Con parola “Burian” si intende quel gelido vento, da NE o E-NE, che durante la stagione invernale spira sopra le sterminate lande siberiane e le steppe kazake verso gli Urali e le pianure Sarmatiche, della Russia europea. Il termine “Burian” (o anche Buran) deriva dalla lingua russa ed è spesso associato alle bufere di neve che in inverno investono buona parte dei territori della Russia europea e la Siberia. Può soffiare con grande violenza venendo accompagnato da tormente di neve (di solito dai piccoli fiocchi gelati di neve farinosa, quella che cade con temperature sotto i -20° -30°) e fenomeni di “Scaccianeve“, che portano drastiche riduzioni di visibilità. Quando scavalca la catena montuosa degli Urali, l’aria gelida di matrice siberiana, invade le pianure Sarmatiche, e spesso anche l’Europa, apportando un considerevole calo dei valori termici, anche dell’ordine dei -10° -12° in meno di 24 ore. Il “Burian” lo possiamo considerare come un figlio dell’immenso anticiclone termico “Russo-Siberiano”, che durante il periodo invernale si sviluppa sopra le grandi steppe siberiana e sull’Asia centrale. Non di frequente, ma in alcune circostanze (in passato era molto più frequente), il gelido vento delle steppe siberiane, scavalcando gli Urali, può invadere il cuore dell’Europa, portando delle severe fasi di tempo invernale, con estese gelate e nevicate fino alle coste del Mediterraneo. Un fenomeno tipico del “Burian” è quello dello “Scaccianeve”, i turbini di neve fatti sollevare dalle forti raffiche di vento. Ogni volta che il “Burian” entra sul vecchio continente, oltre al gelo e alla neve farinosa, porta con se anche lo “Scaccianeve”.
Come si origina il “Burian”?
Durante il tardo autunno e il periodo invernale le sterminate pianure, gli altopiani e le immense steppe, tra la Siberia, il Kazakistan, la Mongolia e le altre ex Repubbliche Sovietiche dell‘Asia centrale, a nord del mar Caspio, sono interessate da un forte raffreddamento dello strato d’aria prossimo al suolo. Questo consistente raffreddamento, meglio noto anche come “raffreddamento pellicolare”, è causato da una serie di fattori, fra cui l’aria secca, la consistente riduzione della luce solare durante il giorno e la lontananza dell’azione mitigatrice di qualsivoglia mare o oceano. In alcune zone della Siberia centro-orientale, tra Dicembre e Gennaio, possono raggiungersi normalmente anche i -50° -60°, come nella Repubblica di Jacuzia. Si viene cosi a sviluppare uno strato di aria gelida e molto pesante, vicino al suolo, con uno spessore limitato ai 1000-2000 metri, che origina il famoso anticiclone termico “Russo-Siberiano”, ossia una vasta zona di alta pressione di origine prettamente fredda, strutturata solo nei bassi strati. Di solito l’anticiclone termico “Russo-Siberiano” non porta sempre bel tempo, come erroneamente si pensa. A differenza dei tradizionali anticicloni dinamici (vedi quello delle Azzorre), essendo strutturato solo agli strati più bassi della troposfera, l’alta pressione russo-siberiana può portare tempo brutto, con forti venti e nevicate, a causa del passaggio di aree cicloniche o gocce fredde, più o meno profonde, in quota, che approfittando dei bassi geopotenziali alla quota di 500 hpa, si sganciano dalla regione artica, dove agisce il vortice polare, e si fiondano nel cuore delle steppe siberiane, kazake e mongole, apportando crude fasi invernali. Inoltre negli anticicloni termici l’aria fredda fa diminuire più velocemente la pressione con la quota e quindi favorisce la formazione di aree cicloniche in quota.
