Secondo un team di scienziati anche l’oceano Atlantico potrebbe essere attraversato da un devastante “mega tsunami” che potrebbe avere degli esisti veramente devastanti fra i Caraibi e l’East Coast degli USA. Molte grandi città del nord America, come Miami, New York e Boston, rischiano di essere sommerse da quest’imponente maremoto, che dovrebbe originarsi in prossimità delle coste occidentali africane. La minaccia sarebbe rappresentata dal Cumbre Vieja, il mastodontico vulcano che domina l’isola di Las Palmas, nell’arcipelago delle Canarie. L’edificio vulcanico del Cumbre Vieja da secoli caratterizza la topografia dell’isola di La Palmas, con ampi declivi e pareti verticali a strapiombo sulle acque dell’oceano Atlantico. Ambiente ideale per lo sviluppo di grossi movimenti franosi. Già nell’Ottobre del 2000 la BBC aveva trasmesso un documentario, con il titolo “mega-tsunami; ondata di distruzione”, dove per la prima volta veniva evidenziato lo studio di un gruppo di vulcanologi scienziati statunitensi e britannici, secondo cui una nuova grande eruzione del Cumbre Vieja potrebbe innescare una colossale frana, sia sub-aerea che sottomarina, del versante occidentale del vulcano, la quale sprofondando sull’oceano genererebbe un potentissimo tsunami, in grado di propagarsi all’intero bacino dell’Atlantico, abbattendosi fra le coste del Sud-America, Caraibi orientali, Nord-America, coste dell’Africa settentrionale ed Europa occidentale. Questa onda, muovendosi ad una velocità media di propagazione di circa 600-700 km/h (velocità tipiche per uno tsunami di vaste proporzioni), nel giro di 4-5 ore, dopo aver attraversato l’oceano, andrebbe ad abbattersi con grande impeto sulle zone costiere dei Caraibi orientale (dalle piccole Antille fino alle coste orientali di Puerto Rico e le Bahamas), della Florida, del Brasile, come sul resto di tutta l’East Coast degli USA e su parte della costa canadese sud-orientale. Sul nord-africa come nel sud-ovest della Spagna l’onda dovrebbe arrivare invece parzialmente indebolita dal fenomeno della “rifrazione” (le ondate aggirando le coste delle Canarie perderanno parte del loro potenziale energetico iniziale).
Queste preoccupazioni vengono accresciute da chiari segnali d’instabilità rilasciati dal vulcano. Proprio sul versante occidentale del Cumbre Vieja si è aperta un enorme fenditura, lunga circa 5 km, che taglia netto una intera area ai piedi del cratere. Questa grande spaccatura, che diviene sempre più larga col passare degli anni, secondo i vulcanologi britannici e statunitensi indicherebbe il segnale di un graduale collasso, verso l’oceano, di una intera parete rocciosa del grande vulcano. In pratica, un intero settore dell’edificio vulcanico, sta pian piano slittando verso il basso, favorendo le condizioni ideali per la genesi di enormi movimenti franosi in caso di un’eruzione violenta ed improvvisa, accompagnata da una intensa attività sismica. L’apertura di questa lunga spaccatura, sul versante occidentale della parete vulcanica del Cumbre Vieja, sarebbe imputabile all’acqua piovana, che filtrando dal suolo poroso che lo caratterizza avrebbe impregnato le rocce sottostanti, appesantendole notevolmente, al punto da creare questo forte squilibrio. Divenendo sempre più pesante, a causa delle continue infiltrazioni di acqua piovana, il fianco più occidentale del vulcano starebbe gradatamente collassando verso l’Atlantico, al punto da aprire questa enorme spaccatura, lunga fino a 5 km.
Il Cumbre Vieja potrebbe essere in grado di produrre un devastante “mega tsunami” sull’oceano Atlantico ?
Se il Cumbre Vieja dovesse eruttare il rischio che una intera parete del versante occidentale del vulcano (stimata attorno i 500 chilometri cubici) scivolerebbe sul fondo dell’oceano, con un enorme flusso di detriti che dovrebbe sprofondare fino al fondo dell’Atlantico, sarebbe molto elevato. In tal caso, l’enorme quantità di detriti e materiale roccioso che finirebbe sott’acqua ad una velocità piuttosto ragguardevole causerebbe un rapido e improvviso spostamento delle masse d’acqua sovrastanti, generando la perturbazione sottomarina (la quale interessa gli strati d’acqua molto profondi) che alimenta l’insorgenza del “mega tsunami”. Lo spostamento d’acqua prodotto si propaga progressivamente in superficie creando onde superficiali molto lunghe, anche di qualche centinaio di chilometri, che si estendendo in tutta la superficie oceanica (come quando si lancia un sasso in uno stagno).
