In Giappone questo micidiale fenomeno della natura lo conoscono molto bene fin dalla notte dei tempi, tanto da arrivare a conviverci periodicamente con gli effetti della sua furia distruttiva.
Non per caso il termine Tsunami in giapponese significa “onda contro il porto”, tale termine è stato coniato proprio dal popolo giapponesi sul finire dell’Ottocento per rimarcare gli effetti distruttivi che queste ondate cagionavano contro i porti della marineria nipponica.
Dopo il gravissimo evento del 26 Dicembre 2004, che provoco la morte di oltre 260.000 persone in buona parte delle località costiere del sud-est asiatico (ci furono morti persino sulle coste dell’Africa orientale), il termine Tsunami è ormai entrato in uso nella lingua italiana corrente come sinonimo di maremoto.
Le ondate di Tsunami sono generate dall’improvviso movimento di un’imponente massa d’acqua oceanica causato o da un grande terremoto sottomarino (che sposta parte del fondo oceanico verso l’alto) o da una gigantesca frana sottomarina che si riversa rapidamente in mare provocando una potentissima perturbazione che si propaga a gran velocità sugli abissi.
Anche esplosioni sottomarine dovute a potenti eruzioni vulcaniche, di tipo esplosivo, sono in grado di sollevare ondate alte anche decine di metri pronte a causare immense devastazioni una volta raggiunte le zone costiere.
Molto più raramente i maremoti possono essere generati da un impatto di un grosso meteorite nel mare.
Alcuni tsunami possono innescarsi anche se l’epicentro del sisma non è localizzato al di sotto della superficie oceanica bensì nell’entroterra costiero a pochi chilometri dalla costa, generalmente ciò avviene con terremoti di forte intensità capaci di produrre grandi spostamenti d’acqua anche ad una certa distanza dal mare per semplice propagazione delle onde sismiche dall’entroterra verso la superficie d’acqua o per il moto dell’intera placca.
Alle volte, come capita spesso in un bacino chiuso come il nostro Mediterraneo, questi mostri d’acqua possono essere una causa “indiretta” di un violento movimento tellurico che comunque non ha un potenziale energetico capace di innescare la grande onda.
Un esempio su tutti è lo Tsunami che colpi la costa ionica messinese e l’area dello stretto di Messina subito dopo il catastrofico terremoto che la mattina del 28 Dicembre 1908 rase al suolo le città di Messina e Reggio.
Ormai è confermato che il maremoto non fu originato dal forte terremoto in se, ma bensi da una colossale frana sottomarina, avvenuta lungo il bordo della scarpata continentale siciliana davanti Capo Taormina, attivata dal potentissimo scuotimento che segui il sisma, stimato tra i 7.1 – 7.2 Richter.
Le onde di Tsunami però non devono essere confuse con il tipico moto ondoso o la risacca causata dal vento.
Infatti a differenza delle tipiche onde prodotte dal vento lo Tsunami si estende lungo la superficie marina per oltre 200 alle volte anche 300 km arrivando a raggiungere velocità di propagazione superiori ai 500-600 km/h, con picchi anche sugli 800-1000 km/h quando viaggia in mezzo all’oceano, senza incontrare l’attrito dei bassi fondali.
Ciò spiega perchè le ondate di una grossa tempesta (uragano, tifone), alte anche più di 10 metri, risultano molto meno devastanti rispetto a un onda di maremoto alta più di 6 metri (abbiamo visto il caso nelle isole Samoa e in Indonesia).
Lo possiamo considerare come una sorta di immensa onda molto lunga, con un fronte per un centinaio di chilometri, che viaggia alla velocità di un Boeing 747, questi sono gli elementi che fanno dello Tsunami una furia inarrestabile.
Grazie a queste caratteristiche appena descritte è curioso notare come a largo, in mare aperto o in mezzo alla superficie oceanica, l’altezza dell’onda sia alquanto modesta, poco più di 50 cm o 1 metro, un valore cosi basso che non consente alle navi in transito di accorgersi della sua esistenza.
L’altezza relativamente piccola dello Tsunami in mare aperto è dovuta essenzialmente alla grande velocità di propagazione che non viene rallentata da alcun ostacolo, fin quando si trova su acque profonde.
