L’Etna continua a dare spettacolo con le sue affascinanti eruzioni che anche in questo 2013 stanno regalando momenti di grande entusiasmo a tutti gli appassionati, nonostante l’apprensione per la “pioggia nera” di cenere vulcanica che rappresenta l’unico problema legato a questo tipo di eruzioni parossistiche.
Per fare il punto della situazione sulle condizioni del vulcano, abbiamo intervistato il dott. Salvatore Caffo, esperto vulcanologo e dirigente dell’Unità Operativa di Vulcanologia dell’Ente Parco dell’Etna.
L’Etna sta dando grande spettacolo di recente con numerosi eventi eruttivi particolarmente intensi e spettacolari. Come possiamo inquadrare questi parossismi? Di che tipo di attività si tratta?
“Come ben sappiamo l’Etna non è nuova a simili spettacoli e con il parossismo di oggi, siamo al 20° evento per il 2013 e certamente non possiamo escluderne altri, anzi appare altamente probabile la riproposizione di eventi eruttivi della stessa natura di quelli sin qui osservati. L’Etna ha conosciuto cicli eruttivi culminati in attività violentemente esplosive che hanno condizionato la vita delle popolazioni residenti alle sue pendici, ma pur nella loro eccezionalità, non possono essere disgiunte dalle complesse e variabili fenomenologie termodinamiche occorse negli anni precedenti sull’Etna, poco rispondente alla storia geodinamica del complesso poligenico etneo e nello stesso tempo, ci devono far riflettere circa il nostro rapporto con il territorio. Ricordiamoci che è l’Etna a stabilire le Regole del gioco. Il vulcanismo è un fenomeno a scala planetaria che le testimonianze geologiche ci dicono essere presente e attivo da miliardi di anni. Tale imponente fenomeno naturale ha enormemente contribuito e continua a farlo a modificare la superficie rugosa del nostro pianeta e consiste nel trasferimento d’immense quantità di energia e materia dall’interno del pianeta fino alla sua superficie attraverso continui processi di fusione parziale del mantello superiore terrestre. Qualsiasi attività vulcanica, parossistica o di modesta entità, è dovuta direttamente o indirettamente alla liberazione più o meno violenta dei gas disciolti molecolarmente nel magma. Il modo in cui si manifesta la separazione della fase gassosa dal resto della massa silicatica fusa, è funzione della viscosità del magma e delle condizioni geodinamiche che determinano la sua ascesa.
Durante le fasi di quieto degassamento dai crateri sommitali, regime che tipicamente caratterizza l’Etna nell’attività definita persistente, si registra un segnale sismico di bassa intensità (tremore vulcanico) determinato dall’azione meccanica delle bolle di gas che si liberano in corrispondenza della sommità della colonna magmatica. Si tratta di un segnale sismico piuttosto complesso caratterizzato da basse frequenze, generalmente inferiori ai 6 Hz e da ampiezze variabili in relazione allo stato di turbolenza dinamica dei gas all’interno dei condotti vulcanici. Se l’equilibrio termodinamico viene perturbato da una modificazione interna al sistema magmatico o in seguito all’apertura di fratture profonde o per ragioni legate alla tettonica regionale, una quantità enorme di bolle di gas (Slug), tenderanno a occupare l’intera sezione dei condotti craterici e porteranno alla risalita di magma lungo gli stessi, creando le condizioni per l’innesco di un nuovo evento vulcanico. La liberazione in superficie di questi Slug genera dei momentanei e successivi incrementi nell’ampiezza del tremore vulcanico, segno dello stato di turbolenza dei gas, che, in superficie daranno origine ad attività stromboliana di crescente intensità, frequentemente accompagnata dall’emissione di fontane di lava, che possono raggiungere diverse centinaia di metri in altezza, e dal lancio di materiali solidi quali blocchi e bombe vulcaniche. Il tremore vulcanico e specificatamente la frequenza del tremore vulcanico, è un utile indicatore sismologico che consente l’interpretazione di attività eruttive, violentemente esplosive in funzione dello stato di agitazione magmatica all’interno delle porzioni sommitali del vulcano e, in tal senso è validamente applicato per la previsione a breve termine di parossismi eruttivi di tipo sommitale ma anche di tipo laterale”.