Quando questa “perturbazione sottomarina” (le turbolenze che alimentano gli tsunami investono l’intera colonna d’acqua, dal fondo fino alla superficie) si avvicina alla costa il fondale, divenendo sempre più basso, funge da attrito alla perturbazione sottomarina, costringendola di botto a rallentare la sua elevata velocità di propagazione. Il fondale quindi rallenta la fortissima velocità di propagazione dell’onda. Mentre ciò accade l’energia contenuta (per il principio di conservazione dell’energia) in seno a tale perturbazione tenderà a far crescere a dismisura l’altezza dell’onda, favorendo cosi la formazione di un vero e proprio muro d’acqua preceduto dal graduale ritiro delle acque in prossimità dei litorali (a volte il fondale marino rimane scoperto per decine di metri), importante fenomeno premonitore dello tsunami che si avvicina. Avendo conservato buona parte dell’energia che lo ha generato in mare aperto lo tsunami si abbatte con grande impeto sulle coste, sotto forma di una serie di grandi ondate, con “Run Up” notevoli li dove il fondale lo consente, che penetrano sino al vicino retroterra portando gravi devastazioni, con una lunga scia di morti e distruzioni li dove colpiscono con grande energia. In alcuni casi, come avviene spesso alle Hawaii, in Giappone e lungo le coste indonesiane, della Papua Nuova Guinea, delle isole Figi e Samoa, la presenza di estese scogliere (con 1-2 metri di fondo) sottocosta possono far rallentare di colpo la velocità di un Maremoto oceanico, favorendo lo sviluppo di colossali ondate che possono toccare delle altezze davvero considerevoli, pronte a superare persino i 15-20 metri di altezza.
Le probabilità di un evento di portata catastrofica rimangono molto basse; ecco il perchè
In realtà questa previsione è stata aspramente criticata da una parte della comunità scientifica internazionale, visto la portata a dir poco catastrofica. Secondo molti vulcanologi (tra cui pure diversi italiani) la possibilità che l’intero fianco occidentale del Cumbre Vieja possa cascare sull’oceano, tutto di un colpo, è alquanto rara. Solo un evento veramente colossale, tipo l’esplosione del cratere, potrebbe far collare in un solo colpo l’intero versante occidentale del Cumbre Vieja, attivando l’imponente tsunami in tutto il bacino dell’Atlantico. Molto più probabili, in caso di eruzione, saranno gli eventi franosi di entità più piccola, che potrebbero sgretolare col tempo (dopo varie eruzioni) il versante ovest del vulcano, innescando più frane ai vari angoli della parete vulcanica, che presenta una considerevole acclività, una condizione quasi perfetta per lo sviluppo delle grandi frane gravitative. Frane che comunque non dovrebbero presentare un energia sufficiente per creare un gigantesco tsunami, come quello prognosticato in questo studio. Eppure occorre ricordare che la storia della Terra è ricca di eventi di tale portata.
Basta ricordare l’apocalittico “mega tsunami” che nel Luglio 1958 sconvolse la Lituya Bay, in Alaska, dove il crollo di una intera montagna alla testa del fiordo diede origine ad una mostruosa ondata che raggiuse un “Run-Up” di ben 500 metri. In pratica l’onda si riverso con tutto il suo carico sulla sponda opposta della baia estirpando alberi di conifere, vegetazione e persino la terra sottostante fino all’altezza di 525 metri. Tuttavia l’onda non è riuscita a scavalcare le montagne che circondano quella baia e per questo non può essere considerata l’onda più distruttiva mai registrata. Durante lo sconvolgente evento sulla baia erano ormeggiate ben tre piccole imbarcazioni, tra queste solo una riuscì a mettersi in salvo cavalcando il fronte d’onda fino alla sua imboccatura. Quello di Lituya Bay sarà ricordato come lo tsunami più grande mai registrato sul pianeta, almeno in tempi moderni. Questa stretta baia dell’Alaska fin dal passato, visto le sue caratteristiche geomorfologiche uniche al mondo, è stata ripetutamente colpita da ondate giganti che ne hanno modificato il paesaggio più volte.