico in tempo reale. L’elaborazione di scenari circa gli impatti prevedibili sul territorio, elaborati in base alle conoscenze geologiche, geomorfologiche e a quelle relative alle caratteristiche dell’ambiente naturale, antropizzato e urbanizzato avrebbero consentito agli operatori specializzati che avrebbero potuto seguire in una sala di regia coordinata e in tempo reale l’evoluzione dei fenomeni piovosi e individuare le fasce di territorio che sarebbero state maggiormente investite dalle piogge eccezionali. Tale monitoraggio in tempo reale avrebbe consentito di lanciare allarmi idrogeologici immediati in tempo utile per fare mettere al sicuro i cittadini dagli eventi alluvionali che si innescano di solito sulla superficie del suolo dei territori interessati dal transito dei cumulo nembi e dal conseguente rilascio di piogge eccezionali (figura 14).
Fu chiarito che il problema delle colate rapide di fango è molto più insidioso in quanto non è prevedibile quando e dove esse possano innescarsi ed evolversi. Sono preventivamente individuabili le parti di versante dalle quali è probabile che si inneschino fenomeni di colate rapide.
In relazione alla messa in sicurezza di Giampilieri fu illustrato un progetto di massima la cui realizzazione avrebbe richiesto un impegno finanziario di circa 50 milioni di Euro mediante la realizzazione immediata di ampi canali di gronda che avessero la funzione anche di vasche di accumulo lineari che trattenessero a monte eventuali flussi fangoso detritici. I canali di gronda realizzabili in alcuni mesi avrebbero consentito di eseguire i lavori in sicurezza all’interno dell’abitato nel quale avrebbe potuto ritornare la popolazione che era stata evacuata.
Altre indicazioni furono fornite per Scaletta Zanclea sulla base della ricostruzione dettagliata del potente evento di colata fangoso-detritica che aveva distrutto numerosi manufatti e danneggiato un pilone del viadotto dell’Autostrada Messina-Catania.
Successivamente è stata sottolineata l’urgenza di elaborare piani di protezione civile intercomunali e di bacino.
I rilievi geoambientali eseguiti con la collaborazione del Collegio dei Geometri e Geometri Laureati della Provincia di Messina in varie parti dei comuni interessati da eventi franosi hanno consentito di individuare una seria problematica che causa dissesti lungo le valli delle fiumare dell’Alcantara e del Patrì e l’erosione delle spiagge.
I risultati sono stati illustrati definitivamente durante il convegno “Rinaturalizzazione e pianificazione del territorio” tenutosi a Taormina il 21 ottobre 2010 in occasione della cerimonia di Inaugurazione della Ex Caserma Forestale organizzato dall’Arch. Giuseppe Aveni dirigente dell’Assessorato delle Risorse Agricole e Alimentari del Dipartimento Regionale Azienda Foreste Demaniali della Regione Siciliana.
I recenti eventi alluvionali catastrofici hanno messo in evidenza che l’attuale organizzazione di protezione civile non funziona in relazione agli eventi idrogeologici eccezionali causati dai cumulo nembi in quanto non garantisce la sicurezza dei cittadini dalle improvvise piene fluviali e dalle colate detritiche. Si ricorda che la perturbazione che ha interessato le Cinque Terre e la Lunigiana il 25 ottobre 2011 così come quella che ha investito Genova il 4 novembre 2011 e il messinese il 22 novembre 2011 sono state individuate in precedenza ed è stata delineata preventivamente la fascia di territorio che sarebbe stata interessata. L’allarme meteo sembra che sia servito a mettere al sicuro amministrativamente le Istituzioni superiori che lo hanno diramato, nel senso che con l’allarme è finito il loro compito.
Non è escluso che, in futuro, gli allarmi preventivi siano più frequenti.

Sembra che i livelli locali (comuni, province, regioni) abbiano accolto l’allarme come uno dei tanti e lo abbiano sottovalutato. Forse non erano organizzati per prevedere cosa sarebbe potuto accadere nei piccoli bacini con ripidi versanti (tipo quelli delle Cinque Terre e quelli a monte di gran parte di Genova) e lungo le aste fluviali principali e forse non erano stati messi a punto adeguati piani di protezione civile intercomunali e di bacino.
Le competenze sono distribuite tra diverse istituzioni che, probabilmente, non dialogano sinergicamente tra di loro.
E’ evidente che occorre un coordinamento stretto tra i soggetti istituzionali preposti alla difesa del territorio e dei cittadini e una sala di regia dove confluiscano i dati meteo ed ambientali in tempo reale in grado di attivare un sistema di allarme preventivo che deve scattare quando è stata individuata la perturbazione e l’area che sarà interessata.



Occorre poi una nuova organizzazione in grado di fare scattare un sistema di allarme idrogeologico immediato che deve essere attivato nelle aree urbane e nel territorio interessato da infrastrutture di importanza strategica dopo pochi minuti che i vari pluviometri distribuiti sul territorio hanno iniziato a registrare una pioggia eccezionale tipica dei cumulo nembi.
Dopo il disastro del messinese del 1 ottobre 2009 evidenziammo che con l’attuale sistema di monitoraggio delle precipitazioni non si è in grado di capire in tempo reale se un cumulo nembo stia investendo una parte della superficie del suolo. Solo dopo il disastro lo sapremo; troppo tardi. Proprio come è accaduto ad Atrani il 9 settembre 2010. L’intensità della pioggia del cumulo nembo è nettamente superiore a quella delle piogge “normali”; pluviometri e moderni sensori meteo ubicati sul territorio con una maglia stretta e collegati in rete sono in grado di individuare e delimitare in tempo reale l’area investita dai cumulo nembi, dallo scrivente denominati meto-serial-killer (figure 1, 2, 3, 4, 5 e 6).
