Per comprendere le origini geologiche dell’attuale crisi sismica che sta interessando l’alta pianura del Modenese e del Ferrarese bisogna rifarsi non a quello che si vede in superficie, ma alle caratteristiche geologiche, rocce e grandi strutture tettoniche (pieghe e faglie), presenti in profondità nel suo sottosuolo. Queste rocce e strutture tettoniche sono attualmente non visibili direttamente perché mascherate dalla presenza di sedimenti alluvionali (ghiaie, sabbie, limi, argille, ecc.) lasciati dai vari corsi d’acqua che solcano la Pianura Padana e di sedimenti marini immediatamente sottostanti.
Che cosa nascondono questi sedimenti fluviali e marini recenti? L’intensa esplorazione petrolifera eseguita con metodi indiretti (metodi geofisici) e diretti (tramite perforazioni) nei decenni passati dall’AGIP ci ha permesso di conoscere con un certo dettaglio la natura delle rocce e le strutture presenti nel sottosuolo padano fino a svariati chilometri di profondità .
Questo substrato più antico molto deformato rappresenta la prosecuzione verso NE della catena appenninica in lenta migrazione verso N e NE. Sotto la pianura è quindi presente una vera e propria catena sepolta. Questa catena deriva dalla collisione di due grandi placche: quella europea con il suo margine più orientale, il blocco sardo-corso, e quella africana col suo bordo più nord-occidentale: l’Adria. La collisione e l’interazione di queste placche ha portato al piegamento e al sollevamento dei sedimenti situati tra esse. La catena geologica non coincide però con quella topografica; una buona parte dell’Appennino, e precisamente la sua parte più frontale, si trova sepolta al di sotto dei sedimenti della Pianura Padana (Fig. 1).
Sono proprio i movimenti compressivi delle strutture (pieghe e faglie) sepolte di questa porzione dell’Appennino a generare i terremoti in pianura. Questi terremoti indicano che la porzione frontale, nordorientale della catena appenninica sepolta è tuttora in evoluzione, ossia che le pieghe e le faglie inverse che la caratterizzano sono attive. Queste strutture a pieghe e faglie inverse (Figg. 2 e 3), situate nel sottosuolo tra la pianura modenese e Ferrara, note come pieghe ferraresi (Fig.4) (note in passato come “Dorsale ferrarese”), attivandosi (muovendosi) hanno generato il terremoto del 20 maggio. Il fatto che il movimento sia avvenuto a circa 6 km di profondità, e quindi abbastanza vicino alla superficie, ha portato a trasferire buona parte dell’energia sismica (magnitudo 6 della scala Richter) ai manufatti costruiti in superficie, generando numerosi danni. La distribuzione in pianta degli epicentri e le profondità ipocentrali (profondità a cui è avvenuto ogni singolo terremoto), così come si desume dai dati dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), implicano probabilmente che non una singola faglia, ma più faglie inverse si siano riattivate in corrispondenza della porzione frontale dell’Appennino sepolto, ossia in corrispondenza delle pieghe ferraresi.
- (A cura di Giuseppe Bettelli, Stefano Conti, Filippo Panini, Giovanni Tosatti del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Modena e Reggio Emilia )