Dalla testimonianza e dai dati raccolti capiamo che eventi come quello del terremoto in Irpinia non solo rallentano l’economia, ma influenzano negativamente anche l’ambito socio-umanitario
Precisamente un mese fa, il 23 Novembre 2015, si è tenuta la trentacinquesima ricorrenza del devastante terremoto di magnitudo 6.9 della Scala Richter che, alle ore 19,35, funestò la zona dell’Irpinia. I comuni più prossimi all’epicentro furono quelli di Teora, Castelnuovo di Conza e Conza della Campania, ma i danni furono riscontrati in molti comuni della Campania centrale e della Balisicata centro-settentrionale, distanti anche centinaia di chilometri dall’epicentro del sisma. Oltre che alle 2.914 vittime ufficiali e agli 8.848 feriti, il terremoto mise alla porta più di 280.000 persone; quindi furono migliaia e migliaia le famiglie che rimasero senza un tetto sopra la testa. Ed è proprio questo aspetto che andremo ad approfondire adesso, grazie alla preziosa testimonianza di una donna che, a trentacinque anni da quell’evento, ha deciso di raccontare la sua personale esperienza su quella dolorosa vicenda che ha segnato per sempre lei e la sua città. Grazia (nome di fantasia per scelta della donna) è nata nel 1966 a Torre Annunziata, in provincia di Napoli. Aveva quattordici anni quando, quella Domenica sera, le lancette degli orologi si sono bloccate alle ore 19,35.
“Era stata una giornata mite e avevo deciso, insieme a mia sorella (di tre anni più grande), di passare una serata in compagnia di alcuni amici. Eravamo andati a Torre del Greco con un amico di mia sorella che aveva la macchina. Guidava lui. In quel momento eravamo fermi in Piazza della Stazione. Mia sorella e la sua amica stavano parlando fra loro, mentre il ragazzo alla guida, di cui non ricordo né il nome né il volto, fumava una sigaretta. Io ridevo: ero felice, anche se il giorno dopo sarei dovuta tornare a scuola senza aver fatto i compiti. Quel pensiero mi rese un po’ preoccupata, e mentre pensavo alla faccia che avrebbe fatto mia madre, quando l’indomani avrei portato a casa una bella nota, avvertii un rombo, come se si stesse creando il vuoto intorno a me. Subito, la macchina iniziò ad oscillare vertiginosamente. Sembrava che gli altri fossero troppo impegnati nelle loro azioni, quando d’un tratto le luci della stazione si spensero. Allora fu il panico. Mia sorella e la sua amica si precipitarono fuori dall’auto. Io rimasi immobilizzata dal terrore per qualche istante, mentre vedevo che le persone si riversavano in strada, confuse e spaventate, mentre la terra continuava a tremare. Il ragazzo alla guida scese dall’auto e aprì la portiera posteriore dal mio lato e mi afferrò per un braccio. Ci guardavamo intorno, mentre i lampioni spenti continuavano a muoversi come fragili spighe di grano scure mosse dal vento. La cosa che non dimenticherò mai è il rumore: quel suono sinistro, metallico e terrificante che era tutt’intorno a noi. Dopo circa un minuto, da quando ero uscita dalla macchina, la scossa andò affievolendosi e il rumore si fece sempre più distante, lasciando solo le urla incredule delle persone terrorizzate. Mia sorella chiese al ragazzo di accompagnarci a casa, a Torre Annunziata, ma lui, che viveva a Torre del Greco, voleva andare a casa sua, dalla sua famiglia. Così, io, mia sorella e la sua amica, ci mettemmo a bordo strada e cercammo un passaggio. Sembrava che nessuno ci vedesse: ognuno pensava a sé e ai suoi cari in quella circostanza. Quindi dovemmo tornare a piedi, nel buio di quella strada, illuminata solo dai fari delle macchine che sfrecciavano da nord a sud e da sud a nord: chi scappava e chi cercava gli amici dispersi; chi si allontanava dal luogo dell’epicentro e chi cercava di raggiungerlo per soccorrere i feriti e gli sfollati. Noi ancora non sapevamo dove si fosse verificato il terremoto, ma era chiara anche a me, nonostante la mia giovane tà, la gravità dell’evento. Dopo due ore arrivammo alle porte della città. L’amica di mia sorella ci salutò e andò dalla sua famiglia. Io e mia sorella abitavamo nella zona sud della città. Quando entrammo nel nostro quartiere vedemmo tante persone per le strade. Sembrava una manifestazione organizzata: non avevo mai visto così tante persone insieme. Intere famiglie che camminavano su e giù per le vie, come fantasmi. Chi disperato, chi felice di essere scampato alla morte, ma comunque tutti in strada, vicini. Arrivate sotto casa nostra vedemmo mio padre che usciva dal palazzo con qualche provvista di cibo e poche altre cose. Le caricò in macchina. Mia madre ci salutò, commossa e felice di rivederci. Aveva in braccio la nostra sorellina più piccola: aveva appena compiuto un mese. Attaccato alle gambe di mia madre c’era nostro fratello minore, aveva sette anni. Mio padre chiamò gli altri nostri due fratellini, avevano dieci e dodici anni e stavano giocando in mezzo alla gente. Non li vedevano tornare. La scena che mi è rimasta più impressa nella mente ritrae mia madre che “scaricava” mia sorella fra le braccia di mio padre, mentre lei andava, disperata, alla ricerca dei miei fratelli più piccoli, facendosi largo fra la folla. Il nostro palazzo presentava molte crepe all’esterno e quando mi affacciai verso l’interno vidi tante macerie. Era orribile. In quell’istante capii di aver perso tutto.”
