Arrivano così alla spicciolata. Si conoscono tutti tra loro, si abbracciano, si baciano, ridono, scherzano. Sono di tutte le età, mancano solo i bambini, come richiesto per il primo incontro. Dopo le presentazioni e i convenevoli prendono posto nella piccola saletta. Sono in tutto 30 persone. Unici estranei, 3 ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV): una sismologa e due psicologi. È la Comunità di Collespada. Una piccola frazione vicino ad Amatrice. In inverno è pressoché disabitata, ma d’estate si popola di persone originarie del posto, secondo un rituale che si tramanda di generazione in generazione. Su invito dei ricercatori a presentarsi, inizia il racconto delle storie e dei ricordi di quella notte del 24 agosto. “Collespada non c’è più”, dice qualcuno. Ma subito un altro risponde “Collespada tornerà più forte di prima”. È un piacere vedere una comunità così bella, coesa, con legami forti, spiega Massimo Crescimbene nella newsletter INGV. Tanto che la presenza degli esperti INGV risulta quasi inutile. Questo è il delicato lavoro che psicologi e facilitatori INGV avviano dopo l’esperienza di un terremoto. Le comunità, seppur colpite, ferite e malmesse, esistono: hanno legami forti e hanno al loro interno gran parte delle risorse umane per riprendersi e ripartire; hanno una proprietà, tipica di alcuni metalli, che le scienze umane definiscono “resilienza”. I terremoti inevitabilmente attivano la propensione a essere di aiuto, connaturata nell’esistenza umana in primis e nelle professioni, ma è fondamentale ricordare che l’aiuto non è unidirezionale ma è frutto di una relazione di scambio reciproco. Il Sistema Nazionale di Protezione Civile (SNPC) è formato da tutte le istituzioni, organizzazioni, enti, associazioni di volontariato e semplici cittadini che si occupano di protezione civile. Il coordinamento e il funzionamento del sistema sono preparati, curati e gestiti dal Dipartimento della Protezione Civile (DPC) con il fine di garantire la massima attenzione, efficienza e sicurezza. Gli psicologi sono parte di questo complesso sistema di protezione civile. La psicologia dell’emergenza in Italia è una disciplina che ha raggiunto la maturità. Nel corso dei decenni il discorso, a partire dalla elaborazione individuale del trauma, si è via via ampliato, fino ad abbracciare una dimensione umana collettiva e sociale.
Studi nazionali e internazionali hanno evidenziato che gli interventi specialistici in emergenza, effettuati da psicologi, riguardano solo il 5% della popolazione colpita in caso di evento calamitoso e che questa percentuale può salire da 1 a 3 punti subito dopo l’emergenza per tornare allo stato originario a 12-18 mesi dall’evento.
Grande rilevanza hanno assunto gli interventi psicosociali nel post emergenza. Questi comprendono la gran parte delle attività (il restante 95%) e solo di rado, a livello internazionale, sono svolti da personale con competenze psicologiche e psicoterapeutiche, perché spesso sono appannaggio di operatori e volontari coinvolti nel post emergenza e, in alcuni casi, dalle stesse vittime dell’evento. Proprio per loro peculiarità, gli interventi psicosociali sono difficili da programmare in situ e richiedono una preparazione preventiva e una formazione specifica, sviluppata prima dell’emergenza. In questi ultimi anni la psicologia dell’emergenza ha prodotto diversi modelli di riferimento e linee guida d’intervento. È il caso del modello operativo utilizzato nell’intervento a Villanova Marche dopo il terremoto dell’Aquila del 2009 che si è ispirato alla letteratura in ambito anglosassone (Disaster Mental Health Service di Young et al.), ed ai case study europei evidence based sviluppati da IMPACT in Olanda e dal progetto EUTOPA.
Secondo questi modelli, in emergenza l’obiettivo non è “prendere in carico pazienti”, ma ridurre lo stato di crisi per favorire la remissione spontanea e l’uso delle risorse attraverso la costruzione di un contesto supportivo di accoglienza, soddisfacimento dei bisogni pratici, informazione e attività di normalizzazione. Altre attività da non sottovalutare, sono l’individuazione delle vittime che necessitano di assistenza immediata, facilitando l’accesso ai servizi. Gli operatori si occupano della gestione delle prime fasi dell’emergenza sul campo. I criteri guida in emergenza seguono l’acronimo PIES (Proximity, Immediacy, Expectancy, Simplicity): è lo psicologo/l’operatore che deve uscire dallo studio/dalla tenda e operare vicino al luogo dell’evento o dove sono ospitate le vittime e raggiungerle il prima possibile, avvalendosi di poche e semplici tecniche. Il networking è fondamentale come pure monitorare tutte le attività, anche avvalendosi di documentazioni specifiche. Per assicurare una continuità agli interventi, la prassi migliore è favorire l’integrazione con il servizio di supporto psicosociale del territorio e circoscrivere l’intervento in base alle risorse disponibili. INGV ha sviluppato un modello di intervento psicosociale post terremoto, basato su azioni di supporto informativo e psicoeducativo alla popolazione, anche attraverso la ripresa delle attività scolastiche. Il modello che, ha origine dalla decennale esperienza del Progetto EDURISK, è stato sperimentato per la prima volta dopo il terremoto dell’Aquila del 2009. Si tratta di un intervento informale adatto a facilitare il dialogo e l’espressione delle emozioni durante gli incontri con la popolazione, realizzati attraverso assemblee pubbliche. Le tematiche trattate vanno dalla sismologia, alla geologia, fino alla memoria storica e alla psicologia. L’approccio dell’INGV è quello di una relazione d’aiuto tra pari.
