Allarme Ebola, la “soluzione” shock dell’esperto: “chiudere le frontiere”

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ebola map“Attivare un cordone sanitario. Dai tempi della peste del 1300 fino all’Ebola di oggi, da un punto di vista puramente tecnico è questa l’unica soluzione per cercare di avvicinare allo zero il rischio di contagio. Trattare i malati sul posto”. Parola di Maria Rita Gismondo, responsabile del Laboratorio di microbiologia dell’ospedale Sacco di Milano, ‘baluardo’ anti-Ebola in Italia insieme all’Istituto nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma. Due quindi le possibilità: “O decidere a livello internazionale di chiudere per ora le frontiere dei Paesi colpiti, lasciandole aperte solo per gli aiuti umanitari, oppure prendersi la responsabilità a livello nazionale di non accettare visti da quei Paesi” finché la fase acuta dell’emergenza non sarà rientrata. Alla vigilia del summit durante il quale, domani 16 ottobre a Bruxelles, i ministri della Salute Ue valuteranno l’eventuale adozione di restrizioni ai viaggi aerei per cercare di limitare l’estensione dell’epidemia scoppiata in Africa occidentale, l’esperta espone all’Adnkronos Salute la propria posizione “scientifica”: “La decisione non può che essere politica, ma io parlo da tecnica”. E “da un punto di vista squisitamente infettivologico”, ribadisce Gismondo, la catena dei contagi può essere interrotta “soltanto impedendo la possibilità di qualunque contatto non protetto fra un possibile paziente e una persona sana”. Qualsiasi altra via rischia di lasciare aperta “una breccia al virus”, anche se in Italia non atterrano voli diretti dalle nazioni colpite.

“I pazienti vanno curati sul posto”, è convinta Gismondo. Compresi gli operatori sanitari che stanno prestando servizio in Africa: “Rimpatriarli è un rischio – dice – come hanno dimostrato i primi casi di infermieri contagiati al di fuori dall’Africa. L’Organizzazione mondiale della sanità ha attrezzato ospedali molto efficienti – afferma la microbiologa che al Sacco ha valutato finora 5 casi sospetti di Ebola, tutti archiviati come falsi allarmi – Per far tendere a zero il rischio, anche il ritorno degli operatori occidentali dovrebbe avvenire a guarigione avvenuta. Ripeto, la mia è una visione tecnica”. E i termometri digitali per controllare la febbre negli aeroporti? “Certo è meglio che niente”, risponde Gismondo. “Se ci affidiamo alla dichiarazione volontaria dei sintomi da parte dei viaggiatori – osserva – non penso proprio che in molti siano pronti a dichiararli alla frontiera. Lo screening della temperatura dei viaggiatori è utile, ma non può essere la sola misura per il contenimento di un’epidemia come questa” che ha già fatto registrare quasi 9 mila casi, sfondando la barriera dei 4 mila morti

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