Un’idea sarebbe quella di pensare che il terremoto che ha colpito l’Aquila corrisponde solo a un “campanello d’allarme” per un’intensificata attività vulcanica nel Tirreno
di Marisa Grande – L’attività vibrazionale della Terra in determinati momenti risente maggiormente dello sforzo che compie il suo nucleo nel garantire un moto di rotazione costante, dovendo compensare il ritardo determinato dall’azione frenante del suo asse inclinato. I campi elettromagnetici prodotti dall’attrito tra nucleo e mantello vengono attratti dalla Terra oscillante intorno al suo asse da luoghi precisi dove il materiale crostale è composto da minerali ferrosi buoni conduttori.
Questi sono distribuiti sul pianeta con una regolare modularità che si sviluppa secondo aree circolari che includono esagoni regolari e con sistemi proporzionali di tipo frattale.
I centri di emissione di tale energia irradiano onde elettromagnetiche che interagiscono tra loro determinando vibrazioni che scuotono il pianeta e fanno scivolare sull’astenosfera viscosa le zolle tettoniche che compongono la crosta terrestre.
L’emissione di energia da un centro può provocare uno sciame di attività sismica di maggiore intensità nella cella interessata, nella quale si propaga con una vibrazione che risponde all’armonica sei, ma si ripercuote, se pur con minore intensità, anche sulle celle geomorfologiche adiacenti.
Conoscere tali centri di emissione elettromagnetica terrestre permetterebbe di attuare programmi risanatori del pianeta che attualmente attraversa uno stato caotico della sua esistenza.
- Per individuare i momenti di maggiore intensità di emissione di energia sismica basterebbe monitorare la quantità di elettromagnetismo prodotta da quei centri magnetici.
- Comprendere il meccanismo della sua espansione radiale e a cerchi concentrici significherebbe poter prevedere il momento del verificarsi dei terremoti, soprattutto prevenire quelli di maggiore magnitudo, attesi su quei luoghi che, opponendo a lungo resistenza a quell’energia, rilasciano poi onde sismiche di maggiore intensità.
- Impiegando dei buoni conduttori si potrebbero rendere coerenti i flussi di elettromagnetismo con le linee di campo magnetico terrestre e ridurre, così, le conseguenze catastrofiche dei terremoti di più alta magnitudo.
- Captando elettromagnetismo emesso da quei centri magnetici si potrebbe, infine, ottenere energia pulita compatibile con gli ecosistemi.
Già nel lontano 12 dicembre 2004, nella relazione “Megalitismo ed elettromagnetismo terrestre”, presentata al Simposio multietnico internazionale organizzato dall’Associazione “Non solo terra” di Cagliari, ho esposto la mia teoria relativa alla possibilità di individuare i luoghi a rischio sulla base del monitoraggio dei “centri di fuoco di celle geodetiche” distribuiti sul pianeta secondo una sequenza precisa.
Tra i vari esempi anche il centro di fuoco che solo 14 giorni dopo, il 26 dicembre 2004 scaricò la sua energia devastante nell’area periferica della “cella geodetica del Sud-Est asiatico”, che provocò un’apertura di faglia e un conseguente tsunami.
A seguito della sequenza di fenomeni distruttivi intensificati nel Tirreno, ossia recrudescenti manifestazioni vulcaniche dell’Etna e dello Stromboli, degassamento sottomarino a Panarea, terremoto a Palermo e, a partire dal 2004, incendi spontanei a Canneto di Caronia, il 17 aprile 2007 inviai al sindaco di quel piccolo centro siciliano una lettera, cui non seguì risposta.
Medesimo risultato sortì l’invio nel luglio 2007 di un carteggio relativo ai miei studi sui “Campi elettromagnetici terrestri e fenomeni distruttivi” sia all’ing. Enzo Boschi dell’Istituto di Geofisica Italiano, che al dr. Guido Bertolaso, del Dipartimento della Protezione civile.
Il 6 aprile 2009 verifico che proprio l’epicentro del terremoto che ha colpito L’Aquila alle ore 3,30 con un’intensità pari a 5.8 della Scala Richter, si trova sull’area periferica di una “cella geodetica” il cui “centro” risiede nel Vesuvio.
Secondo la dinamica distruttiva che interessa il modello a “celle geodetiche”, un’intensificata attività elettromagnetica di quel vulcano si va a scaricare in forma radiale sulle aree periferiche, provocando fenomeni distruttivi, come terremoti, aperture di faglie o vulcanismo dove esistono “anelli di fuoco”.
La cella geodetica che ha il suo centro nel Vesuvio corrisponde in parte al modello degli “anelli di fuoco” poiché oltre a toccare luoghi noti come Roma a nord ovest, L’Aquila a nord, il Gargano a est, Matera e il monte Pollino a sud-est, include a sud il vulcano Marsili e a sud-ovest il vulcano Vavilov.
Questi due vulcani sottomarini, insieme al Vesuvio, costituiscono il “settore-polveriera” di questa “cella geodetica centro-meridionale tirrenica”.
Un’idea sarebbe quella di pensare che il terremoto che ha colpito l’Aquila corrisponde solo a un “campanello d’allarme” per un’intensificata attività vulcanica nel Tirreno.