Studio sui suicidi: il 44% lancia messaggi prima di togliersi la vita

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Lo dico e lo faccio? Non sempre gesti estremi come i suicidi sono improvvisi e imprevedibili. Chi sceglie di togliersi la vita – non tutti – potrebbe lanciare prima piccoli Sos, lasciare dietro di sé indizi o segnali magari deboli e a volte difficili da interpretare, ma che possono fare la differenza tra la vita e la morte, aiutando gli esperti nella prevenzione. A indagare sulla comunicazione delle intenzioni suicide, e sulla relazione tra il manifestare la volontà di suicidarsi e il rischio effettivo che il proposito si realizzi, è uno studio italiano appena pubblicato su ‘Psychological Medicine’. Il lavoro affronta il problema con un approccio meta-analitico, combinando i risultati di 36 studi precedentemente pubblicati sul tema, relativi a una popolazione di 14.601 persone che si sono tolte la vita. Nel complesso, i risultati mostrano che il 44,5% dei soggetti aveva comunicato l’intenzione di morire attraverso affermazioni verbali, lasciando messaggi scritti o altro tipo di indizi, con un intervallo di confidenza che varia dal 35,4% al 53,8%. Tuttavia, il valore predittivo di queste comunicazioni sembra variare notevolmente tra i diversi gruppi di età, spiegano gli esperti: tra gli adolescenti questi messaggi sarebbero associati in modo meno specifico al rischio effettivo di suicidio rispetto agli adulti.

DEPRESSIONE INVERNALELa comunicazione suicidaria spesso rappresenta il momento iniziale del percorso di riconoscimento e quindi di trattamento del disagio psichico – spiega Maurizio Pompili, docente di Psichiatria e coordinatore dello studio – Per questo una sua corretta comprensione e interpretazione può essere decisiva nel prevenire del suicidio e contribuisce a salvare le vite“. La prevenzione del suicidio è una delle principali sfide per le organizzazioni di Salute mentale in tutto il mondo, sottolinea l’esperto, e resta un difficile compito nella pratica clinica di tutti i giorni. Questo studio, spiega, è stato il primo a fornire una stima complessiva e precisa di questo fenomeno e può contribuire a una migliore conoscenza in materia di prevenzione del suicidio. Anche perché un luogo comune molto diffuso è che “chi dice di volersi suicidare raramente lo fa davvero“. E così le persone che comunicano il desiderio di morire rischiano di non essere prese sul serio dai propri cari o perfino dai medici. La ricerca mostra invece un’altra verità: alcuni studi finora condotti, spiega l’esperto, suggeriscono che fino a due terzi delle persone morte per suicidio aveva dato precedentemente qualche indizio delle loro intenzioni. “L’approccio classico al fenomeno suggerisce che gli individui con intenzioni suicidarie forniscano molto frequentemente indizi del proprio disagio, in modo conscio o inconscio: tali segnali possono essere una dichiarazione esplicita di impotenza o una richiesta di aiuto, o ancora un sentimento di profonda disperazione“, prosegue Pompili. “Tuttavia, la comunicazione suicidaria può anche essere indiretta, ambigua, umoristica o eufemistica, pertanto il destinatario può avere grandi difficoltà nel comprenderne la gravità“.

 

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