La struttura dello Tsunami inizia a mutare non appena tende ad avvicinarsi alla terra ferma incontrando fondali sempre più bassi che ne rallentano l’elevata velocità di propagazione, mantenuta a lungo in mare aperto.
Con l’attrito dei bassi fondali l’onda rallenta la sua velocità tendendo a crescere a dismisura in altezza con dei Run-Up che possono agevolmente toccare i 10-12 metri di altezza sopra il livello del mare.
L’enorme ondata che si forma va ad abbattersi sulla costa con tutta la sua violenza conservando quasi intatta l’energia dell’evento (terremoto, frana o eruzione vulcanica sottomarina) che l’ha sprigionata.
Spesso, prima di infrangersi sulla costa come una imponente “alta marea”, lo Tsunami viene preceduto da un improvviso e repentino ritirarsi delle acque che lascia scoperto il fondale marino per decine e decine di metri, fra lo stupore di chi vi assiste.
In particolari condizioni estreme le ondate dello Tsunami, li dove la geomorfologia dei fondali oceanici lo agevola, possono raggiungere delle altezze veramente impressionanti, fuori da ogni immaginario collettivo, anche al di sopra dei 50 metri.
La storia è ricca di racconti e descrizioni che narrano di questi eventi nefasti che da sempre hanno rappresentato una grave minaccia per intere popolazioni, causando devastazioni inimmaginabili.
Pensate che già dal 365 d.C., il maremoto che devastò la città di Alessandria d’Egitto fu descritto minuziosamente dallo storico romano, Ammiano Marcellino.
La stima delle vittime è approssimativamente di oltre 50.000 morti, questo evento è ripercorso, attraverso la descrizione delle storico romano, in Storia del declino e della caduta dell’Impero romano di Gibbon.
Ma avvicinandoci a tempi più moderni non possiamo non citare ciò che è accaduto nel 1883 nell’isola indonesiana di Krakatoa, praticamente cancellata da una spaventosa eruzione vulcanica di tipo esplosivo che fu all’origine di un mega-Tsunami che causo migliaia di morti in terre distanti centinaia di chilometri.
L’elenco dei mega-Tsunami più devastanti registrati in questi ultimi secoli sulla terra
L’elenco è veramente lungo ma noi cercheremo di citare solo quelli più distruttivi pervenuti dalla letteratura scientifica.
Il 9 Luglio del 1958 una “apocalittica” ondata, alta più di 520 metri, si riversò lungo la stretta Lituya Bay, in Alaska, a seguito del crollo di un intero versante di una montagna.
L’altezza dell’onda fu calcolata sulla riva opposta dove si abbatte l’ondata che riuscì a estirpare la vegetazione (in prevalenza conifere, abeti molto resistenti) fino ai 525 metri di quota.
Il 2 Marzo del 1933 a Kaalualu, nelle Hawaii, arrivo una colossale ondata, alta un centinaio di metri, che cancello tutto ciò che ha incontrato durante il suo cammino.
Lo Tsunami ebbe conseguenze drammatiche anche nel resto delle Hawaii con ingenti danni e case e edifici distrutti dalla furia dell’acqua.
Il 7 Dicembre del 1944 un terribile maremoto, seguito da una onda alta fino a più 100 metri in alcuni punti, inabisso la località di Nachi River, in Giappone, cagionando morti e distruzioni ovunque.
Sulla terra ferma la grande onda riusci a adagiare delle navi mercantili e dei piroscafi da guerra nipponici.
Quello di Nachi River fu il peggiore Tsunami che abbia mai colpito il Giappone durante tutto il Novecento.
Il 27 Ottobre del 1936 la Lituya Bay fu teatro di un altro colossale Tsunami che stavolta non supero i 150 metri di altezza.
Anche allora l’origine dello Tsunami fu attribuita a una grande frana che si riverso nel mezzo della stretta baia.
Rimanendo sempre in Alaska il 28 Marzo del 1964 lungo la baia di Valdez, subito dopo un violento terremoto con ipocentro in mare, sopraggiunse una onda di Tsunami alta più di 70 metri che penetro fino all’entroterra causando gravi danni.
Fortunatamente il numero delle vittime fu limitato dalla scarsa densità abitativa dell’area.
Un pò più recente è il grande Tsunami che inondo l’isola di Lomblen, in Indonesia, con una ondata che toccò in alcuni punti una altezza fino a 100 metri.