I centri urbani ubicati nelle valli devono avere un piano di protezione civile che consenta l’evacuazione degli alvei strada e la messa in sicurezza dei cittadini, nelle aree urbane attraversate da un corso d’acqua, in alcune decine di minuti (figure 15, 16, 17, e 18).
Disponendo di una attrezzata sala di controllo e personale preparato, dopo qualche decina di minuti di pioggia eccezionale può essere individuata e delimitata l’area interessata da un evento piovoso causato dal transito di cumulo nembi per cui è agevole prevedere dove si incanalerà l’acqua precipitata al suolo in relazione alla morfologia del territorio e dopo quanto tempo l’onda di piena arriverà ad interessare le aree ubicate progressivamente più a valle facendo scattare idonei allarmi nelle aree abitate e nelle zone interessate da infrastrutture e insediamenti produttivi.
In base alle caratteristiche morfologiche e geologiche devono essere costruiti preventivamente scenari di “effetti al suolo” nelle aree dove si possono innescare colate detritiche con il coinvolgimento di alberi d’alto fusto e blocchi lapidei (es. dove i versanti sono inclinati più di 30°) e dove invece vi sarà scorrimento di acqua superficiale incanalata e trasporto di sedimenti (versanti prevalentemente argillosi inclinati meno di 20° circa).
Un ruolo fondamentale per garantire una adeguata difesa dei cittadini è riservato al sistema di allarme idrogeologico immediato che deve rappresentare una novità assoluta nei sistemi di protezione civile in aree che possono essere interessate da eventi piovosi eccezionali rilasciati dai cumulo nembi.
Dopo pochi minuti che i pluviometri hanno registrato che il bacino è interessato da piogge molto intense (rilasciate inequivocabilmente dai cumulo nembi) deve scattare l’allarme lungo gli alvei strada e le vie laterali e lungo le aree urbane che possono essere invase dai flussi idrici, fangosi e detritici che possono sopraggiungere dopo un periodo variabile da circa 15 a circa 30 minuti qualora nei bacini vi siano parti di versanti che sono state devastate dagli incendi oppure dopo alcune ore come accaduto a Vernazza e Genova (circa 4 ore).
Il piano di protezione civile deve individuare esattamente le aree che possono essere invase dall’acqua, fango e detriti e l’altezza massima inondabile. Quando scatta l’allarme i cittadini si devono portare almeno al primo piano o nelle parti dell’abitato più alte di almeno 5m rispetto alla strada ubicata sull’alveo. Le aperture (porte, finestre) devono essere chiuse con apparati stagni allo scattare dell’allarme.
Lungo il bacino a monte dell’abitato e all’imbocco degli alvei strada devono essere sistemati congegni per una videosorveglianza e per il controllo meccanico del deflusso in alveo in modo che può essere individuato il sopraggiungere di onde di piena.
Messa in sicurezza dei cittadini e mitigazione dei danni nei centri abitati
Qualora le caratteristiche morfologiche, geologiche e di urbanizzazione e finanziarie siano favorevoli si può progettare anche un canale adeguato per lo smaltimento delle piene in mare, magari in galleria. Spesso, però tali condizioni fisiche e finanziare non esistono per cui la nostra proposta consiste in interventi tesi essenzialmente a garantire la sicurezza dei cittadini e a mitigare i danni all’ambiente e nei centri abitati.
I bacini stretti e lunghi di dimensioni variabili da alcune centinaia a circa 1500 ettari, simili a quelli a monte di Monterosso e Vernazza nelle Cinque Terre, di Atrani e altri comuni della costiera amalfitana, di Messina, che incombono su aree abitate attraversate da alvei-strada, quando sono interessati da eventi piovosi simili a quelli del 25 ottobre 2011, del 4 novembre 2011 e del 22 novembre 2011, possono alimentare dapprima flussi idrici e fangosi e poi detritici tali da trasportare nell’area urbana, complessivamente alla fine dell’evento, fino ad alcune decine di migliaia di detriti.
La portata massima che caratterizza questi flussi eccezionali, di solito, non viene smaltita in sicurezza dagli alvei coperti in quanto i loro imbocchi vengono sistematicamente intasati da autoveicoli, tronchi di alberi d’alto fusto e detriti anche di grandi dimensioni. Esempi recenti sono rappresentati dagli eventi catastrofici già citati del messinese, della Liguria e Lunigiana, di Atrani e Casamicciola.
Una prima mitigazione dell’impatto al suolo degli eventi piovosi eccezionali può essere rappresentata dalla realizzazione di interventi attivi quali le sistemazioni ambientali delle parti sensibili dei versanti come i terrazzamenti agricoli, i sentieri, gli alvei, le zone devastate dagli incendi come si è già iniziato a realizzare nel messinese da parte dell’Azienda Foreste Demaniali sotto la direzione dell’architetto Giuseppe Aveni con il quale abbiamo svolto rilievi e ricerche dopo i catastrofici eventi del 1 ottobre 2009 che devastarono Scaletta Zanclea, Giampilieri e diversi altri nuclei abitati della costa a sud di Messina.
Un problema di strategica importanza è costituito dalla necessità di trattenere l’enorme volume di detriti e tronchi d’albero che viene trasportato verso valle lungo gli alvei causando, spesso, il totale intasamento degli alvei stessi e delle strade nell’area abitata. Lungo le aste torrentizie, a monte dell’abitato, possono essere realizzate adeguate briglie selettive, naturalmente con piste di accesso per la necessaria e periodica rimozione dei detriti, capaci di trattenere ciascuna alcune migliaia di mc di detriti e tronchi d’albero. Ad esempio, in bacini di limitate dimensioni come quelli delle Cinque Terre, dieci-quindici briglie che contengano da 3000 a 5000 mc ciascuna. In tal modo defluirà acqua fangosa con sedimenti fini che possono essere evacuati dagli alvei coperti o lungo le sovrastanti strade.
