Ad ICAR si confrontano ricercatori, rappresentanti delle Associazioni di pazienti, di istituzioni e di aziende, su evidenze cliniche, necessità, modelli applicativi e problematiche della strategia di profilassi pre-esposizione in Europa e Usa
Da un lato, ci sono i numeri del successo della PrEP (86% di riduzione della trasmissione del virus), le speranze e le attese di chi la considera l’unico strumento di prevenzione contro l’HIV.
Dall’altro, i timori e i pareri contrari di chi ritiene siano altre le priorità attuali nella lotta all’HIV e teme che la PrEP sia solo una difesa contro il virus, efficace tanto quanto il preservativo, ma con ricadute economiche e sociali non prevedibili.
ICAR ha ospitato nella Tavola Rotonda “PrEP: is it the right time to act” moderata da G.M. Corbelli, E. Girardi, C.Mussini i ricercatori che hanno condotto gli studi clinici più noti e recenti (Sheena Mc Cormick per lo studio PROUD e Eric Cua per l’IPERGAY), insieme a Roy M.Gulick, infettivologo USA con anni di esperienza in questo ambito, e a Sabrina Spinoza Guzman, dell’Agenzia europea regolatoria sui farmaci, insieme alle Associazioni di persone con HIV e alla comunità scientifica infettivologica.
I dati ottenuti dagli studi PROUD e IPERGAY, entrambi rivolti a MSM (uomini che fanno sesso con uomini) e donne transgender, sono sicuramente importanti, ma il fatto che entrambi abbiano dimostrato livelli di efficacia tanto elevati e statisticamente testimonia l’efficacia preventiva della PrEP, e rivela anche quanto sia alto il tasso di infezione in determinati gruppi nei paesi occidentali.
Solo a loro, quindi, insieme alle coppie sierodiscordanti, dovrebbe essere offerta la PrEP, secondo alcuni, e non a tutti, come invece chiede la maggior parte di chi la sostiene.
A livello europeo, il sistema sanitario inglese rende disponibile gratuitamente la PrEP in quanto il NICE ha deciso che è cost-effective. In Francia, dove è attesa per questa estate l’autorizzazione “sub judice”, per i prossimi 2 anni la PrEP sarà fornita dalla Gilead e sarà disponibile gratuitamente per i soggetti arruolati nello studio IPERGAY.
E in Italia? Dopo la presa di posizione di parte della Community di attivisti e l’adesione al Manifesto Europeo di alcune delle sue componenti, per chiedere a industrie e istituzioni la disponibilità della PrEP (negli Usa lo è da luglio 2012), anche la comunità scientifica inizia a prendere posizione.
Un centinaio di infettivologi italiani ha risposto ad un questionario, promosso dall’IRCCS AOU San Martino di Genova, che viene presentato durante i lavori a Riccione. Del campione, solo il 33% ha “familiarità” con la PrEP e il 63% ha ricevuto domande, soprattutto (86%) da coppie sierodiscordanti. A questi soggetti, la metà degli infettivologi intervistati è stata “tentata” di prescrivere questa strategia. Riguardo alla posizione sulla PrEP, di questo campione, comunque poco informato, il 48% ritiene che non vi siano ragioni sufficienti per rendere disponibile la PrEP anche in Italia, ma il 35% la sostiene comunque. Il 71% degli intervistati teme lo spostamento di attenzione da altri interventi preventivi più utili, il 16 % teme il rischio di una eccessiva medicalizzazione della prevenzione di HIV.
Anche tra i possibili fruitori, è in aumento l’informazione, ma insieme ad essa anche i timori, come rivela un altro questionario che viene presentato alla Conferenza, promosso da Plus onlus e European AIDS Treatment Group e condotto su circa 400 MSM italiani. Soprattutto da parte di chi non utilizza mai il preservativo negli ultimi 2 anni, è aumentato l’interesse verso questa strategia.
La disponibilità, comunque, della PrEP non modificherebbe il tipo di vita sessuale per il 64% del campione, anche se è diminuita la percentuale di chi userebbe sempre il preservativo (dal 37% al 27%) e, viceversa, è aumentata quella di chi non lo userebbe mai (dall’11% al 17%).