“Uomini ed istituzioni ebbero almeno due chiare occasioni per intervenire e, incomprensibilmente non lo fecero. La prima fra il gennaio ed il giugno 1957 quando SADE chiese ed ottenne di elevare l’altezza della diga “da 202 a 266 metri e portare il livello del massimo invaso da quota 677 a 722,50 metri elevando la capacita’ a 150 milioni di metri cubi. La seconda occasione si presento’ dopo il febbraio del 1960 quando avrebbero potuto decidere di non proseguire nell’invaso. Il resto e’ morte e devastazione che, anche se non viene detto, arriva fino ai nostri giorni”. Sono le agghiaccianti affermazioni di Vittorio D’Oriano , Presidente della Fondazione Centro Studi del Consiglio Nazionale dei Geologi che ha presentato alla stampa “9 OTTOBRE 1963 – Che Iddio ce la mandi buona – LA FRANA DEL VAJONT – Memoria storica di una catastrofe prevedibile” di Alvaro Valdinucci e Riccardo Massimiliano Menotti, un dattiloscritto che mai nessuno ha voluto pubblicare in 50 anni ma che adesso il Consiglio Nazionale dei Geologi ha deciso di rendere pubblico.
“Quando ci e’ arrivato il dattiloscritto di questo lavoro ho subito pensato che avevamo l’obbligo morale di pubblicarlo. Non solo per onorare la memoria del geologo Alvaro Valdinucci – ha proseguito D’Oriano intrattenendosi oggi con i giornalisti proprio nei pressi della diga – che sappiamo essere stato funzionario integerrimo e capace del Servizio Geologico di Stato, Ente cui va il nostro tributo di grande considerazione e che dovrebbe tornare a essere servizio autonomo dello Stato, ma anche perché le giovani generazioni di geologi devono conoscere, nella sua interezza, la storia, anche quella meno nobile, di una delle pi? grandi tragedie del nostro Paese, devono sapere quanto importante e delicato sia il nostro lavoro, devono comprendere come l’etica nella professione, nella sua accezione pi? nobile e generosa, segni lo spartiacque fra un grande professionista ed uno qualunque e, nell’ambito universitario, fra un maestro e un burocrate”.
La frana del 4 novembre 1960. Il 13 Aprile del 1962 crolla un torrione di roccia.
“Il 4 novembre 1960, dopo un periodo di intense piogge, alle ore 12,30 – si legge nel libro – una frana di circa 800.000 metri cubi precipita nel lago, interessando il tratto di versante compreso fra quota 400 e 850 m a monte della diga. L’invaso sfiora quota 650 m. La caduta provoca un’onda di due metri che, incontrando la diga, si solleva all’altezza di 10 metri. Si e’ delineato il perimetro della futura enorme frana, il pericolo si fa prevedibile e concreto; si inizia il conto alla rovescia che si concludera’ il 9 ottobre 1963”.
“Il 23 dicembre C. Batini, succeduto a Frosini, quale presidente della IV^ sezione del Consiglio Superiore dei LL.PP. – si legge nel libro – autorizza l’invaso fino a quota 655 m e quando il Genio Civile, con nota del 13 gennaio 1962, trasmette l’autorizzazione, la quota 640 risulta gia’ superata. La sollecitudine con la quale viene accolta la richiesta e’ sbalorditiva; Batini non sente il parere della Commissione di collaudo, fa a meno del parere del Genio Civile e autorizza direttamente, anziché concedere il solo nulla osta come prescrive la legge . “Il regaluccio di Natale alla SADE e’ fatto. Non e’ dato sapere come essa abbia ricambiato” . Il 31 gennaio 1962 Biadene chiede di proseguire l’invaso sino a quota 680 m e il 6 febbraio Batini autorizza la quota 675. Il 13 aprile, con l’invaso a quota m 667, crolla un torrione di roccia che, sotto controllo dal 4 dicembre 1961, si era spostato complessivamente di 100 cm . Il franamento sara’ occultato pure a Beghelli, ingegnere del Genio Civile di Belluno”.