Nella recente emergenza sismica dell’Italia centrale il gruppo lavoro INGV, denominato gruppo Informazione Emergenza Sismica (IES) ha realizzato, in stretto coordinamento con il DPC ed il Ministero per l’Università e la Ricerca Scientifica (MIUR), un ciclo di incontri con le scuole dell’ascolano, aquilano, maceratese e reatino .
Agli incontri hanno partecipato complessivamente quasi millecinquecento fra insegnanti, personale della scuola e rappresentanti dei genitori (tra settembre e novembre 2016 sono state raccolte oltre 90 richieste di incontro sollecitate dei dirigenti scolastici). Il nostro lavoro di accompagnamento alle persone e alla comunità colpite continuerà fino a che il processo di elaborazione individuale e collettivo – di cui siamo solo una piccola parte – non avrà trasformato l’evento terremoto in una esperienza di vita. Per dirlo con le parole di Victor Frankl: “Alla ricerca di un significato della vita”.
*Il gruppo Informazione Emergenza Sismica (IES) è composto da: Romano Camassi, Concetta Nostro, Filippo Bernardini, Viviana Castelli, Massimo Crescimbene, Emanuela Ercolani, Federica La Longa, Carlo Meletti, Vera Pessina, Maurizio Pignone.
La psicologia dell’emergenza nasce a cavallo tra le due guerre mondiali per ridurre e curare i disturbi (denominati “nevrosi da guerra”) dei soldati di ritorno dal fronte. Lo sviluppo iniziale di questa disciplina è quindi all’interno della psicologia militare e in questo ambito resterà nei decenni successivi. Un primo tentativo di esportare la psicologia dell’emergenza in ambito civile viene fatto con i sopravvissuti ai lager nazisti alla fine della Seconda Guerra Mondiale, ma sarà subito evidente l’incapacità di applicare la psicologia tradizionale in contesti così “anormali”. Tuttavia, l’impegno profuso dagli psicologi che si sperimentarono in questo tentativo fu di enorme aiuto e sollievo per le vittime, sia militari che civili. Per assistere ad un uso sistematico delle procedure di psicologia dell’emergenza in ambito civile è necessario attendere fino agli anni ’80 e ’90 del XX secolo quando, al modificarsi degli equilibri geopolitici seguiti alla caduta del Muro di Berlino, la disgregazione dei paesi dell’URSS causa guerre civili e flussi migratori che portano la comunità internazionale a interessarsi dei disagi psichici delle vittime e dei profughi. Si porta ad esempio il flusso di psicologi provenienti da vari paesi occidentali (principalmente paesi della Nato) tra il 1994 e il 1996 verso la Bosnia per fornire supporto alle vittime dopo la fine della guerra civile tra i popoli jugoslavi. Nonostante l’impegno degli intervenuti e il grande sviluppo delle tecniche di psicologia dell’emergenza, mobilitatisi dopo il risveglio delle coscienze attuato dai media, la comunità scientifica si ritrova nuovamente nell’incapacità di adattare la psicologia così come era sempre stata pensata e applicata, a contesti sociali, culturali e politici diametralmente diversi dal proprio: il modello alla base degli interventi era un modello ancora di tipo clinico e psicoterapeutico e proponeva una cura “occidentale” lontana dalle necessità delle vittime. Anche in Italia per la prima volta, sebbene su scala ridotta ed in un ambito completamente diverso, la comunità degli psicologi venne invitata tramite un comunicato del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi ad attivarsi in seguito al Terremoto dell’Umbria nel novembre del 1997. Questa prima esperienza italiana non fu un completo successo per i motivi di cui sopra, ovvero il tentativo di applicare una tradizione psicoterapeutica in un contesto che non ha le caratteristiche per esserlo. Questa esperienza fece comprendere chiaramente la necessità di approfondire questo ambito della psicologia e della psicoterapia per trovare delle soluzioni pratiche e praticabili per il sostegno psicologico delle popolazioni vittime di calamità naturali o antropiche. Dopo l’esperienza del 1997 si istituirono numerosi gruppi di studio che potessero approfondire le conoscenze esistenti di psicologia dell’emergenza e anche importarle dalla tradizione anglosassone, dove un campo fertile per le attività di emergenza civile aveva prodotto numerose teorie e tecniche molto efficaci. Nel 1981 in Italia venne fondato il Centro Alfredino Rampi, nel 1999, dopo solo due anni dal terremoto dell’Umbria, venne fondata la SIPEM Onlus (oggi SIPEM SoS Federazione – Società Italiana di Psicologia dell’Emergenza Social Support), e nel 2003 Psicologi per i Popoli, associazioni di psicologi in maggioranza volontari che hanno contribuito allo sviluppo della psicologia dell’emergenza in Italia. Contestualmente nel 1981 nacque il Servizio Nazionale di Protezione Civile e nel 2000 con il DDL 4449 fu sancita l’istituzione del ruolo di psicologo delle situazioni di crisi. Nel corso degli anni si è sviluppato un lungo percorso di confronto e discussione con il Dipartimento della Protezione Civile rispetto al ruolo degli psicologi, percorso che proficuamente ha portato all’emanazione dei “Criteri di massima sugli interventi psicosociali da attuare nelle catastrofi” da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri, da cui il Dipartimento dipende, il 13 giugno 2006. La psicologia e gli interventi psico-sociali sono stati integrati all’interno della Funzione 2 della Protezione Civile, e sono parte integrante del concetto di salute.
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