Altro problema da risolvere è evitare che gli autoveicoli parcheggiati, di solito, a monte dell’alveo strada vengano trascinati dai flussi e trasportati fino all’imbocco degli alvei coperti e lungo la sovrastante strada causando seri problemi per l’incolumità dei cittadini e danni ai manufatti e agli esercizi commerciali dell’area urbana. I parcheggi devono essere vietati lungo le strade in prossimità degli alvei e ubicati in posizione sicura rispetto alle inevitabili esondazioni dei flussi.
Altro problema ricorrente da risolvere è costituito dai danni ingenti causati nelle strade cittadine (ad esercizi commerciali, strutture pubbliche e private) dai flussi idrici, fangosi e detritici che attraversano le strade urbane. Ad esempio i flussi che hanno attraversato Monterosso e Vernazza e recentemente (il 22 novembre 2011) aree urbane come Barcellona Pozzo di Gotto e altri comuni del messinese, hanno devastato gli immobili penetrando nei locali a piano terra come pure è accaduto ad Atrani (in Penisola Amalfitana), a Mili San Pietro e Mili San Marco (Messina) e a Casamicciola nell’Isola d’Ischia. Per evitare questo effetto, che sistematicamente si verifica, si possono dotare di chiusure stagne, accettabili dal punto di vista estetico, tutte le aperture delle costruzioni a piano terra, in grado di resistere anche all’urto di autovetture trasportate dai flussi, in modo che la strada al di sopra dell’alveo coperto di trasformi in un canale impermeabilizzato e tale da lasciare defluire i flussi.
Il costo delle chiusure stagne potrebbe anche essere in parte sostenuto con un intervento finanziario pubblico.
Un altro problema, ancora, da risolvere è rappresentato dai gravi danni che talvolta i flussi detritici causano ai primi manufatti ubicati nella parte alta degli abitati dove l’alveo si immette nell’area abitata, sono quelli più esposti all’impatto di blocchi rocciosi e di tronchi d’albero che possono sfondare le pareti esterne e provocare una escavazione alla base delle fondazioni. E’ opportuno rinforzare tutte le strutture (pareti, fondazioni e aperture chiuse da strutture stagne) in modo da reggere all’urto dei corpi trasportati dai flussi.
Lo smantellamento della copertura degli alvei non risolverebbe i problemi dei danni ai manufatti e alle attività economiche dal momento che gli eventi idrogeologici causati dal transito dei cumulo nembi raggiungono potenze eccezionali.
L’unica soluzione sarebbe l’abbattimento di alcune file di costruzioni confinanti con l’alveo in modo da ripristinare una adeguata sezione torrentizia in grado di smaltire in sicurezza le portate di acqua, fango, detriti e tronchi d’albero che sistematicamente si innescano nelle aree soggette al transito dei cumulo nembi.
Si sottolinea la serietà del problema consistente nel fatto che i disastri si sono verificati allo sbocco di bacini idrografici di limitate dimensioni (da alcune centinaia a circa 2000 ettari) che, finora, erano stati erroneamente ritenuti “incapaci” di alimentare portate di piena di centinaia di mc/secondo non solo di acqua ma prevalentemente di fango e detriti con tronchi d’albero d’alto fusto e massi lapidei di dimensioni notevoli (fino a 25 mc come accaduto il 1 ottobre 2009 a Scaletta Zanclea).
All’inizio del terzo millennio l’uomo tecnologico e realizzatore di diffusi interventi sul territorio, da definire spesso abusivi in relazione alle leggi e necessità degli elementi naturali, deve affrontare questo serio problema: difendere (e come), oppure no, le aree abitate allo sbocco di piccoli bacini in aree periodicamente interessate dal transito dei cumulo nembi che causano eventi piovosi eccezionali con conseguenti disastri idrogeologici che comportano la perdita di vite umane e notevoli danni all’economia locale?
Per quanto riguarda i bacini idrografici di dimensioni maggiori, come quelli del Patrì e del Mela, dell’Alcantara, superiori anche a 10.000 ettari si pone la necessità di realizzare vasche di laminazione nella zona a monte degli abitati.
E’ evidente, comunque, che occorre immediatamente una nuova organizzazione in grado di fare scattare un sistema di allarme idrogeologico immediato che deve essere attivato nelle aree urbane e nel territorio interessato da infrastrutture di importanza strategica dopo pochi minuti che i vari pluviometri distribuiti sul territorio hanno iniziato a registrare una pioggia eccezionale tipica dei cumulo nembi.
Manutenzione, difesa e valorizzazione ambientale: l’esempio delle fiumare della Sicilia nordorientale
La Sicilia contiene sul suo territorio tra i più significativi archivi naturali integrati che consentono di ricostruire la storia del clima, dell’ambiente e dell’uomo durante il periodo storico.

Nella Sicilia nordorientale si rinvengono le evidenze eccezionali delle modificazioni ambientali connesse all’attuale periodo di cambiamento climatico.
Il loro studio ha consentito di individuare gli ambienti maggiormente sensibili che da alcune decine di anni si stanno modificando in tempo reale in relazione alle caratteristiche idrologiche come ad esempio i versanti costituiti da rocce particolarmente sensibili alla pedogenesi e ai dissesti, le valli pedemontane del versante tirrenico e ionico dei Monti Peloritani, i litorali sabbiosi.
