“Il futurismo è il futurismo. Sempre diverso e sempre uguale”
a cura di Roby Guerra – Marinetti 70. Sintesi della critica futurista, a c. di A. Saccoccio e R. Guerra, tra gli autori (con il saggio Compagno Marinetti) il sociologo della scienza (Cracovia, Polonia, Univ. Jagellonica) Riccardo Campa (photo, primo a sinistra) tra i fondatori del cosiddetto transumanesimo italiano e promotore del nuovo futurismo “sociale” contemporaneo. Giornalista professionista dal 1994- Riccardo Campa ha conseguito il dottorato di ricerca in Epistemologia all’Università di Cracovia, e l’abilitazione in Sociologia nella stessa Università dove ora insegna Etica degli affari. Nel 2004 ha fondato l’Associazione Italiana Transumanisti di cui è tuttora presidente onorario. Membro di comitati scientifici, collaboratore, ricercatore ed esperto di terrorismo e nuove tecnologie è autore di articoli e libri sulla tecnica e il post-umano. Tra i suoi libri: Etica della scienza pura. Un percorso storico e critico, 2007; Mutare o perire. La sfida del trans umanesimo, 2010; Trattato di filosofia futurista, 2012; La specie artificiale (Deleyva, 2013); La rivincita del paganesimo. Una teoria della modernità (Deleyva, 2014). Storie di fine vita (La Carmelina, 2015).
D-Marinetti 70, ritorno official del futurismo in senso critico o storicizzazione tardiva. Alla luce del Trend dei tempi, liquido, minimalista regressivo, e ecologico uber alles? R-La mia risposta sarà brevissima: il futurismo è il futurismo. Sempre diverso e sempre uguale. Marinetti 70 è un libro sul Futurismo storico, ma contiene spunti interessanti che possono rinvigorire il movimento futurista contemporaneo.
D- Il futurismo progressista anziché reazionario, il tuo saggio specifico: la cultura italiana è pronta a tale revisione? R – Per rispondere adeguatamente a questa domanda, invece, sarò costretto a dilungarmi. In Marinetti 70 troviamo ancora opinioni discordi su questo tema, per esempio quelle di Enrico Crispolti e quelle di Giorgio di Genova. Il primo minimizza l’adesione al fascismo di Marinetti, mentre il secondo la enfatizza. Anche se le due posizioni sembrano opposte, in realtà entrambi colgono aspetti importanti della verità. Quello che dobbiamo fare, allora, è porre bene la domanda. Ci stiamo chiedendo se “i futuristi erano fascisti”? O se “i futuristi hanno collaborato con i fascisti”? Per quanto la situazione fosse complessa, credo che in linea di massima possiamo rispondere con un “no” alla prima domanda e con un “sì” alla seconda. Che “i futuristi erano fascisti” lo dicono quei fascisti che vogliono appropriarsi del futurismo e quegli antifascisti vogliono mandarlo al cimitero delle idee sbagliate. Io dico che l’argomento deve essere affrontato in termini “scientifici”. Che cosa intendo con questo parolone? Che deve essere stabilito a priori un criterio per stabilire l’equazione o per negarla, dopodiché lo stesso criterio deve essere applicato a tutti gli altri movimenti e partiti del tempo, per vedere se il criterio regge o se conduce all’assurdo. Allora, si dice che i futuristi erano fascisti perché sono scesi in piazza insieme alle camicie nere, hanno condiviso le stesse azioni politiche, hanno fatto blocco unico in certi frangenti. È questo il criterio? Proviamo allora ad applicarlo ad altri movimenti. Dopo la marcia su Roma, nel 1922, Benito Mussolini forma un governo insieme ai liberali e ai popolari. Nel 1924, molti liberali e popolari entrano addirittura nel Listone fascista e vengono eletti in Parlamento sotto l’insegna del Fascio littorio. Abbiamo anche nomi illustri, come quelli di Vittorio Emanuele Orlando e Antonio Salandra. Ne dobbiamo dedurre che i liberali sono fascisti? O che i popolari sono fascisti? Nel 1929 viene firmato il concordato tra l’Italia fascista e il Vaticano. I cattolici diventano ipso facto fascisti? Ovviamente, proporre queste equazioni sarebbe un errore grossolano, perché liberalismo e cattolicesimo sono due ideologie (nel senso gramsciano del termine) che esistevano prima del fascismo e continuano ad esistere dopo. Quello che accade, in quegli anni tumultuosi, è che gruppi consistenti di liberali e cattolici si avvicinano