Il “Burian” solo in determinate circostanze, durante la stagione invernale (ma non capita tutti gli inverni), può estendersi dalle steppe siberiane fino al cuore dell’Europa, portando il gelo (quello vero) su gran parte del continente. Ciò avviene soprattutto in quegli inverni in cui si viene a formare quel determinato schema configurativo, noto ai meteorologi europei come il “Ponte di Weikoff”. Il “Ponte di Wikoff”, prende il nome dallo scienziato russo che lo studiò per la prima volta. Si origina solo quando l’alta pressione delle Azzorre, per una sua pulsazione dinamica interna, si erge con i propri elementi, verso nord-est, in direzione della Scandinavia, per congiungersi con le propaggini più occidentali dell’anticiclone termico Russo, che dagli Urali si affaccia verso la Russia europea e il mar Baltico. L’unione fra le due differenti figure anticicloniche da vita a un grande ponte anticiclonico, con asse orientato da sud-ovest a nord-est, che dal vicino Atlantico si estende fino alla Russia europea e ai bassopiani siberiani (oltre gli Urali), favorendo il richiamo e l’aspirazione delle masse d’aria molto gelide preesistenti sopra le lande ghiacciate siberiane. L’aria gelida, di origine siberiana, scorrendo lungo il bordo più meridionale della poderosa figura di blocco anticiclonica, dai bassopiani della Siberia occidentale, e nei casi più estremi, pure dalle innevate steppe del Kazakistan e dal cuore della Siberia centrale, si muove verso le pianure della Russia europea, per poi invadere in pieno l’Europa centro-orientale, penetrando attraverso gelidi venti da NE e E-NE che fanno sprofondare la colonnina di mercurio su valori che si portano ampiamente sotto la soglia dello zero termico, specie quando l‘origine della massa d’aria è siberiana.
Se il “Ponte di Weikoff” è abbastanza robusto e duraturo, come nello storico Febbraio del 1956, ben alimentato da una grossa cellula anticiclonica termo-dinamica sulla Scandinavia, l’aria gelida, proveniente dalle steppe siberiane, può percorrere l’intera Europa muovendosi in modo retrogrado, ossia da est ad ovest, con vari nuclei di aria gelida che dalla Russia sono capaci di spingersi fino all’Italia, alla Francia e alla penisola Iberica, conservando gran parte del loro contenuto gelido visto il passaggio su vaste aree continentali. Le masse d’aria gelide, una volta formato il “Ponte di Weikoff”, vengono letteralmente trascinate verso sud-ovest, ciò favorisce l’insorgenza di contrasti termici sempre più accesi con le masse d’aria più temperate presenti sopra l’Europa. L’avvento di questi contrasti può agevolare la formazione di una nuvolosità bassa e diffusa, in grado di dare la stura a nevicate, generalmente di debole intensità, fino a quote pianeggianti, se non sulle coste.
Le caratteristiche uniche del “Burian”; andiamole a conoscere
Una delle tante peculiarità è che il “Burian” è un vento che trascina una massa d’aria, molto fredda e pesante, dello spessore non superiore a 1500-2000 metri (freddo pellicolare). Scorre negli strati più bassi della troposfera e di conseguenza man mano che si sale di quota la temperatura è relativamente più alta (rispetta il classico stato di inversione che si sviluppa d’inverno sopra gli altopiani della Siberia). Tale particolare rende la massa d’aria particolarmente stabile nei bassi strati e incapace di dare luogo a correnti ascensionali pronte a formare nubi cumuliformi e precipitazioni a sfogo di rovescio o temporale. Eppure basta il passaggio di aria un po’ più umida in quota per formare una nuvolosità bassa (strati, stratocumuli) sufficientemente spessa per dare la stura a deboli ma persistenti fenomeni nevosi. Il “Burian” come già detto, proviene direttamente dalle steppe della Siberia centro-occidentale e da quelle kazake, quindi per natura nasce come un vento secco che aspira l’aria da vaste aree continentali, caratterizzate da pressioni molto elevate, spesso superiori ai 1050-1055 hPa. Ma una volta scavalcati gli Urali e attraversate le grandi pianure della Russia europea, la Bielorussia e l’Ucraina, durante la sua discesa verso sud-ovest, può costringere aria più mite e umida, incontrata nel suo cammino verso l‘Europa centrale, a sollevarsi forzatamente verso l‘alto, generando una diffusa nuvolosità, apportatrice di precipitazioni sparse.