Durante il citato convegno di Taormina documentammo i fenomeni geomorfologici che da alcune decine di anni stanno significativamente modificando gli alvei pedemontani delle fiumare dell’Alcantara e del Patrì e i gravi pericoli che essi determinano per l’ambiente antropizzato e urbanizzato.
Per tali aree abbiamo proposto interventi di manutenzione geoambientale tesi a ripristinare la geometria ed il profilo degli alvei, nelle zone pedemontane, dell’inizio del secolo scorso mediante asportazione meccanica dei sedimenti da trasportare sulle spiagge alimentate dagli stessi corsi d’acqua. Si tratta di asportare milioni di mc di sedimenti selezionati dello stesso tipo litologico e colore di quelli esistenti lungo le spiagge. I sedimenti selezionati trasportati sulle spiagge consentirebbero di effettuare un ripascimento di importanza strategica per l’assetto ambientale e quello socio-economico dei litorali che rappresentano il supporto fisico di gran parte dell’economia turistica regionale.
I prelievi lungo le aste torrentizie avverrebbe sulla base di adeguati progetti di restauro ambientale degli ambienti fluviali in modo da determinare una fruibilità ecocompatibile e sicura delle fiumare. Una oculata sistemazione fluviale con la creazione di vasche di espansione inserite nel piano di restauro ambientale garantirebbe una maggiore sicurezza alle aree abitate ubicate a valle che attualmente vengono inondate in seguito agli eventi piovosi eccezionali causati dal transito dei cumuli nembi come accaduti il 22 novembre scorso.
I pericoli e rischi geoambientali del territorio nell’attuale periodo di transizione climatica
Prendendo spunto da quanto scritto nel 1997 nella pubblicazione di Franco Ortolani e Silvana Pagliuca “Il recupero dell’habitat sulla base di moderne conoscenze delle caratteristiche geoambientali (superficie e sottosuolo) delle aree urbane. Results of the World days on Habitat in an era of transition. Univ. Degli Studi di Napoli Federico II” si ripropongono gli aspetti piu’ significativi relativi al rapporto uomo-ambiente che erano già stati evidenziati sulla base delle ricerche innovative condotte nell’Area Mediterranea.
L’ambiente antropizzato della Provincia di Messina è esposto ai più elevati rischi naturali permanenti d’Italia (rischio sismico, vulcanico, idraulico, geomorfologico) che interessano aree densamente urbanizzate con infrastrutture di importanza strategica per la Nazione (linee ferroviarie, gasdotti, autostrade, elettrodotti) oltre che per la regione.
Nelle ultime decine di anni gli eventi naturali si sono rivelati fonte di catastrofi e hanno provocato una significativa e spesso stravolgente influenza sull’economia regionale e sul normale funzionamento delle attività pubbliche e private determinando comportamenti imprevedibili in vasti strati sociali.
Le recenti ricerche hanno evidenziato che la Provincia di Messina almeno dal periodo della Magna Graecia (circa 2700-2500 anni fa) è stata interessata dagli effetti di vari eventi naturali; è evidente che le catastrofi geoambientali non rappresentano una novità in quanto sono da imputare alla eccezionalità dei fenomeni naturali e all’uomo che si è inserito in modo non adeguato in un territorio interessato da vari problemi geologici senza adottare le necessarie precauzioni tecniche e legislative per prevenire e contenere i danni.
La conoscenza dei problemi geoambientali deve rappresentare la base propedeutica per la pianificazione delle attività dell’uomo sul territorio a tutti i livelli; conoscere le caratteristiche geoambientali del territorio significa vivere meglio usando correttamente le risorse naturali e vivere in sicurezza difendendosi adeguatamente dai pericoli connessi alla dinamica ambientale naturale utilizzando senza sprecare le risorse economiche in interventi evitabili.
L’assetto ambientale attuale è la conseguenza di una “non pianificazione” e di una “pianificazione di un territorio fisico virtuale”, di una pianificazione “incompleta” che si basa sulla improbabile immobilità e docilità dell’ambiente fisico di cui l’uomo pensa di disporre a suo piacimento.
Molte catastrofi, provocate da eventi naturali, con perdita di vite umane e danni consistenti all’economia si possono evitare con una appropriata e coraggiosa pianificazione pubblica del territorio che, in tutte le fasi di elaborazione, tenga conto delle caratteristiche geoambientali e della dinamica della superficie terrestre nell’attuale periodo di variazione climatica.
La ricerca avanzata tesa a individuare le basi aggiornate della pianificazione non può non cogliere che la complessità dell’ambiente naturale ed antropizzato, all’inizio del terzo millennio, impone ed imporrà sempre più energicamente l’impiego di tutte le competenze professionali che consentano di comprenderne adeguatamente l’assetto, la storia, l’evoluzione, la dinamica naturale e la dinamica conseguente alle interazioni uomo-ambiente fisico.
