Il programma “Rientro dei cervelli”, avviato nel 2001 dall’Italia per facilitare il ritorno dei ricercatori italiani dall’estero e per incoraggiare quelli stranieri a lavorare in Italia, ha dato risultati deludenti: solo 519 i ricercatori rientrati in 9 anni, contro un flusso in uscita ben più consistente. Inoltre, solo un quarto dei ricercatori che sono entrati nel Paese per effetto di questo progetto è poi effettivamente rimasto in Italia per più di 4 anni. E’ quanto emerge dal Rapporto Italia 2017 di Eurispes. L’istituto cita un’indagine su 544 giovani italiani che lavorano all’estero di Irpps e Università di Trento, dalla quale risulta che rispetto ai laureati dello stesso anno che lavoravano in Italia, quanti lavoravano all’estero utilizzavano meglio il titolo di studio, ottenendo più spesso posti di lavoro permanenti e incarichi migliori, ricevendo uno stipendio mensile netto mediamente superiore. Inoltre, sono molto soddisfatti per il prestigio ricevuto dal loro lavoro, le opportunità di carriera, il salario, il tipo di contratto, il senso di indipendenza e libertà. Più del 50% dei giovani laureati emigrati all’estero non intende tornare in Italia.