L’onda arresto la sua corsa solo in prossimità dei rilievi più interni.
Quali sono le zone del pianeta a maggior rischio Tsunami ?
Tra quelle maggiormente esposte e soggette al rischio di maremoto troviamo soprattutto le coste hawaiane, cilene, giapponesi, quelle dell’Alaska e dei paesi del sud-est asiatico, anche perchè è qui che si verificano i più importanti movimenti tettonici e sismici del nostro pianeta.
In particolare sono i paesi affacciati sull’oceano Pacifico ad essere maggiormente interessati dall’incombente pericolo Tsunami.
Non è dunque un caso se in quest’area, fin dal lontano 1948, operi il famoso “Pacific Tsunami Warning System”, un sofisticato sistema di osservazione e monitoraggio che si avvale di una fitta rete di stazioni di rilevamento sparse con delle boe galleggianti in tutto il bacino del Pacifico.
Uno strumento prezioso, che ha al suo attivo diverse previsioni “azzeccate”, ma purtroppo non ancora applicabile in tutte le circostanze.
Il recente Tsunami che ha colpito il nord-est del Giappone ha reso ancora più evidente questo limite.
Quali rischi corrono il “mare Nostrum” e l’Italia?
Anche il nostro Mediterraneo è da sempre soggetto al rischio Tsunami, specie in alcune aree che vanno dalle coste dell’Asia minore fino al bacino del mar Egeo, alla zona ionica di Sicilia e Calabria e al medio-basso Tirreno.
Circa 8000 anni fa un gigantesco tsunami devastò il Mediterraneo interessando le coste della Sicilia orientale, l’Albania, la Grecia, il nord Africa, dalla Tunisia all’Egitto, spingendosi sino alle coste del vicino oriente dalla Palestina, alla Siria ed al Libano.
La causa fu lo sprofondamento in mare di una massa di 35 chilometri cubi di materiale, staccatosi dall’Etna, in seguito ad un sisma di eccezionale magnitudo che si registrò lungo il fianco orientale del vulcano.
L’onda iniziale che si generò era alta più di 50 metri e raggiunse le propaggini estreme del Mediterraneo orientale in 3 o 4 ore, viaggiando alla velocità di diverse centinaia di chilometri orari.
Più recentemente tra gli Tsunami più devastanti registrati sul Mediterraneo possiamo citare quelli del 1169 e del 1693 che seguirono potenti scosse telluriche avvenute nel tetto dei principali segmenti di faglia ibleo-maltese.
Le ondate si abbatterono con grande impeto sui litorali della Sicilia orientale, fra Catania e Capo Passero, determinando la morte di almeno diverse migliaia di persone.
Ancora più potenti furono gli episodi che investirono le coste tirreniche di Sicilia e bassa Calabria durante la nota crisi sismica del 1783.
In Italia le zone più a rischio rimangono quelle della Sicilia orientale e della bassa Calabria, più esposte ad onde di Tsunami innescate da grandi frane sottomarine che avvengono lungo il bordo della ripida scarpata continentale siciliana, a seguito di forti terremoti.
Pure le coste del medio-basso Tirreno potrebbero subire gli effetti di una eventuale eruzione vulcanica sottomarina di giganti come il Marsili o il Valinov, che distano a soli 150 km dalle coste campane e calabresi.
In caso di eruzioni potrebbero produrre maremoti molto pericolosi per gli abitanti delle coste vicine, come quelle della Campania, Calabria e Sicilia.
La sfida attuale nella prevenzione e previsione degli Tsunami
La sfida attuale, alla luce dei gravi episodi recenti, è quella di cercare di capire come si formano per prevederli in tempo e salvare più vite possibili.
Ma il modello classico dell’interferenza costruttiva non è al momento sufficiente per spiegare fino in fondo il fenomeno che può verificarsi li dove non sussistono tutte le condizioni classiche per la loro formazione.
Da anni team di matematici, fisici e oceanografi cercano di analizzare il fenomeno sondando la superficie del mare con satelliti e radar elaborando delle teorie basate su modelli non lineari.
Per vedere e analizzare i primi risultati bisognerà aspettare ancora del tempo sperando in ulteriori passi in avanti nel campo della prevenzione.