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Identificate le ‘impronte digitali’ del plutonio 239, l’elemento utilizzato per le armi nucleari. Dopo 50 anni di risultati fallimentari il segnale prodotto dal decadimento di questo elemento radioattivo è stato analizzato con la tecnica della risonanza magnetica e potrà seriamente contribuire ad identificarne le scorie e realizzare materiali di stoccaggio. Lo studio coordinato dall’Istituto Giapponese di Ricerca per l’Energia Atomica è stato pubblicato sull’ultimo numero di Science. Nonostante il plutonio 239 sia un elemento noto da tempo e ‘ampiamente’ utilizzato per scopi bellici nella realizzazione di bombe nucleari a fissione, la sua struttura atomica a presentato fino ad ora numerosi interrogativi. Tutti i tentativi di poterne ‘visualizzare’ la struttura attraverso indagini di Risonanza Magnetica Nucleare si erano infatti rivelati infruttuosi. Uno dei grandi ostacoli che aveva reso possibile al plutonio di continuare a sfuggire alla ‘fotosegnaletica’ con la risonanza è la sua estrema complessità. Quest’elemento metallico possiede numerose particolarità date proprio dalla sua struttura atomica, come ad esempio quella di non essere magnatico oppure di contrarsi all’aumentare della temperatura, che lo rende particolarmente sfuggente. Per ‘intrappolarlo’, i ricercatori hanno raffreddato un campione a bassissime temperature e poi posto all’interno di una vasta gamma di campi magnetici alla ricerca di eventuali interazioni. I risultati di questa ‘immagine’ hanno fornito informazioni preziosissime per la comprensione della sua struttura atomica, dati che, sostengono gli stessi ricercatori, potrebbero essere fondamentali per utilizzi ‘controllati’ del plutonio, dalla realizzazione di ‘gabbie’ fate ad hoc per la conservazione delle scorie a nuovi strumenti per la rilevazione delle sue tracce, fino anche alla messa a punto di motori a ioni di plutonio per la propulsione di grande efficienza per i satelliti.