Cosa ci si attende sul futuro (più immediato e anche più lontano) dell’attività eruttiva dell’Etna?
“In un mio articolo pubblicato sul bollettino trimestrale dell’Ente Parco dell’Etna, il n. 37 del settembre 2011 consultabile nel sito ufficiale del Parco all’indirizzo: http://www.parcoetna.it/bollettini.aspx, affermavo che numerosi studi e ricerche, effettuate nel corso di molti anni da parte di geofisici e vulcanologi e mirati a una migliore conoscenza sia della struttura interna del sistema vulcanico dell’Etna sia dei fenomeni precursori delle eruzioni, hanno consentito di stabilire che nel tempo ci si dovrà attendere una maggiore frequenza di fenomeni eruttivi ma non, come molti pensano, a una variazione del chimismo dei magmi e conseguentemente a una maggiore “esplosività” dell’Etna, bensì alla normale evoluzione dell’attività vulcanica”.
Come mai, da più anni, i parossismi si susseguono a breve distanza da settembre ad aprile per interrompersi nella stagione estiva? C’è un aspetto “stagionale” di questo tipo di attività?
“Non esistono studi scientifici che confermino una correlazione tra la posizione astronomica della Terra e conseguentemente con una ben precisa stagione e le sue condizioni meteorologiche e gli eventi parossistici o più in generale le attività vulcaniche. Gli eventi eruttivi parossistici occorsi negli ultimi anni e dei quali abbiamo ampiamente conosciuto ogni dettaglio attraverso le puntuali descrizioni operate dai ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia attraverso i loro rapporti scientifici, e attraverso gli ampi servizi giornalistici presenti sui media e non ultimo con i social network, si sono registrati in ogni mese e stagione dell’anno. A titolo di esempio, nel 2011 tra i diciotto parossismi che si sono sviluppati durante tutto l’anno, ben dieci si sono registrati nella stagione estiva tra il 9 luglio e il 19 settembre”.
Come sta “cambiando” a livello geografico il vulcano, soprattutto nella zona del Nuovo Cratere di Sud/Est?
“Sappiamo dagli studi geologici che l’Etna si è sviluppata, modificata, distrutta e ricostruita attraverso una molteplicità di eventi geologici e vulcanologici che si sono succeduti nel corso di molte decine di migliaia di anni. Questa speciale “finestra astenosferica” rappresenta una “risposta” al complesso processo di convergenza litosferica tra la placca africana a Sud e quella euroasiatica a Nord e ai molteplici eventi geodinamici che hanno caratterizzato il bacino del mediterraneo. Le migliaia di colate di lava, le immense quantità di scorie, lapilli, ceneri e tufi emesse nel corso dell’incessante attività vulcanica di questa straordinaria macchina termodinamica naturale, hanno distrutto e in alcuni casi sigillato o semplicemente nascosto per sovrapposizione stratigrafica, i resti dei vari centri eruttivi preesistenti.La genesi e la successiva evoluzione morfologica e strutturale dell’imponente cono di scorie impiantato sul fianco orientale del Cratere sub terminale di Sudest, fino a eguagliarne l’altezza, ha avuto inizio il 6 novembre 2009, quando nella parte orientale del C.S.E. si formava un cratere pozzo, noto ai più come Pit-Crater. Adesso, considerando anche il ritmo di accrescimento è, come ben dice il collega Borìs Bencke, il cono vulcanico che cresce più velocemente al mondo”.
Di recente s’è attivato dopo molti anni anche il cratere centrale: come mai? Cosa ci si può attendere?
