Il Monte Fuji è un vulcano alto 3.776 m ed è la montagna più alta del Giappone. Con la sua cima innevata per 10 mesi all’anno, si trova al confine tra le prefetture di Shizuoka e Yamanashi, vicino alla costa sull’Oceano Pacifico dell’isola di Honshu, a 113 km da Tokyo, da dove è visibile quando il cielo è limpido (35°22’00’’N, 138°43’00’’ E). Come noi tutti sappiamo, il Giappone è un arcipelago vulcanico, molto dinamico dal punto di vista geologico e tettonico ed in particolare il Monte Fuji è situato sulla faglia tra la placca euroasiatica, la placca di Okhotsk (o Nord-Americana) e la placca delle Filippine.
Più precisamente, il vulcano si trova proprio sul punto in cui la faglia delle Filippine subduce sotto quella euroasiatica, con un movimento tettonico che, fondendo le rocce, dà luogo alla formazione di notevoli sacche magmatiche, le quali alimentano le numerose catene vulcaniche che si ergono sull’arcipelago nipponico (Fig.2)
Dal punto di vista strutturale, il monte Fuji è classificabile come uno stratovulcano, dove questo termine indica un vulcano di forma generalmente conica costituito dalla sovrapposizione di vari strati di lava solidificata, pomici e ceneri vulcaniche. A differenza dei vulcani a scudo, gli stratovulcani sono caratterizzati da pendii piuttosto ripidi (fino a 45°) e da periodiche eruzioni di tipo esplosivo. La lava che fuoriesce da questi vulcani ha generalmente una viscosità elevata che la porta a percorrere brevi distanze prima del definitivo raffreddamento e solidificazione. Gli stratovulcani sono anche chiamati vulcani compositi, proprio a causa della loro struttura stratificata, conseguenza degli accrescimenti avvenuti a seguito di eruzioni ripetute. Rappresentano la tipologia più comune di vulcani e sono più diffusi dei vulcani a scudo.
Famosi stratovulcani sono il Vesuvio e il Krakatoa, entrambi conosciuti per le loro catastrofiche eruzioni e in Italia anche lo Stromboli e l’Etna. La base del Fuji ha un diametro di 50 km, con un cratere profondo 200 m e del diametro di circa mezzo chilometro, coronato da otto piccole creste (Fig.3).
I vulcanologi hanno identificato quattro distinte fasi nell’attività vulcanica che lo ha prodotto. La prima, che portò alla formazione del Ko Mitake Kazan, è caratterizzata da un nucleo di andesite recentemente scoperto nella sua parte più interna. La seconda, formò il ko Fuji Kazan o Old Fuji, strato di basalto formatosi diverse decine di migliaia di anni fa.
Circa 100.000 anni fa si formò quindi lo Hurui Fuji sulla cima del Komitake Fuji. L’attuale Fuji, si ritiene si sia formato intorno ai 10.000 anni fa (Fig.4). Nel nono, decimo e undicesimo secolo si ebbero frequenti e violente eruzioni, in particolare quella dell’864, nota come l’ eruzione “the Jogan”, sul versante Nord-Ovest, è stata la più violenta tra i records storici (18 eruzioni documentate dall’800d.C.), con fuoriuscita di enormi quantitativi di lava e la formazione degli attuali altipiani e laghi. Una nuova eruzione si ebbe soltanto nel 15esimo secolo; il 16 dicembre del 1707 il Monte Fuji è esploso di nuovo, con un’eruzione che è durata circa 2 settimane, nota come l eruzione “Hoei”; due mesi prima un grande terremoto di magnitudo 8.4 ha colpito il Giappone, causando uno tsunami di 25,7 metri e uccidendo più di 30.000 persone.
Nonostante non ci sia stata una colata di lava, l’eruzione Hoei, che terminò il 1 gennaio 1708, ha rilasciato una tremenda quantità di cenere vulcanica, che si è diffusa su vaste aree intorno al vulcano, raggiungendo perfino Edo, quasi a 100 km dal Monte Fuji, con spessori di circa 3 metri in prossimità del vulcano, come mostrato nella carta delle isopache, linee che uniscono punti in cui le ceneri hanno raggiunto gli stessi spessori (Fig.5); i tephra invece (materiale vulcanico frammentato), viaggiarono in direzione NW raggiungendo l’oceano a oltre 200 km di distanza (Fig.5). Il volume delle ceneri fu stimato in circa 800.000.000 m³,mentre il volume totale eruttato in 0.68 km3. L’eruzione avvenne sul lato Sud-Occidentale del Monte Fuji e formò tre nuove bocche vulcaniche. Il Monte Fuji non ha più eruttato da allora.