e allontanano dal regime fascista a seconda delle contingenze e delle convenienze. Questo è esattamente quello che accade al movimento futurista. Anche il futurismo esiste prima del fascismo e continua ad esistere dopo. Anche il futurismo si avvicina e allontana dal fascismo, a seconda delle situazioni. Nel 1919 fascisti, arditi e futuristi formano un blocco unico e quasi indistinguibile. Quando invece Mussolini imbarca in massa i picchiatori reazionari che danno fuoco alle cooperative rosse e strizza l’occhio ai poteri forti tradizionali (Monarchia, Grande Capitale, Chiesa Cattolica, Forze di polizia), i futuristi prendono le distanze dai fascisti. Quando, poi, lo stesso Mussolini consolida definitivamente il potere, grazie al supporto di liberali e cattolici, Marinetti e i futuristi si riavvicinano al fascismo, dicendo che realizza il loro “programma minimo”. Possiamo anche ammettere che fu una mossa dettata da opportunismo. Ma va anche ricordato che le distanze ideologiche restano. Quando Mussolini decreta le leggi razziali, Marinetti non firma il manifesto della razza e, anzi, fa campagna contro. Alla fine della guerra si scopre addirittura che è stato schedato dalla polizia politica come “antifascista”. Questo avvicinarsi e allontanarsi significa fondamentalmente che il futurismo aveva una sua identità ideologica, proprio come il liberalismo e il cattolicesimo. Questa identità la si coglie solo in un modo: leggendo i manifesti e i proclami politici dei futuristi. La diversità del futurismo dal fascismo-regime è fin troppo evidente. Il fascismo-regime è monarchico, capitalista, clericale e poliziesco. I futuristi sono invece per la repubblica, l’abolizione dell’ereditarietà dei capitali, la ridefinizione della proprietà privata in funzione del bene pubblico, l’abolizione del matrimonio, il libero amore, lo svaticanamento, l’abolizione della polizia e dell’esercito di professione. Che cosa c’e’ di fascista in questo programma? Ideologicamente, per via dei loro tratti anarcoidi, sono meno reazionari persino dei liberali e dei cattolici. Marinetti, dicendo che il fascismo realizza il programma minimo futurista, ammette però di essere “in certa misura” fascista. D’accordo. Ma, se questo è il criterio, allora anche Gabriele D’Annunzio era fascista, Vilfredo Pareto era fascista, Luigi Pirandello era fascista, Guglielmo Marconi era fascista. Per questa ragione i poemi di D’Annunzio vanno eliminati dai manuali di letteratura italiana? L’ottimo paretiano e le curve d’indifferenza devono essere bandite dall’analisi economica? Ritiriamo il Nobel a Pirandello? Smettiamo di ascoltare la radio o affermiamo che non funziona? E, restando sul piano squisitamente politico, non dimentichiamo che persino tra gli oppositori del fascismo c’era chi mostrava una certa indulgenza verso il fenomeno, evidentemente non percepito allora come “il male assoluto”. Nell’agosto del 1936, dopo che il regime aveva gasato gli Etiopi, Palmiro Togliatti e altri 60 dirigenti del Partito Comunista firmano il famoso “Appello ai fratelli in camicia nera”. I comunisti scrivono: “Giovani fascisti! Noi proclamiamo che siamo disposti a combattere assieme a voi ed a tutto il popolo italiano per la realizzazione del programma fascista del 1919». Anche i comunisti, dunque, si dicono “in certa misura” fascisti. Quello del 1919 è lo stesso programma per cui combattevano i futuristi e gli arditi della prima ora. È lo stesso programma che induce Pietro Nenni, destinato a diventare una delle più grandi figure del socialismo italiano, a fondare il Fascio di combattimento di Bologna. Nenni, proprio come i futuristi, si allontanò dai fascisti quando divennero manifestamente reazionari. Diciamo allora che il vero problema è che Marinetti è morto nel 1944. Se fosse sopravvissuto per altri due decenni, avrebbe riacquistato una verginità, senza nemmeno dover fare abiura. Bastava far passare un po’ d’acqua sotto i ponti, come hanno fatto tanti altri. In fondo, anche Giorgio Napolitano era fascista, Pietro Ingrao era fascista, Eugenio Scalfari era fascista, Giorgio Bocca era fascista. E questa lista potrebbe allungarsi ad libitum. Come ha giustamente