“Non soltanto il Cratere Centrale anche il Cratere di Nord Est e la Bocca nuova sono stati interessati da attività nel corso di alcuni episodi parossistici e ciò è da mettere in relazione sia alla dinamica della risalita e messa in posto dei prodotti vulcanici sia alla geometria dei condotti che nel corso delle varie e complesse fenomenologie occorse negli ultimi anni e mesi, hanno subito profonde modificazioni, consentendo la riattivazione dei crateri. Ovviamente ciò dimostra semplicemente l’evoluzione strutturale dei Crateri sommitali in seguito all’attività vulcanica”.
Le ultime 3 eruzioni hanno sprigionato più energia rispetto alle precedenti: è una casualità, o l’attività si sta intensificando?
“La lava, rappresenta il prodotto finale di un lungo processo svoltosi all’interno del nostro pianeta e che durante un’eruzione può risalire verso la superficie in tempi che variano da poche ore a molti anni, subendo nello stesso tempo un vero e proprio processo di distillazione per differenziazione magmatica che produce magmi di composizione chimica e mineralogica assai differente rispetto al magma capostipite. Le numerose analisi di natura petrochimica condotte dagli scienziati dell’Università degli Studi di Catania e dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, non mostrano variazioni indicative nella composizione dei magmi che possano giustificare una modificazione in senso stretto dell’attività eruttiva dell’Etna verso una maggiore esplosività. Diciamo che le rocce di natura basaltica latu sensu, sono sostanzialmente sempre le stesse da moltissimo tempo. La minore o maggiore esplosività delle eruzioni dipende da numerosi fattori, tra i quali l’altezza della colonna magmatica all’interno dei condotti di risalita e soprattutto dalla quantità di gas contenuto nel magma e in particolare dall’acqua presente a livello molecolare. Affinché il magma possa essere frammentato in misura rilevante, le bolle di gas, dovranno occupare la gran parte del volume della massa magmatica che risale verso la superficie. L’intensità delle esplosioni dipenderà dalle dimensioni delle bolle gassose, sviluppate all’interno del magma in ragione del suo grado di cristallizzazione. Se il magma risale meno velocemente rispetto alle bolle gassose, aumenterà la possibilità che si formino miscele di bolle gassose di grandi dimensioni che si svolgeranno violentemente dando luogo a esplosioni di notevole intensità. La riproposizione di episodi esplosivi con una frequenza che negli ultimi anni ha raggiunto valori molto elevati pur nella eccezionalità e naturalità degli eventi, rientra nella dinamica evolutiva dell’Etna ma ci esorta a non sottovalutare il potenziale pericolo di una non corretta pianificazione territoriale”.
Durante gli ultimi eventi eruttivi, addirittura fino alla Calabria centrale (Lamezia Terme, Vibo Valentia, Siderno, Roccella, oltre a Reggio) hanno avvertito fortemente i boati del vulcano e i tremori del suolo, tanto che in alcune località la gente è scappata dalle case in piena notte pensando che fosse un terremoto. Come mai? A cos’è dovuto il prorogarsi di tremori e boati? Sono caratteristiche ben note agli abitanti della zona etnea, ma molto più rari e insoliti per i calabresi, soprattutto a grande distanza.
“La liberazione violenta dei gas ad altissima temperatura dai condotti craterici, provoca l’improvvisa espansione termica dell’aria a una velocità superiore a quella del suono mediamente pari a circa 335 metri al secondo con la produzione di onde elastiche di compressione e di dilatazione (onda d’urto) che generano boati simili a quelli provocati da esplosioni. Questi ultimi, in funzione della frequenza e della propagazione delle onde sonore sono avvertiti dall’Uomo anche a grandi distanze e provocano il classico tintinnìo dei vetri. Sappiamo dalla fisica che la propagazione delle onde sonore, subisce fenomeni di attenuazione correlati alla presenza di ostacoli morfologici, alla presenza di vegetazione, alla temperatura e umidità dell’aria, alla direzione dei venti … La grande distanza alla quale sono stati uditi i boati dell’Etna, può essere spiegata dalla misura della pressione sonora, attraverso una stazione scientifica allocata a circa 4500 metri di distanza dal Cratere di Sudest. Durante gli ultimi episodi parossistici, sono stati rilevati livelli di pressione sonora superiori ai sessanta Pascal che per frequenza e intensità spiegano la percezione dei boati a così grande distanza. Basti pensare che un martello pneumatico posto a un metro di distanza, produce una pressione sonora di due Pascal”.