Attualmente il Monte Fuji è tra i luoghi più visitati in Giappone, soprattutto per la sua naturale bellezza (Fig.6); rientra nel parco nazionale di Fuji-Hakone-Izu ed è circondate da 5 splendidi laghi; è una rinomata località sciistica, con numerose attività e sports, nonché sede di molti studi internazionali sulla biodiversità e sui cambiamenti climatici. Il monte Fuji si erge tra le 2 città più importanti del Giappone: la capitale Tokio e la città di Osaka, nel cuore pulsante dell’economia giapponese, per un totale di circa 20 mil di abitanti. Molti giapponesi sono tuttora convinti che salire almeno una volta nella vita sulla cima della loro montagna sacra, disseminata di santuari scintoisti, sia un dovere religioso da rispettare. La stagione cerimoniale dura soltanto nei mesi di Luglio e Agosto, quando il manto nevoso si scioglie quasi completamente e il clima si addolcisce. Oggi i pellegrini sono 400.000 all’anno, con punte di 20.000 al giorno.
Ma, come recita un noto proverbio giapponese, “salire almeno una volta sulla montagna sacra è un dovere, è invece da stupidi salirvi 2 volte”, un detto popolare che nasconde tutto il rispetto ma anche il timore del popolo giapponese per la loro montagna. E quest’ultima sembra aver risposto al proprio popolo, come dimostrato dallo sciame sismico di bassa frequenza che ha interessato il vulcano ad una profondità di circa 15 km a Nord-Est della cima da Novembre 2000 a Maggio 2001; in particolare proprio in quest’ultimo mese si sono registrate più di 100 scosse di magnitudo inferiore a 2, quando negli ultimi 20 anni la media era di 15 scosse al mese, scosse che si sono improvvisamente ridotte a partire dal 2002 con poche manifestazioni mensili. Questi eventi hanno ricordato al Giappone come il suo vulcano simbolo sia tutt’altro che spento, mandando i media giapponesi in delirio e costringendo i burocrati del governo a rispolverare i piani di gestione delle catastrofi (Fig.7). L’episodio ha inoltre indotto la formazione di un comitato nazionale per la valutazione del pericolo attuale del vulcano, che ha redatto una mappa dettagliata del rischio delle aree potenzialmente interessate da future eruzioni. Tali scosse di bassa frequenza, che spesso non vengono neppure avvertite in superficie, indicano che il magma sotto il Fuji sia in costante movimento, un magma che però sembra non interessi agli specialisti, che preferiscono le sorgenti che si trovano in pieno oceano e che hanno il vantaggio di essere in contatto diretto con il “magma” puro di origine astenosferica. Il magma del Fuji deve invece attraversare molte strutture tettoniche che si accavallano e incastrano a vicenda, rendendo tortuoso il suo percorso prima di potere arrivare in superficie.
Per gli studiosi di magma, quello del Fuji è ,potremmo dire, troppo sporco. Sono anche questi i motivi per cui il vulcano non è mai stato al centro dell’attenzione scientifica. Lo sciame sismico di bassa frequenza appena citato, ha indotto il governo di Tokyo, nel Novembre 2001, a varare un progetto inteso a studiare il monte Fuji per quello che è un vulcano che potrebbe ritornare in piena attività. Il progetto è stato quindi finanziato con la tecnica del fifty-fifty: quattro milioni e mezzo di dollari per la parte relativa allo studio geofisico del vulcano e altri quattro milioni e mezzo per lo studio di cosa potrebbe accadere in una zona che include una metropoli enorme come Tokyo. Il 15 marzo 2011 si è invece avuta un’altra scossa, questa molto più violenta, di magnitudo 6.2 come registrato dall’USGS (Servizio Geologico degli Stati Uniti), (Fig.7), con epicentro situato a 7 km SSW dalla cima, ad una profondità di soli 10 km; anche se non è tutt’ora chiaro il ruolo di questa scossa nel futuro del vulcano, questo terremoto e ancor di più quello disastroso di magnitudo 8.9 dell’11 marzo 2011, sono in grado di trasferire un enorme stress alle placche e di innescare a loro volta altri terremoti e possibili eruzioni vulcaniche, come già accaduto nel corso della storia per diversi altri vulcani nel mondo.
Oggi il Monte Fuji è classificato come 5 nella scala del VEI (Volcanic Explosivity Index, che va da 0 ad 8), come l’Etna, il Vesuvio e il Saint Helen. Oggi il vulcano è sottoposto ad un costante monitoraggio al quale contribuiscono molte università, tra le quali spicca quella di Tokyo, ma anche il Servizio Geologico Giapponese, l’Agenzia Meteorologica Giapponese e il National Research Institute for Earth Science and Disaster Prevention. Le ricerche condotte sono quelle tipiche del monitoraggio di un vulcano, ossia studi sulle emissioni di gas, sull’attività sismica e sulle deformazioni della stesso edificio vulcanico. All’ormai densa rete di sismometri che tappezza il vulcano, ha in parte contribuito anche il centro per l’osservazione sui terremoti dell’università di Tokyo, che nel proprio progetto ha previsto l’escavazione sul versante NE di 3 fori, distanti orizzontalmente in media 2 km; ogni foro ha un sensore a banda larga posizionato sul fondo, mentre il foro più profondo (circa 650m) ne avrà anche un altro ad una profondità intermedia, in modo che complessivamente formino una griglia tridimensionale; in particolare, la collocazione dei sismometri è tale da formare un tetraedro, permettendo di risalire precisamente all’area sorgente di un ipotetico terremoto, anche di bassa frequenza; i dati sono così prima inviati via radio ad una stazione posta ai piedi del versante Nord del vulcano e da qui sono inviati via cavo al centro dell’università di Tokyo (Fig.8). Recentemente gli scienziati hanno fatto esplodere una serie di ordigni intorno al Monte Fuji, per un totale di 1.102 libbre (500 chilogrammi) di esplosivo, ad una profondità di circa 263 piedi (80 metri) nel terreno. Le onde sismiche create da questi terremoti simulati hanno raggiunto circa 400 stazioni di monitoraggio diverse. I risultati aiuteranno i ricercatori a raccogliere informazioni sulle strutture del sottosuolo della montagna.
