Oggi e domani si svolge a San Benedetto del Tronto un importante Convegno Nazionale, organizzato dal Consiglio Nazionale dei Geologi, sul tema “Salvaguardia del territorio e della popolazione dal rischio sismico”. Ne parliamo con il geologo Giovanni Calcagni, Consigliere Nazionale del CNG, intervistato da Giampiero Petrucci.
Dott. Calcagni, quali sono gli obiettivi del Convegno di San Benedetto del Tronto?
“Questo convegno è importantissimo. Vuole infatti affrontare la pericolosità sismica sotto tutti i punti di vista. In particolare la pericolosità intrinseca di ogni territorio, una caratteristica che si differenzia da zona a zona. In questo contesto risulta fondamentale conoscere la Pericolosità Sismica Locale la quale si basa su quei fenomeni particolari che possono modificare gli scuotimenti attesi per un dato terremoto in una certa zona: amplificazioni delle onde sismiche, instabilità cosismica, frane sismoindotte. Argomenti forse poco noti all’opinione pubblica ma importantissimi, come è stato dimostrato anche dal terremoto in Emilia del maggio 2012 dove questi elementi hanno localmente agito in maniera significativa. Il nostro obiettivo è sensibilizzare popolazione ed amministratori su questi argomenti e sulle soluzioni da adottare al riguardo“.
Tra queste soluzioni certamente va annoverata la microzonazione sismica di cui Meteoweb ha già più volte parlato in passato.
“Certamente. Dopo il terremoto di L’Aquila nel 2009 finalmente s’è vista una prima, seppur modesta, “inversione di tendenza”: il corrispondente piano nazionale post-sisma, con la legge 77/2009, ha portato, grazie ad appositi finanziamenti, ad una certa incentivazione della microzonazione. Ma non basta. Oggi infatti è previsto che la microzonazione si sviluppi nelle aree a maggior rischio sismico, circa il 50% del territorio nazionale, ma si deve estendere questo valore. Altrimenti, come in Emilia, corriamo il rischio di arrivare tardi. Probabilmente ad un simile impegno corrisponde un importante esborso economico, ma la microzonazione rappresenta la vera prevenzione dal rischio sismico. Si deve continuare su questa strada ma un semplice dato basta a far capire quanto siamo lontani dalla meta: a tutt’oggi solo nel 5% del territorio nazionale a rischio sismico è stata sviluppata una corretta microzonazione!“
Il territorio italiano è altamente vulnerabile. Dal 1968 ad oggi risultano circa 5000 vittime e 500mila senzatetto causati dai vari terremoti. Ma la causa è solo della natura?
“La causa è legata anche alle norme costruttive basate su classificazioni superate e inadeguate. A S. Giuliano di Puglia ed in Emilia, nella costruzione dei fabbricati, sono state generalmente applicate le norme vigenti all’epoca di tali edificazioni, che però hanno dimostrato tutta la loro inefficacia poiché la classificazione sismica di quei territori, all’epoca, era inadeguata. Evidentemente, la pericolosità sismica era molto maggiore del preventivato, si doveva indagare di più e meglio, in maniera capillare, a livello locale. Se poi consideriamo fenomeni come l’abusivismo edilizio, tutto si complica ulteriormente. La situazione è grave, siamo all’anno zero della prevenzione sismica, ma proprio per questo dobbiamo parlare di questa situazione e divulgare le soluzioni possibili“.
Se le costruzioni spesso non sono in grado di resistere perfino a scosse medio-basse (intorno a magnitudo 5.0), come possiamo difenderci? Potrebbe essere utile un loro censimento dal punto di vista strutturale? O l’introduzione del tanto vituperato “fascicolo del fabbricato”?
“Queste sono idee teoricamente molto belle ma difficilmente praticabili. Tuttavia ci stiamo lavorando. La stessa legge 77/2009, dopo il sisma di L’Aquila, ha stanziato 960 milioni di euro. Di essi gran parte per la riduzione della vulnerabilità dei cosiddetti “edifici strategici” (fondamentali in caso di emergenza) ma stiamo comunque parlando di poche strutture pubbliche. Sui singoli fabbricati, privati, tutto si complica. Certamente si dovrebbe incentivare ancor di più, rispetto a quanto già esistente, la possibilità di ristrutturazione e adeguamento in funzione dei criteri antisismici“.
La vulnerabilità del territorio italiano dipende probabilmente anche dall’esclusione dei geologi dalla gestione del territorio stesso. In questo senso, può aiutare il disegno di legge relativo al cosiddetto “geologo di zona“?
“Certamente sì. Il “geologo di zona” deve diventare il manutentore del territorio, valutarne sintomi e criticità, annotare ed aggiornare il suo stato di salute a livello idrogeologico, geomorfologico e sismico. Ciò però operando su piccola scala, a livello di Comune o, tutt’al più, di pochi Comuni. Deve intervenire direttamente sul terreno, sorvegliare costantemente, monitorare ogni parametro, prendere gli opportuni provvedimenti senza diventare un semplice vidimatore o passacarte. Deve avere gli strumenti necessari per far risolvere le criticità prima che si arrivi all’emergenza, al contrario di ciò che succede adesso. Oltre tutto per creare una simile opportunità non sono necessarie grandi risorse economiche. Basta volerlo, ma forse qualcuno non vuole perchè gli ostacoli non mancano“.
Riprendendo il titolo del convegno di S. Benedetto del Tronto, in definitiva cosa chiedono i geologi italiani per la salvaguardia di territorio e popolazione dal rischio sismico?
“Una nuova classificazione sismica del territorio italiano focalizzata molto sul livello locale. Quindi maggiore sviluppo ed utilizzo della microzonazione sismica, l’unica vera arma a disposizione per la prevenzione, maggiore attenzione per i fattori di amplificazione locale delle onde sismiche. Ancora più studi sulla pericolosità sismica di base, monitorare le faglie attive, disciplinare le zone sismogenetiche, aggiornare i cataloghi e di conseguenza i parametri. Le conoscenze scientifiche e le risorse umane non mancano, ma non possiamo perdere più tempo“.