11 novembre, la storia di San Martino di Tours: esorcista, vescovo e protettore dei cornuti

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Martino nacque nel 316 o 317 nella provincia romana della Pannonia (l’attuale Ungheria) e fu chiamato col diminutivo del dio della guerra Marte. Aveva solo 15 anni quando suo padre lo obbligò al giuramento militare e da lì a poco venne promosso al grado di “circitor”, facendo la ronda di notte e l’ispezione dei posti di guardia. Nel 338 avvenne un episodio emblematico: durante una ronda, in pieno inverno, incontrò un povero seminudo e, non avendo più denari, tagliò in due il proprio mantello con la spada, donandone una metà al povero.

TOURS 1 - CopiaMartino ricevette il battesimo nella Pasqua del 339, fu nominato esorcista dal suo amico vescovo Ilario e venne a sua volta eletto vescovo per acclamazione, dopo che i cristiani di Tours gli tesero un’imboscata, conducendolo sotto scorta in città, volendolo a tutti i costi come loro vescovo. Martino trascorse 26 lunghi anni, fino alla sua morte, battendosi per l’evangelizzazione, contro l’eresia e la miseria umana. Morì l’8 novembre del 397 e le sue esequie ebbero luogo l’11 novembre. Gli Ugolotti lo arsero il 25 maggio 1562 ma alcune reliquie furono tratte in salvo e tuttora venerate nell’attuale basilica di Tours, mentre un frammento è custodito a Ligugè, suo primo monastero. L’11 novembre di ogni anno si celebra la sua festa, coincidente nel calendario con la fine delle celebrazioni del Capodanno celtico, il celebre Samuin. I Celti, che si estendevano dall’Irlanda alla Spagna, dalla Francia all’Italia settentrionale, dalla Pannonia all’Asia Minore, in quei giorni di freddo intenso, portavano fiori ai cimiteri per alludere all’aldilà come un Paradiso e usavano anche accatastare i teschi pensando che il morto appartenesse ad entrambi i regni: quello dei vivi e quello dei morti. Dato che Martino divenne dal primo Medioevo il Santo più popolare d’Occidente, la Chiesa cristianizzò i festeggiamenti celtici. In Italia, ad esempio, fino allo scorso secolo, l’11 novembre cominciavano le attività dei tribunali, delle scuole e dei parlamenti e scadevano contratti agricoli e di affitto, era il periodo dell’anno in cui si traslocava, in cui si ammazzava il maiale. San Martino, proprio come la nostra Befana, scendendo dalla cappa del camino, portava regalini per i più buoni, depositando una frusta per i più cattivi ( il noto “Matin baton” francese).

San Martino era l’occasione giusta per finire il vino vecchio, in modo da ripulire le botti e prepararle a quello nuovo di zecca, è quindi anche il tempo di gustare il vino novello, da qui il noto proverbio ” Per San Martino ogni mosto diventa vino”. Gli abitanti della Padania (ex Gallia Cisalpina) mangiano castagne, vino ed oca e la scelta delle oche non è certo casuale! Sulpicio Severo, il biografo del santo, racconta che Martino si trovava con alcuni discepoli sulle rive di un fiume quando vide uccelli pescatori inseguire una preda, allora spiegò che quegli uccelli erano i seguaci di Satana, poi ordinò ad essi di ritirarsi in terre desertiche e fu obbedito. Sulpicio chiama questa specie di uccelli mergus. Probabilmente si trattava di cormorani, che la tradizione scambiò con le oche o forse con le anatre. Questo secondo la tradizione cristiana.

Ma l’oca era sacra ai Celti come simbolo del “messaggero dell’altro mondo”, e perciò le oche addomesticate, sacre ed intoccabili, accompagnavano i pellegrini ai loro santuari pagani. Ma di oche parlano anche alcune favole europee ambientate in terre celtiche ( es. “La guardiana delle oche” di Grimm). In Boemia l’oca non solo viene mangiata nel giorno di San Martino, ma da essa si traggono i pronostici per l’inverno: se le ossa spolpate sono bianche, l’inverno è mite e breve, al contrario, se sono scure, arriverà pioggia, freddo e neve. Nella cucina romana non ci sono ricette con l’oca, forse per la riconoscenza dei Romani verso questi volatili, simbolo di fedeltà e vigilanza. Una delle leggende più famose è legata all’assedio di Roma da parte dei Galli. La vicenda si svolge sul Campidoglio, dove sorgeva il tempio di Giunone presso cui vivevano le oche sacre alla dea. I Romani, assediati da tempo dai Galli, cominciavano a soffrire la fame ed erano tentati dal desiderio di uccidere le oche che si aggiravano libere sul Campidoglio, ma non osarono farlo essendo queste sacre.

Una notte Marco Manlio, un soldato che dormiva presso il tempio di Giunone, sentì le oche starnazzare,si alzò di scatto e corse alle mura della rocca. Si scontrò con un Gallo che insieme agli altri stavano scalando la rocca, affrontò il primo e gli strappò le dita. Intanto le oche, continuando a starnazzare, svegliarono tutto l’esercito che si precipitò a supportare Marco Manlio. I Galli, grazie all’allarme dato dalle oche, furono sconfitti definitivamente. Ma le tradizioni popolari hanno traformato San Martino in “Santo dei cornuti”. Nella mitologia latino-romana, si cita l’amore adulterino tra Marte e Venere, sorpresi insieme da Vulcano, dio del fuoco e marito della dea della bellezza, che li rinchiuse in una rete di ferro per mostrargli agli Dei, in modo da rendergli testimoni del tradimento subito. Gli Dei dell’Olimpo, però, lo derisero e la delusione di Vulcano fu ancora più forte. E’ forse da ciò che ha origine il detto “cornuto e mazziato”. Alcuni studiosi sono del parere che la tradizione di ritenere il Santo, patrono dei cornificati, deriverebbe dal fatto che in questo giorno si svolgevano fiere e feste aventi ad oggetto il bestiame con le corna (buoi, montoni ecc). Ma le corna erano un simbolo regale nell’antichità, adornavano la fronte degli dei, simboleggiavano la potenza e la luce, mentre il corno dell’abbondanza era simbolo di fecondità e felicità nella tradizione greco-romana.

Una delle nazioni che sente maggiormente questa festa è la Germania, dove si onora il Santo con un enorme falò: il Martinsfeuer. Alcune notti prima della festa e la notte stessa, i bimbi della zona si mettono in processione con in mano lanterne coloratissime, partendo a piedi da una chiesa per raggiungere la piazza principale. Il corteo di piccoli viene accompagnato da un San Martino moderno a cavallo e, una volta raggiunta la piazza, il falò viene acceso e iniziano i festeggiamenti. Sull’Isola di Malta, invece, ai bambini viene regalato un sacchetto pieno di frutta e il pane arrotolato di San Martino: l’Hobza ta ‘ San Martin”. In Italia, invece, la festa è sentita in particolar modo a Predazzo, in Valle di Fiemme, Trentino Alto Adige, dove 5 falò illuminano i fianchi delle montagne che circondano il paese e i giovani danzano, suonando corni di vacca e di capra e le cracole, che riproducono il gracidio delle rane e a Venezia, dove i bambini, cantando una filastrocca in dialetto, con pentole e coperchi al seguito, domandano a passanti e commercianti qualche spicciolo per comprare il dolce di San Martino, la cui versione più antica è realizzata con cotogne, caramelle o qualche dolcetto di cotognata.

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