Per quanto riguarda gli scenari attesi, la caduta di ceneri, che nella zona più vicina al cratere raggiungerebbero spessori di 50 cm come riportato nella carta simulata delle isopache (Fig.9), causerebbe la chiusura di aeroporti internazionali, come quelli di Narita e Haneda, bloccando a terra 200 mila passeggeri e fino a 28 mil di pendolari per interruzione delle linee ferroviarie. Secondo una stima ufficiale del governo, i danni ammonterebbero a 2000 miliardi di yen, circa 21 miliardi di dollari; un devastante terremoto precursore provocherebbe il crollo di 200 mila abitazioni per un totale di 12.5 mil di persone a rischio. Vista la presenza di neve sommitale per 10 mesi all’anno, quest’ultima potrebbe essere istantaneamente e totalmente sciolta da un evento eruttivo con disastrosi e rapidi lahars (colate di fango) verso valle, le cui possibili traiettorie son tracciate in blu sulla carta (Fig.9). La commissione per il rischio sul monte Fuji e la prefettura di Yamanashi, in seguito a dettagliati studi, hanno redatto una mappa sul piano di evacuazione per il monte Fuji, mappa che contiene informazioni essenziali sulla prevenzione del disastro e le misure di evacuazione (Fig.10).
All’elaborazione della mappa sul rischio per il monte Fuji, ha partecipato anche Shigeo Aramaki, uno dei principali leaders in campo vulcanologico in Giappone, il quale ricorda come negli ultimi 2200 anni, a giudicare dal record geologico e storico, il vulcano abbia eruttato almeno 75 volte, ossia all’incirca ogni 30 anni; 300 anni di quiete potrebbe dunque indicare una variazione naturale di tale ciclo, restando comunque un intervallo di riposo lungo, troppo lungo. Secondo Chris Newhall, dell’USGS, i così detti terremoti di lungo periodo, come quelli osservati tra il 2000 e il 2001, sono segni che il magma sta costruendo condotti entro le viscere della montagna. “Un vulcano può assorbire un bel po’ di questi accumuli di magma, senza eruzione. Ma ognuno aggiunge un po’ più di calore e di gas”, ha detto; un po’ come una molla che accumulando energia, prima o poi sarà pronta a scattare. Secondo Hiromu Okada, dell’Hokkaido University di Sapporo e dell’Osservatorio di Singapore, l’eruzione del vulcano del 1707 è stata così grande e distruttiva da alterare la struttura sotterranea del Fuji, sconvolgendo quello che era una volta un ciclo più regolare di eruzione. E come i residenti di San Francisco, in California, le persone in Giappone si stanno preparando per il loro prossimo Big One, noto come “il grande terremoto di Tokai”, zona di subduzione particolarmente attiva, che si trova appena a Sud-Ovest di Tokyo. “Il terremoto di Tokai potrebbe avere un forte effetto sul sistema dello stress tettonico per quasi tutto l’arcipelago giapponese”, ha detto Okada.
Di certo non serve un esperto per ricordarci come una futura eruzione del Fuji, si aggiungerebbe ad una lunghissima lista di catastrofi naturali che da sempre hanno accompagnato la storia del Giappone (Fig.11). Per la sua stessa conformazione geologica, arcipelago vulcanico, il paese del sol levante è disseminato di giganti come il Fuji; basti guardare la cartina dell’USGS, che riporta i principali vulcani giapponesi (ben 108 attivi, Fig.11); e dove ci sono vulcani non possono mancare i terremoti, ultimi tra i più disastrosi quello di Kobe nel 1995 di magnitudo 6.8 con più di 6000 vittime e il più recente dell’11 marzo 2011 a Fukushima, di magnitudo 8.9, con annesso maremoto con circa 20000 tra morti e dispersi. La convivenza perenne con una natura così ribelle ha spinto i giapponesi, più di ogni altro paese al mondo, ad investire in una tecnologia che in qualche modo li proteggesse dalle calamità naturali, come ad esempio l’edilizia antisismica, a cui tutti guardano come un modello da seguire. Di sicuro dunque il Giappone ancora una volta si configurerebbe come il miglior paese in grado di affrontare non solo un’eruzione vulcanica, ma qualsiasi altro evento catastrofico, e questo non soltanto in termini di tecnologie disponibili, ma anche e soprattutto grazie ad un’invidiabile forza d’animo e voglia di ricominciare, come più volte tale paese ci ha ricordato.