Soprattutto durante la fase dell’intrusione del nocciolo d’aria gelida, gli scontri termici con l’aria meno fredda e più umida preesistente sopra il vecchio continente, si fanno molto forti e pronunciati, al punto da sfornare delle estese linee di instabilità o dei fronti freddi secondari che scorrendo lungo il bordo meridionale dell’imponente anticiclone di blocco termo-dinamico, con massimi centrati tra Scandinavia, Finlandia e Russia europea, si spingono in moto retrogradato dall’Europa orientale verso la MittelEuropa e in alcuni casi sull’Italia. Sono proprio questo tipo di perturbazioni a portare gli eventi nevosi più importanti sul nostro paese. Diversa è la storia quando il “Burian” è costretto a transitare sopra un grande specchio d’acqua o un mare interno come il mar Mediterraneo. In questi casi si possono avere dei veri e propri sconvolgimenti della natura termo-dinamica della massa d’aria che caricandosi di umidità è costretta a scaldarsi notevolmente dagli strati più bassi, diventando molto più instabile. In genere quando l’aria gelida, di origine russa, si versa sul Mediterraneo, mescolandosi con l’aria molto più mite e umida del loco, i contrasti termici sono cosi intensi da creare delle forti aree di vorticità positiva che danno i natali a profonde ciclogenesi, ben strutturate nei medi e bassi strati della troposfera.
Queste aree cicloniche mediterranee, oltre a causare intense ondate di maltempo, possono dare luogo a fenomeni nevosi fino a bassissima quota. Ma il “Burian”, nelle situazioni più esplosive (che sono pure quelle più rare), può causare anche a vere e proprie tempeste di neve, anche sulle coste del Mediterraneo. Basta che all’aria gelida al suolo (freddo di origine pellicolare) si sovrapponga aria molto fredda negli strati superiori della troposfera. Ad esempio, quando la ciclogenesi mediterranea, che si è sviluppata dopo che l’aria gelida dalle steppe russe, tramite il mar Egeo o l’Adriatico, si è versata sul “mare Nostrum“, viene agganciata in quota (a 500 hpa, nella libera atmosfera) da una grossa goccia fredda (vortice ciclonico chiuso in quota) colma di aria gelida (con isoterme tra i -35° -40° a 500 hpa) allora ci troveremmo di fronte ad una vera “bomba nevosa”, con l’arrivo di vere e proprie tormente, rese ancora più fitte e violente se il minimo nei bassi strati diventi particolarmente baroclino. Basti ricordare i Blizzard del Dicembre 2001 sulle regioni settentrionali.
Le ultime visite del “Burian” tra Europa e Italia
In passato, tra l’Ottocento e la prima parte del Nocecento, le visite del “Burian” in Europa e in Italia erano molto più frequenti rispetto ad oggi. Ogni qual volta il gelido vento della Siberia varcava gli Urali l’Europa batteva i denti e in quasi tutti i paesi, a parte l’area del Mediterraneo, si scendeva abbondantemente sotto zero, con valori anche sotto i -30°, tanto da far ghiacciare fiumi, laghi, innumerevoli specchi d’acqua e persino le acque interne dei principali porti. Si producevano cosi le storiche invernate del Febbraio 1929 e 1956, passate agli onori della letteratura, che ancora oggi vengono ammirate e fantasticate da migliaia di meteoappasionati e amanti del freddo e della neve. Durante quell’annate il gelo era cosi intenso da tingere di bianco l’intera penisola. Dalle Alpi a Pantelleria, l’Italia, in quelle rarissime occasioni, vide la neve fino alle coste su buona parte del territorio nazionale. Andando avanti con i tempi possiamo ricordare gli episodi di “Burian” del Marzo 1971, Gennaio 1985, Febbraio 1991 e del Febbraio 1996, quando si realizzarono delle intense fasi di gelo, soprattutto sulle regioni centro-settentrionali, con valori perennemente inchiodati sotto la soglia degli 0°. In Italia l’avanzata del gelido vento della steppa siberiana è spesso preceduta dall’attivazione di una gelida Bora che dall’altopiano del Carso si getta verso il golfo di Trieste, generando un brusco abbassamento termico e apportando il gelo fino alle marittime della Venezia Giulia e del Friuli fino alla laguna veneta. Se nella città di Trieste, con l’ingresso delle forti raffiche di Bora (non per caso spira da E-NE), il termometro piomba abbondantemente sotto lo 0° (con la formazione della patina di ghiaccio sul porto triestino) allora possiamo stare certi che il “Burian” è arrivato anche in territorio italico. Segno che l’aria in sfondamento dall’Ungheria e dalla Slovenia è veramente gelida, conservando buona parte del suo contenuto freddo originato sopra i bassopiani siberiani. Con l’ingresso della Bora sull’alto Adriatico e il suo incanalamento, forzato, fin dentro il Catino Padano, il gelo siberiano è pronto ad invadere l’intera penisola.