sottolineato Winston Churchill gli Italiani sono un popolo bizzarro, «un giorno 45 milioni di fascisti. Il giorno successivo 45 milioni tra antifascisti e partigiani. Eppure questi 90 milioni di italiani non risultano dai censimenti». Certamente, ci sono anche quelli che sono sempre stati antifascisti. Possiamo fare i nomi di tre grandi socialisti: Giacomo Matteotti, Sandro Pertini e Carlo Rosselli. Credo però che sia giusto ricordare che nel fronte antifascista c’era anche un movimento di impronta “futurista”: gli Arditi del Popolo. Respingono armi in pugno le camicie nere a Sarzana, Livorno e Parma. Combattono contro un movimento fascista in ascesa e senza aiuti esterni, non contro un regime in agonia e con l’aiuto dagli Alleati. Eppure, gli Arditi del Popolo sono stati completamente rimossi dalla memoria storica, a destra come a sinistra. Un eroe antifascista che il 25 aprile nessuno ricorda, è Argo Secondari, tenente pluridecorato degli Arditi Assaltatori, di tendenze anarchiche, fondatore degli Arditi del Popolo insieme al futurista Mario Carli, brutalmente bastonato dai fascisti nel 1922 fino a causargli danni cerebrali, rinchiuso in manicomio per 18 anni, morto nel 1942 a soli 46 anni. Nessuno lo ricorda perché Secondari era antifascista non nel 1945 ma nel 1921, ovvero quando la sinistra istituzionale prendeva le distanze dagli Arditi del Popolo, per poi pentirsene amaramente. La sinistra post-sessantottina non lo ricorda perché Secondari era un patriota, un militare, un ardito addirittura. È fuori dal suo immaginario buonista, perbenista, pacifista, ecologista, francescano. La destra non lo ricorda perché era contro il regime, contro l’ordine, contro la tradizione. Poi mi rendo conto anch’io che questi discorsi, volti a portare alla luce una verità storica complessa, pronti a confrontarsi con le zone grigie, con i fatti che non si lasciano facilmente inquadrare negli schemini preconfezionati dei rossi contro i neri, dei buoni contro i cattivi, scontentano gli antifascisti retorici come i nostalgici del fascismo. Ma io sono uno storico, non un politico.
D- Marinetti 70 è opera critica: Artisti Neo futuristi oggi esistono? R–Sicuramente esistono. Oltre naturalmente a Antonio Saccoccio e i netfuturisti, nel campo della pittura e delle arti visive in genere, Antonio Fiore, Baldo Savonari e Graziano Cecchini sono i primi esempi che mi vengono in mente. C’è anche una promettente giovane pittrice, Giancarla Parisi, che potrebbe essere etichettata come futurista. E ancora ricorderei Natasha Vita-More i suoi “Body by Design”. Nella poesia c’è chi mi sta intervistando, che non ha bisogno di presentazioni. Nel campo della meta-arte il nome che spicca è quello di Vitaldo Conte. E, poi, molti scrittori di fantascienza potrebbero essere tranquillamente catalogati come futuristi. In campo musicale, si sono autodefiniti futuristi i Kraftwerk, ma una menzione meritano sicuramente gli spagnoli Aviador Dro, futuristi già a partire dal nome e attivi dal lontano 1982. Citerei anche un progetto davvero innovativo come quello dell’Orchestra Meccanica Marinetti di Torino, con robot percussionisti che suonano dal vivo su bidoni d’acciaio. E non dobbiamo limitarci alle arti tradizionali, altrimenti che futuristi siamo? Io considero artisti futuristi a tutti gli effetti anche i programmatori di computer, gli ingegneri robotici e i creatori di videogame prometeici, come il celebre Deus Ex: Human Revolution. Non dimentichiamo che la tecnologia, la techné, è nel suo significato originario “ars”, “arte”. Mi fermo qui, chiedendo scusa a chi non ho citato, perché la lista sarebbe davvero troppo lunga.
D-Nel libro, alcuni orizzonti verso il transumanesimo: quali confini con il futurismo? R-Di questo ho parlato in dettaglio nel capitolo quarto del mio libro “Trattato di filosofia futurista” (Avanguardia 21, Roma 2012). Credo di avere ampiamente dimostrato, in quello scritto, che il futurismo italiano del primo Novecento è un transumanesimo ante litteram. E non vorrei ripetermi qui. Chi volesse andare alla radice della questione è invitato alla lettura di quel testo.
Info
https://it.wikipedia.org/wiki/Riccardo_Campa_%28sociologo%29