Vanno, inoltre, evidenziati i seguenti aspetti che caratterizzano le aree antropizzate:
- massima estensione areale mai raggiunta dalle aree urbane;
- massima estensione tridimensionale del territorio interessato dall’urbanizzazione;
- massima interazione tra urbanizzazione e processi naturali superficiali;
- massima interazione tra sottosuolo e costruzioni superficiali e sotterranee;
- massima concentrazione di abitanti, di attività economiche e produttive, di beni culturali in aree ristrette che risentono delle modificazioni e degli eventi naturali che interessano aree vaste al contorno;
- massima vulnerabilità delle reti viarie e ferroviarie nazionali di importanza strategica che si concentrano, molto spesso, nelle aree urbane;
- la maggior parte delle città si sono sviluppate in aree a diverso grado di sismicità senza una normativa antisismica; quest’ultima, infatti, é stata introdotta su gran parte del territorio nazionale dopo i recenti eventi sismici (dopo l’evento del 1980). Le aree urbane, pertanto si presentano diversamente vulnerabili, ma comunque vulnerabili, in relazione alla ubicazione rispetto alle strutture sismicamente attive, alla risposta sismica locale dipendente dalla struttura geologica e dalle caratteristiche tecniche dei terreni del sottosuolo;
- numerose città moderne sono costruite su sedimenti eterogenei lateralmente e verticalmente, aventi spessore anche di oltre 10 metri, accumulatisi negli ultimi 2500 anni, che ricoprono città antiche;
- numerosi insediamenti costieri sono ubicati su litorali sabbiosi “costruiti” prevalentemente durante la Piccola Età Glaciale (tra il 1500 e 1850 circa) quando il territorio nazionale era interessato da una maggiore e diversa piovosità; attualmente i litorali non più sufficientemente alimentati sono interessati da una marcata erosione che continuerà a minacciare le coste sabbiose ancora per circa due secoli;
- l’ambiente fisico si é stabilizzato con le condizioni climatiche dalle quali stiamo uscendo che discendono dalla Piccola Età Glaciale e tenderà a riequilibrarsi con le nuove condizioni per cui si prevedono variazioni che interesseranno la superficie del suolo (temperatura media, piovosità, pedogenesi, erosione, frane, copertura vegetale, litorali, acque superficiali, sollevamento eustatico del mare, deflussi superficiali ecc.) e il sottosuolo (falde e sorgenti);
- una diversa distribuzione delle piogge determina modificazioni morfologiche superficiali (frane, erosione del suolo) e variazione dei deflussi superficiali che possono risultare disastrosi per l’ambiente antropizzato (es. alluvioni ripetute);
- la ricerca scientifica ha fornito dati ambientali relativi alle condizioni climatiche da cui stiamo uscendo e non si hanno riferimenti quantitativi per il prossimo futuro (es. venti, temperatura e piovosità, deflussi superficiali e sotterranei, erosione e pedogenesi) per cui i progetti idraulici, ad esempio fognature, acquedotti, dighe, porti potrebbero essere rapidamente messi in crisi dalle prossime condizioni ambientali;
- l’espansione urbana e la variazione di destinazione d’uso di aree industriali che per vari decenni hanno immesso sulla superficie del suolo emersa e sommersa e nel sottosuolo sostanze inquinanti sta richiedendo nuove indagini per la valutazione dell’inquinamento e per la valutazione di metodi e costi per il ripristino ambientale; allo stato attuale non si hanno esperienze e metodi già acquisiti per cui si perde tempo, non si ha garanzia della validità dei risultati delle indagini costose che vengono impostate da gruppi di persone estemporaneamente incaricate da varie Istituzioni (vedi Bagnoli);
- l’urbanizzazione ha determinato sostanziali modificazioni dell’ambiente fisico su cui insiste l’area urbana, non solo dove sono ubicati gli edifici e le aree produttive ma anche in un vasto territorio al contorno dove si risentono gli effetti dell’urbanizzazione.
- l’ambiente fisico (in superficie e nel sottosuolo) é stato modificato per estrazione di rocce sciolte e lapidee, per estrazione di acqua dalle falde, per la captazione di sorgenti con conseguente drastica riduzione delle portate dei corsi d’acqua nei periodi non piovosi, per la discarica di rifiuti solidi, per l’immissione nei corsi d’acqua, nelle falde, nel mare e nei laghi di acque inquinate. In parti significative dei territori urbanizzati é necessario intervenire per realizzare un restauro geoambientale per cui occorre effettuare ricerche finalizzate tese a mettere a punto progetti di restauro dell’ambiente con interventi di ingegneria naturalistica integrata da elementi strutturali di lunga durata che si basino su una approfondita conoscenza delle caratteristiche geoambientali, delle modificazioni apportate dalle attività umane, dei vincoli ambientali esistenti in seguito all’antropizzazione, delle tendenze evolutive naturali dell’ambiente fisico;
- moltissime città sono esposte ai rischi geoambientali connessi alle variazioni climatiche di breve periodo.
Le attuali conoscenze scientifiche avanzate consentono di prevedere:
- le modificazioni geoambientali naturali e derivanti dalle azioni antropiche nelle zone montane, collinari pianeggianti e costiere;
- gli effetti sull’ambiente antropizzato connesso alle modificazioni geoambientali naturali e innescate dalle attività umane;
- gli effetti degli eventi sismici sull’ambiente e sui manufatti;
- gli effetti di eventi alluvionali;
- gli effetti delle colate rapide simili a quelle che hanno interessato il sarnese il 5 e 6 maggio 1998 e il messinese il 1 ottobre 2009;
- gli effetti sull’ambiente e sulle risorse idriche derivanti dal prossimo incremento delle temperature globali;
- gli effetti sulle risorse idriche strategiche connessi all’immissione di sostanze inquinanti nel sottosuolo.
I Comuni della Sicilia nordorientale sul versante tirrenico e ionico dei Peloritani si trovano sul territorio collinare e montuoso caratterizzato dalla più elevata piovosità della Sicilia.
L’area in esame, inoltre, è caratterizzata da una tettonica recente e attiva che ha scolpito il paesaggio morfostrutturale caratterizzato da rilievi accentuati e interessato da faglie ancora attive che determinano la nota sismicità della Sicilia nordorientale.
Sollevamenti recenti ed elevata piovosità in aree come quelle in esame costituite in prevalenza da rocce erodibili e predisposte ai fenomeni franosi rappresentano le cause della marcata instabilità geomorfologica che caratterizza i versanti.