Dalle ricerche effettuate risulta che Torre Annunziata fu gravemente danneggiata dal terremoto. La zona sud della città, quella in cui abitavano Grazia e la sua famiglia, fu la più colpita. Circa il 4% delle abitazioni torresi risultarono distrutte, 850 edifici gravemente lesionati, 270 dei quali dichiarati inagibili. Ci fu una sola vittima, in seguito ad un arresto cardiaco dovuto allo spavento per la scossa principale, e circa 50 feriti. Quello che trattiamo in questo articolo non è solo la testimonianza personale di una donna, ma la storia di un’intera città.
“Infatti, perché la storia che voglio raccontare comincia dopo il terremoto. Sembrò finire bene, perché tutta la mia famiglia era scampata alla morte, ma in realtà era appena cominciato un capitolo ancora più triste, che coinvolgeva non solo me e i miei cari, ma tutta la mia città. Io e la mia famiglia soggiornammo per soli tre giorni da uno zio, a Leopardi, una frazione a nord di Torre Annunziata. Eravamo in troppi e le condizioni si erano rivelate proibitive. Mio padre aveva sentito che alcune famiglie avevano occupato le scuole medie, adiacenti al mio vecchio quartiere, quindi decise che ci saremmo trasferiti in un’aula di scuola. In otto in un’aula di scuola!”
Fa scalpore anche solo sentirlo, eppure così è stato. Intere famiglie soggiornarono per lunghi periodi in alcune aule della scuola, mentre un’altra metà dell’edificio rimase a disposizione degli studenti. Intanto, lo Stato promise di costruire dei prefabbricati in breve tempo per permettere alle migliaia di sfollati di avere un alloggio. Dalle parole di Grazia non fu proprio così.
“Noi restammo sette anni in quell’aula di scuola. Mio padre aveva reso il più confortevole possibile il nostro soggiorno, dividendo gli spazi come meglio poteva. C’era la stanza per me e i miei fratelli, quella dei miei genitori, l’angolo cottura e il salotto. Per fortuna avevamo il nostro bagno. Molte altre famiglie, invece, dovevano condividerlo. Dopo un anno mia sorella maggiore fu mandata all’estero, in Inghilterra, per alleggerire il peso sulle spalle di mio padre, l’unico che lavorava e manteneva tutti. Sarei voluta andare io, ma ero troppo piccola. Volevo scappare! Ma non potevo. Dopo sette anni passati in quella condizione ci fu assegnata, finalmente, un’abitazione. Quando ci trasferimmo eravamo felici, ma non sapevamo che la città era cambiata.”
Cambiata! Torre Annunziata, una città con un grande patrimonio storico-artistico e culturale, diventò una città malsana, fatta di criminalità e disuguaglianza. Il terremoto aveva influito più di quanto Grazia e la sua famiglia potevano rendersene conto. Adesso, a distanza di trentacinque anni, Grazia, con lucidità, ricorda come Torre Annunziata diventò un luogo poco sicuro in cui vivere.
“La zona dov’erano state costruite le case prefabbricate era dominata dalla delinquenza. Le persone che ci vivevano erano povere. Con gli anni le disuguaglianze sociali prodotte dal sisma avevano aumentato il divario fra persone e determinato le condizioni per il succedersi di rapine, borseggi e spaccio di droga. Sono convinta che è in quel momento che si è insediata la Camorra nella città e l’ha deteriorata, sempre di più. Per fortuna mio padre, nei sette anni precedenti, con le sue grandi fatiche, aveva messo da parte dei soldi sufficienti per comprarsi una casa da ristrutturare. Finalmente, il mio lungo calvario era finito, ma quello della città non lo era.”
Chiediamo a Grazia se secondo lei la sua città, a distanza di trentacinque anni, sarebbe pronta ad affrontare un altro evento del genere.
“Torre Annunziata è una città stupenda, ricca di arte e bellezze mediterranee, ma purtroppo è rimasta indietro sotto diversi aspetti. Non credo che le costruzioni di oggi siano molto più resistenti di quelle di ieri, nella città. Il restauro non è stato completo e le norme antisismiche spesso sono state ignorate in questi anni. Non credo che sarebbe pronta ad oggi.”
In effetti apprendiamo che secondo la legge 219/81, promulgata dall’allora Presidente della Repubblica, aveva predisposto dei fondi stanziati per il restauro delle costruzioni più duramente colpite e l’adattamento di alcuni altri edifici alle norme antisismiche. Sembra, però, che i fondi non si siano rivelati sufficienti per risanare completamente le costruzioni della città. Infatti, alcune zone, come quella circostante le vecchie carceri, sono rimaste diroccate e abbandonate.
“Oltre che ad esorcizzare quelle immagini terribili che hanno influenzato i miei atteggiamenti e il mio carattere, rilascio questa testimonianza perché è importante che la gente capisca quanto rischia in aree sismiche, sprovviste, come lo è la mia città natale, di un piano d’emergenza adeguato e di strutture capaci di resistere ad un evento importante, che inevitabilmente avrebbe, oggi come allora, gravi ripercussioni in ambito socio-umanitario.”
Grazia ci dice di conoscere persone che ancora oggi vivono in alloggi di fortuna. Per questo torniamo a ribadire che sarebbe essenziale fare più controlli sugli edifici pubblici e privati e più prevenzione, soprattutto quando ci sono di mezzo la vita e la dignità delle persone.