Gli unici disagi provocati da queste eruzioni sono legati alla “pioggia nera” della cenere che cade al suolo e in alcuni casi può anche compromettere il traffico aereo. Quindi possiamo parlare di questi eventi come un grande spettacolo della natura, prevalentemente innocui, ma fondamentali per gli studi e le ricerche di voi vulcanologi esperti del settore?
“Non c’è dubbio che questi fenomeni rappresentano uno dei più affascinanti e selvaggi fenomeni naturali e consentono ai vulcanologi di acquisire fondamentali dati per la comprensione della dinamica planetaria tuttavia, non intendo sottrarmi alla sua domanda e preliminarmente vorrei esprimere la mia vicinanza e stima alle popolazioni dell’Etna che da diverso tempo si trovano a dover fronteggiare quest’emergenza dovuta all’incessante e ciclica attività eruttiva dell’Etna che ha prodotto centinaia di milioni di tonnellate di scorie, lapilli e ceneri che tanti e gravi disagi stanno arrecando alle colture e alle innumerevoli attività antropiche”.
“Non c’è dubbio che il problema esiste e trovare la soluzione tocca a noi al limite ripensando al nostro modello di sviluppo urbanistico che stride fortemente in taluni casi con la plurimillenaria attività delle popolazioni che convivendo con questa “Montagna di Fuoco”, ne hanno modellato l’ambiente al punto da creare nuovi paesaggi umanizzati, sviluppatisi prevalentemente intorno all’agricoltura e all’allevamento e lasciando un’impronta indelebile, rappresentata da costruzioni di pregevolissima fattura in centri urbani antichi o in nuclei sparsi di case e casudde in pietra o in case padronali e contadine, complete di cantine e palmenti in un territorio caratterizzato da strade in basolato lavico, muri a secco, terrazzamenti. Oggi, non è più così! Abbiamo spesso costruito senza tenere conto non solo della situazione ambientale e paesaggistica ma senza tenere in alcuna considerazione fenomenologie che dimentichiamo si sono sempre avute in questi luoghi e richiedono un diverso modo di costruire”.
“Le grondaie dovrebbero essere per quanto possibili autopulenti o fatte in modo da evitare il rischio di occlusione, i tetti delle case costruiti in modo da evitarne il sovraccarico statico in seguito all’accumulo delle scorie, le canalette di scolo delle strade riprogettate e dimensionate alla fenomenologia che non può più essere ignorata. In altre parole, siccome non possiamo spostare i paesi, serve un nuovo approccio urbanistico al fenomeno naturale che impatta fortemente con le nostre vite. Occorre un cambio culturale che ci consenta di adattarci alle necessità imposte dalle Leggi della Natura e conseguentemente, una politica che s’interessi al territorio anche attraverso una pianificazione basata se del caso sulla decostruzione, laddove possibile. E’ opportuno che si prevedano nei P.R.G. delle aree di conferimento delle scorie e ceneri per non lasciare i piccoli comuni ad affrontare da soli questo problema. Non possiamo sottacere che dei Vulcani siamo soliti vedere soltanto gli aspetti negativi quando subiamo le conseguenze della loro attività, eppure, il “fuoco” primitivo, altrimenti inaccessibile, intrappolato nelle profondità della Terra che durante le eruzioni si affaccia alla superficie del globo portando all’accrescimento della crosta solida sopra il mantello e alla successiva e conseguente formazione dell’atmosfera e dell’idrosfera, culmina nello sviluppo della biosfera e in ultima analisi alla stessa vita. Si deve ai Vulcani se esiste la biodiversità!”