L’alternanza di periodi plurisecolari con elevata piovosità a periodi plurisecolari con precipitazioni meno abbondanti rappresenta la causa della costruzione e della successiva distruzione delle spiagge che delimitano le pianure alluvionali costiere intensamente antropizzate e urbanizzate. I litorali sabbioso-ghiaiosi rappresentano una risorsa naturale di importanza strategica in quanto costituiscono un attrattore per i turisti e una difesa per l’ambiente naturale e antropizzato dell’entroterra.
Da alcune decine di anni il rifornimento naturale di sedimenti che determina l’equilibrio delle spiagge è drasticamente diminuito per cause naturali e localmente per non adeguati e oculati interventi antropici. Gli interventi ingegneristici che si stanno realizzando per la difesa delle spiagge non sono adeguati a tutelare la bellezza naturale e a garantire la durata delle spiagge su scala pluridecennale. Manca un quadro conoscitivo ambientale aggiornato delle problematiche che interessano le spiagge; manca un quadro generale degli interventi realizzabili nelle diverse realtà e manca un quadro delle priorità degli interventi basati sulla conservazione, restauro ambientale e valorizzazione delle spiagge.
Manca pure l’individuazione di interventi pilota da attuare al fine di mettere a punto interventi adeguati e validi su scala pluridecennale.
Gli interventi in atto e progettati sono immancabilmente mossi da contingenti situazioni di emergenza, al di fuori di un razionale piano e basati esclusivamente su necessità di difesa e non di tutela, restauro e valorizzazione delle spiagge.
Le spiagge e l’immediato entroterra urbanizzato della provincia sono molto sensibili alle mareggiate. Purtroppo manca un sistema di preavviso di forti mareggiate e manca una mappatura delle aree variamente vulnerabili dalle mareggiate.
Necessita avere il quadro della realizzabilità di interventi pilota per il restauro ambientale delle spiagge con metodo “naturalistico” integrato e creazione di aree umide nelle aree fluviali.
Di fronte alla nota carenza di sedimenti marini utilizzabili per il ripascimento si presenta una possibilità concreta per il restauro duraturo delle spiagge: il restauro delle cave di roccia aventi caratteristiche litologiche uguali ai sedimenti delle spiagge e il prelievo programmato e controllato dei sedimenti fossili lungo i fondovalle sovralluvionati.
Gli incendi boschivi che devastano la vegetazione lungo i versanti costituiscono cause di immediata instabilità geomorfologica dei versanti in occasione di eventi piovosi molto intensi. Ogni anno nella stagione secca si verificano decine di incendi che distruggono la vegetazione che ricopre i versanti aumentando le situazioni di pericolo idrogeologico.
Purtroppo il sistema antincendi non è adeguato e non assolve il compito di un rapido ed efficace intervento di spegnimento per mancanza di risorse idriche ubicate sugli altopiani in prossimità delle aree boscate. Il rifornimento idrico da parte dei mezzi antincendio a pala rotante, ad esempio, avviene spesso con acqua marina il che comporta un inutile dispendio di carburante e perdita di tempo in un’azione che deve essere estremamente rapida per limitare i danni al versante. si fa presente che è quanto mai urgente la realizzazione di laghetti antincendio e uso plurimo sugli altopiani boscati, in condizioni di assoluta stabilità geomorfologica.
La costruzione di laghetti per uso multiplo può essere valutata in situazioni ambientali significative e rappresentative. Un settore d’intervento prioritario è rappresentato dalla organizzazione di una adeguata difesa antincendio boschivo mediante una infrastrutturazione del territorio con laghetti antincendio e ad uso plurimo da realizzare nelle aree boscate in situazioni di assoluta stabilità geomorfologica. I centri abitati ubicati alla base di ripidi versanti boscati sono i più vulnerabili da parte di colate detritiche che possono innescarsi dopo gli incendi in concomitanza con eventi piovosi particolarmente intensi. Purtroppo manca qualsiasi organizzazione di difesa basata sull’attuazione di piani di protezione dei cittadini da attivare dopo che i versanti sono stati percorsi dal fuoco.
La variazione climatica in atto da diverse decine di anni ha favorito lo sviluppo di una spessa coltre di alterazione lungo i ripidi versanti; tale coltre può saturarsi in seguito a precipitazioni piovose significative come accaduto l’1 ottobre 2009 e il 22 novembre 2011 alimentando colate rapide di fango e detriti che possono avere effetti devastanti nelle aree urbane, su manufatti isolati e sulle infrastrutture di trasporto.
Un grave problema è rappresentato dagli eventi franosi tipo calata rapida di fango e detriti simili a quelli che hanno provocato oltre 30 vittime e la distruzione di decine di abitazioni nel pomeriggio del giorno 1 ottobre 2009 tra Scaletta Zanclea Marina e Giampilieri e alcuni comuni vicini.
Queste frane, infatti, sono da considerare tra i più pericolosi e spietati fenomeni geologici in quanto dal momento in cui essi iniziano, nella parte alta dei versanti, al momento in cui possono travolgere abitazioni e persone trascorrono solo poche decine di secondi. Esse, da tempo, sono ben note ai geologi e rappresentano una ripetitiva e drammatica conseguenza delle diffuse condizioni di instabilità e di occupazione poco avveduta del territorio in cui si trova quella parte dell’area collinare e montuosa della Provincia di Messina caratterizzata da versanti ripidi impostati su rocce ricoperte da sedimenti sciolti.
Le corrette e moderne analisi geologiche, nell’ambito di studi multidisciplinari, evidenziano che i centri abitati e i tratti di infrastrutture viarie di interesse locale e nazionale interessati dal pericolo di colate rapide in occasione di eventi piovosi che provochino la saturazione dei suoli sono molti e distribuiti in tutta la provincia. Il risanamento geoambientale di tali aree prevede sicuramente tempi lunghi e costi notevoli; ciò comporta che le popolazioni continueranno ad essere esposte al pericolo ancora per molti anni.
