Continuano ad arrivare alla nostra Redazione tantissime segnalazioni del “verme cane“, il pericoloso verme marino che mai come quest’anno sta infestando le acque dello Stretto di Messina tra Calabria e Sicilia, di cui abbiamo già parlato nelle ultime settimane. In modo particolare i bagnanti di diverse spiagge nel reggino e nel messinese lamentano il fastidio provocato dall’esemplare. Per approfondire meglio l’argomento e scoprire ulteriori dettagli, abbiamo interpellato un esperto del settore, il prof. Salvatore Giacobbe del Dipartimento di Scienze Biologiche e Ambientali dell’Università di Messina.
Ai microfoni di MeteoWeb, Giacobbe spiega che “il “verme cane” (nome scientifico Hermodice carunculata) è da sempre un abitatore delle acque dello Stretto. Un abitatore tradizionalmente discreto, dalle abitudini notturne, noto ai pescatori esperti, ma sconosciuto agli abituali frequentatori delle spiagge. Specie amante dal caldo, da alcuni anni ha cominciato a proliferare, diffondendosi sempre più a nord, probabilmente aiutato dal riscaldamento climatico globale. L’inquilino discreto dei nostri mari è alla fine diventato un ospite invadente e indesiderato, che non rispetta più gli orari notturni, e che in alcuni tratti delle nostre coste si vede addirittura pullulare a profondità di bagnante”.
“In qualche spiaggia i bambini li raccolgono da riva con il coppo. Certamente a nessuno, magari munito di maschera, può far piacere trovarsi in acqua avendo sotto i piedi centinaia di vermi grossi e lunghi come würstel, ma il problema non è solo paesaggistico. Il verme cane infatti, se toccato, risulta estremamente urticante, a motivo delle migliaia di setole velenose e uncinate di cui è munito. Le setole possono poi staccarsi accidentalmente e ustionare il malcapitato anche senza un diretto contatto con l’animale. Il termine inglese “fireworm” (verme di fuoco) rende bene l’idea. E’ dunque chiaro che l’invasione delle nostre coste da parte di questa bestiola rappresenta ormai un problema socio-sanitario, quasi al pari delle temibili onnipresenti meduse“.
“C’è un altro aspetto della questione che va inoltre considerato“, aggiunge Giacobbe che prosegue: “in genere, l’inusuale esplosione demografica di una specie è sintomo di una qualche sofferenza ambientale. A maggior ragione se si tratta, come in questo caso, di una specie “opportunista”, che approfitta della mancata concorrenza da parte di altri organismi “più sensibili” e meno agguerriti, per nutrirsi indifferentemente di tutto quello che trova, riproducendosi poi a tutto spiano. L’Hermodice, oltretutto, non ha predatori naturali. Questo vuol dire non solo che non c’è nessun animale che ne controlli la proliferazione, ma vuol dire anche che questa specie interviene nella catena alimentare bloccandola a un livello molto basso. Facciamo un esempio: il pescatore cala le nasse per i gamberi e pesca solo verme cane, che non è buono neppure come esca; ributtato in mare non sarà cibo per nessuno, salvo decomporsi una volta morto“.
Che cosa fare, quindi, per fronteggiare questa vera e propria emergenza?
“Verrebbe di rispondere che abbiamo pronti gli stessi rimedi messi in campo per le meduse, cioè niente. Ma volendo essere seri, una soluzione potrebbe essere cercata nel suo ciclo riproduttivo, intervenendo nel momento in cui, pressoché simultaneamente, i vermi cane si radunano in grovigli di centinaia di esemplari per una fecondazione di massa sincronizzata (appena osservata, il 13 agosto scorso). Il punto tuttavia è un altro: se non si rimuove la causa non si risolve il problema. Assodato quindi che l’invasione dei vermi cane è legata al degrado ambientale, non è forse sul degrado che si dovrebbe intervenire. Naturalmente non solo per contrastare l’assalto di questa specie potenzialmente nociva, ma più semplicemente per vivere in un mondo più accogliente e più sano“.