Il 19 settembre del 1985 si verificò in Messico uno dei terremoti più disastrosi del Novecento. Migliaia di persone morirono, soprattutto nella capitale, dove collassarono centinaia di edifici. La scossa, di magnitudo 8.0, ebbe luogo di prima mattina lungo la costa Pacifica del Messico, nei pressi di Lazaro Cardenas, nello stato del Michoacàn al confine con il Guerrero (aree colpite in questi giorni da devastanti alluvioni).
Gli effetti del terremoto furono disastrosi, ma ciò che più colpì fu che i danni maggiori si registrarono a oltre 350 km di distanza dall’epicentro, a Città del Messico. L’area della costa Pacifica infatti, pur subendo danni gravissimi (l’intensità nella scala MCS arrivò al IX grado), non conobbe la devastazione che invece interessò la Capitale. A Città del Messico invece, quasi 400 km nell’entroterra, la scossa fu lunghissima e devastante: collassarono centinaia di edifici, ed oltre tremila strutture e abitazioni furono seriamente danneggiate, in particolar modo nel centro della città. La città sprofondò nel caos, ci furono moltissimi incendi e il bilancio dei morti non è mai stato accertato, oscillando fra 4.000 e 10.000.
Il terremoto del 1985 stupì e fece interrogare la comunità scientifica: normalmente infatti i danni si distribuivano in maniera più o meno concentrica intorno all’epicentro, diminuendo man mano che ci si allontanava dal luogo del terremoto. Nonostante la potenza del terremoto, che infatti venne avvertito fino al Texas e al Guatemala, destava stupore il fatto che i danni maggiori fossero avvenuti a quasi 400 km dall’epicentro. Inoltre, ci si domandava, come mai se Città del Messico era stata così colpita, città come Guadalajara o Oaxaca, situate più o meno alla stessa distanza l’una al nord e l’altra al sud non avevano subito danni? E come mai molti centri situati fra la costa Pacifica e Città del Messico erano rimasti intatti?
Dopo numerosi studi, emersero i primi risultati, che oggi sono un dato conosciuto e acquisito dalla comunità scientifica. In sostanza il terremoto aveva subito, in corrispondenza della Capitale, un’amplificazione sismica dovuta alle particolari caratteristiche del sottosuolo cittadino e alla morfologia locale. La città sorge infatti in un bacino montano di forma concava, riempito da sedimenti alluvionali di tipo lacustre. Fino a poche migliaia di anni fa al posto di Città del Messico sorgeva il Lago Texcoco, sulle cui sponde progredì l’impero atzeco. I sedimenti lasciati dal lago, molto più “soffici” e incoerenti rispetto alle rigide rocce vulcaniche che bordano la valle, hanno amplificato enormemente le onde sismiche giunte fin lì dalla costa Pacifica. Ciò è dovuto alla diminuzione di velocità delle onde sismiche superficiali, che attraversando terreni incoerenti rallentano, aumentando però in ampiezza e causando quindi maggiori danni. Inoltre il rallentamento delle onde causa anche un aumento nella durata del sisma.
Un altro fenomeno che avvenne a Città del Messico e che aumentò ulteriormente la distruttività del sisma fu quello della doppia risonanza: in sostanza il terreno e le strutture costruite dall’uomo iniziarono a oscillare alla stessa frequenza, che è la situazione peggiore in assoluto per la resistenza di strutture in cemento armato. Infine la struttura morfologica del bacino in cui sorge la città, di forma concava e chiuso ai bordi da catene montuose, ha fatto si che le onde sismiche abbiano rimbalzato ai bordi percorrendo in lungo e in largo la valle più volte, un po’ come accade quando in una bacinella piena di acqua si creano delle onde ed esse iniziano a rimbalzare a ogni lato sovrapponendosi e sommandosi fra loro.
Le conoscenze acquisite dallo studio del terremoto di Città del Messico, insieme a quelle di altri gravi terremoti avvenuti negli anni a seguire, hanno permesso di sviluppare il concetto di Risposta Sismica Locale: in sostanza le onde sismiche possono subire modifiche dell’ampiezza, della durata e della frequenza a seconda del tipo di terreno che attraversano localmente. È per questo che vengono redatte anche in Italia le carte di microzonazione sismica, che oltre a prendere in considerazione la probabilità che un terremoto colpisca una determinata area negli anni a venire, prende in esame il grado di amplificazione che quel terremoto può subire a seconda della geologia e della geomorfologia locale.
Un esempio di comportamento diverso delle onde sismiche a seconda dei terreni attraversati è stato ben visibile anche nel terremoto de L’Aquila del 6 aprile 2009: nell’area colpita infatti, i paesi che sorgevano su sedimenti alluvionali (come Onna) subirono una distruzione molto peggiore dei paesi costruiti sulla roccia.