Un intervento concreto che le Istituzioni (dalla Regione al Comune) possono programmare e realizzare a costi contenuti per evitare nuove vittime, consiste nell’attuare:
- piani di sicurezza geoambientale basati su di un diffuso monitoraggio geologico e idrologico delle aree potenzialmente interessate dalle colate rapide in modo da tenere sotto controllo in tempo reale la stabilità dei versanti in relazione agli eventi pluviometrici, completati da piani comunali di protezione dalle calamità geologiche, da esercitazioni pratiche e attuazione degli interventi tesi a rendere operativi i piani;
- didattica e formazione ambientale tese a diffondere una corretta conoscenza delle problematiche geoambientali principali.
Le modificazioni del clima e dell’ambiente fisico nell’attuale periodo di cambiamento climatico
Negli ultimi 2500 anni le pianure alluvionali antropizzate e le spiagge sono state interessate da sensibili modificazioni che hanno condizionato significativamente le attività antropiche.
I diversi cambiamenti ambientali sono avvenuti contemporaneamente nella parte arida e umida della zona mediterranea e si sono verificati durante brevi intervalli di tempo di durata variabile da circa 100 a circa 200 anni. I periodi più freddi e piovosi (figure 15, 16, 17 e 18) sono stati chiamati Piccola Età Glaciale Arcaica (500-300 a.C.), Piccola Età Glaciale Altomedievale (500-700 d.C.) e Piccola Età Glaciale (1500-1750). I periodi più caldi e aridi che hanno interessato la parte centro meridionale del Mediterraneo sono stati chiamati Periodo Caldo Romano (150-350 d.C.) e Periodo Caldo Medievale (1100-1270).


I periodi climatici di transizione da una piccola età glaciale al successivo periodo caldo-arido sono stati caratterizzati da condizioni ambientali favorevoli alle attività umane.
Gli impatti ambientali più significativi che si sono verificati nell’Area Mediterranea durante i periodi caldo-aridi sono rappresentati dalla desertificazione delle aree costiere fino a circa 41°-42° N e dall’incremento dell’accumulo delle sabbie organogene. Durante questi periodi l’Europa centro-settentrionale ha goduto di condizioni climatiche miti e favorevoli allo sviluppo dell’agricoltura.

I periodi freddo-umidi (Piccole Età Glaciali) hanno determinato sensibili modificazioni ambientali contribuendo significativamente alla costruzione delle pianure alluvionali costiere e dei litorali.
Le variazioni climatiche storiche hanno esercitato un impatto di notevole importanza sull’evoluzione dei litorali.
La costruzione dei litorali con sabbia silicoclastica è avvenuta durante i periodi freddo-umidi, cioè durante le Piccole Età Glaciali.
L’ultimo ripascimento naturale si è verificato tra il 1500 e la fine del 1800 (figura 15).
A partire dall’inizio del 1900 l’alimentazione naturale è stata progressivamente sempre più scarsa e le spiagge hanno iniziato a “dimagrire” specialmente in corrispondenza degli apparati di foce dei fiumi dove si riscontrano i fenomeni erosivi più gravi che spesso hanno provocato la distruzione di oltre 1000 metri di spiaggia negli ultimi 100 anni.
Gran parte delle spiagge attualmente sono solo parzialmente e insufficientemente alimentate di sabbia grazie alla erosione o cannibalizzazione dei sedimenti delle aree deltizie che sono quelle interessate da erosione molto grave.
L’erosione che da diverse decine di anni sta interessando le spiagge con sabbia silicoclastica dell’Italia meridionale e del mediterraneo durerà almeno 100 – 150 anni.
Conclusioni
E’ evidente che l’attuale organizzazione pubblica che sovrintende alla sicurezza dei cittadini lascia ancora a desiderare per vari problemi, specialmente per quanto riguarda la difesa dei cittadini dalle piogge eccezionali rilasciate in tempo ristretto dai cumulo nembi.
Le soluzioni valide per la sicurezza di tutti possono provenire da varie parti e da diverse persone dedite alla ricerca scientifica, funzionari pubblici o privati cittadini.
Non è detto che le soluzioni più valide possano essere fornite solo da impiegati delle istituzioni pubbliche (locali e centrali) che devono proteggere ambiente e cittadini.
Gli amministratori e i funzionari pubblici degli enti locali e nazionali preposti istituzionalmente alla difesa del territorio e dei cittadini hanno il “potere di individuare” le azioni da attuare, quindi la responsabilità delle catastrofi è in parte loro come pure sarà loro la responsabilità degli interventi che per l’ennesima volta dovrebbero garantire una maggiore sicurezza ambientale nel prossimo futuro.
Il primo appunto va fatto all’attuale organizzazione della Protezione Civile che dovrebbe vigilare, dall’inizio alla fine, anche sugli eventi che stanno per scatenarsi come quelli idrogeologici causati dal transito dei cumulo nembi in aree individuabili in tempo reale con una rete di monitoraggio idrologico a maglia stretta.
Dopo le tante esperienze catastrofiche delle ultime decine di anni ci si aspettava che eventi come quelli del 25 ottobre, 4 novembre e 22 novemnre scorsi sarebbero stati seguiti dalle ore precedenti fino al loro acme fornendo adeguati avvertimenti ed allarmi con un preavviso variabile dalle ore alle decine di minuti quando i fenomeni piovosi hanno rivelato la loro potenza sui territori colpiti.
Ancora oggi, invece, abbiamo sperimentato che i territori devastati sono stati colti quasi di sorpresa e soprattutto , come evidenziano vari filmati, sono proprio i cittadini che non sono stati raggiunti dagli allarmi.
Sembra, poi, che gli allarmi locali siano stati deficitari e non coordinati nell’ambito dello stesso bacino idrografico e nei territori regionali differenti sia pur confinanti
Sulla base delle esperienze maturate con le ricerche geoambientali eseguite nelle aree devastate dagli eventi idrogeologici catastrofici degli ultimi 20 anni causati dal transito di cumulo nembi abbiamo sollecitato le Istituzioni a migliorare i sistemi di protezione civile locali sostenendo che attualmente il territorio è indifeso dai micidiali “meteo-serial-killer” chiamati cumulo nembi che in poco tempo (alcune ore) possono rilasciare piogge torrenziali in grado di causare crisi idrogeologiche in qualsiasi territorio.
Questa tragica occasione ha fornito altri importanti elementi indispensabili per la messa a punto di innovativi, semplici ed efficaci piani di protezione civile locale.
Una oculata sinergia tra ricercatori che producono buone idee basate su esperienze concrete e rappresentanti delle istituzioni dediti alla protezione di tutti i cittadini può mettere a punto rapidamente adeguati sistemi di Allarme Idrogeologico Immediato per garantire maggiore sicurezza nelle aree più interessate dall’attraversamento dei cumuli nembi.
Comunemente ci si riferisce alla rinaturalizzazione quando si attuano interventi di bioingegneria rivolti al recupero degli ambienti naturali, alla ricostruzione del loro ciclo biologico e delle biodiversità. Di solito la rinaturalizzazione viene attuata realizzando interventi di “ingegneria naturalistica” sempre relativi alle componenti “viventi” naturali.
Nell’attuale periodo di cambiamento climatico e di estesa antropizzazione ed urbanizzazione del territorio si deve considerare che anche la componente ambientale “non vivente” è interessata da modificazioni rapide che determinano sostanziali variazioni dell’assetto della superficie e dell’immediato sottosuolo, delle risorse di importanza strategica quali il suolo e l’acqua.
Significative modificazioni morfologiche e dei preesistenti equilibri si stanno verificando anche in parti di importanza strategica per l’ambiente e per l’economia come ad esempio lungo i litorali sabbioso-ghiaiosi.
Le modificazioni dell’assetto preesistente della copertura vegetale e del suo immediato substrato avvengono per cause naturali e per cause antropiche.
Particolare attenzione va riposta nella realizzazione di interventi di “Rinaturalizzazione duratura”, non solo di facciata, specialmente quando si interviene lungo versanti interessati da dissesti come le colate di fango verificatesi a sud di Messina il 1 ottobre 2009. Questi interventi devono fornire le garanzie necessarie di durata e validità per decine di anni e non possono essere messe fuori uso da incendi che annullerebbero istantaneamente la loro funzione difensiva.
Particolare importanza assumono i laghetti e vasche antincendio realizzati nelle aree sommitali stabili nell’ambito e nei pressi di aree boscate in modo da garantire un pronto e ripetuto intervento ai mezzi antincendio a pala rotante e terrestri.
Nell’attuale fase di cambiamento climatico si deve puntare a interventi di rinaturalizzazione “duratura” nelle aree dove l’ambiente naturale è ben conservato come ad esempio i crinali panoramici dei Peloritani finalizzati all’incremento dell’assetto socio-economico locale. Grande importanza assumono gli interventi di rinaturalizzazione in un ambiente che presenta dei rischi naturali: -rischio idrogeologico; -rischio sismico; -rischio da incendi boschivi; -rischio da tsunami lungo le coste basse; -rischio ambientale ed economico causato dall’erosione delle spiagge.
Un significativo e duraturo restauro delle spiagge deve essere preso immediatamente in considerazione dai rappresentanti delle Pubbliche Istituzioni locali, provinciali, regionali e nazionali. La naturale evoluzione che sta interessando da oltre 100 anni le spiagge sta causando la loro inarrestabile erosione.
L’erosione costiera oltre a creare problemi di stabilità per le infrastrutture e i manufatti rende sempre più sottile la spiaggia balneabile con immediati risentimenti sull’economia turistica.
Problemi simili si riscontrano sulle spiagge a nord dei Peloritani tra Capo Tindari e Furnari.
Nelle valli fluviali dell’Alcantara e del Patrì, invece, stanno avvenendo fenomeni di accumulo di ingenti quantitativi di sedimenti alimentati dai dissesti areali attivissimi che interessano i versanti della zona di spartiacque. Un flusso copioso di sedimenti ha causato il loro accumulo nell’alveo con il conseguente sollevamento del letto torrentizio che provoca disagi e pericoli per le strade e l’ambiente antropizzato di fondo valle. La mancanza di continuità degli eventi piovosi molto consistenti non permette il trasporto dei sedimenti fino alla foce.
Una importante attività di rinaturalizzazione potrebbe consentire di intervenire con le metodologie dell’ingegneria naturalistica, applicata anche all’ambiente fisico non vivente, e con le adeguate opere strutturali idrauliche e idrogeologiche al fine di mettere in sicurezza i fondo valle delle fiumare colmi di sedimenti e di attuare un ripascimento duraturo delle spiagge interessate da una grave erosione irreversibile.
Le valli dell’Alcantara e del Patrì potrebbero rappresentare l’ambiente ideale per interventi di messa in sicurezza e valorizzazione ambientale ed economica dal Mare Ionio al Mare Tirreno: potrebbe trattarsi di un intervento pilota che consentirebbe di valorizzare le risorse ambientali e di mitigare significativamente i rischi mediante l’attivazione di moderni e indispensabili sistemi di Allarme Idrogeologico Immediato.