Imperversano ovunque dalle canzoni ai film fino alla politica, ma ora le parolacce conquistano anche il mondo del marketing. Fra le centinaia di migliaia di loghi registrati all’Ufficio BREVETTI e Marchi del ministero dello Sviluppo Economico ce ne sono infatti 60 davvero trash che contengono parole volgari. A scoprirli è stato l’esperto di turpiloquio, Vito Tartamella, autore di una inedita ricerca che l’Adnkronos è in grado di anticipare e verrà pubblicata integralmente sul sito www.parolacce.org fondato dallo psicolinguista. La ricerca di Tartamella, tra i pochissimi esperti di turpiloquio al mondo, è la prima lista dei loghi scurrili depositati negli ultimi 36 anni. “Ho scoperto marchi come ‘Birra Minchia’ o come nell’abbigliamento ‘Culo&Camicia”, fino all’Osteria del Porco di Ischia, ma non mancano anche la “Festa del cornuto” di Rocca Canterano, in provincia di Roma” scandisce Vito Tartamella, autore del saggio “Parolacce” che ha compiuto 10 anni nel 2016.
“Le parolacce sono usate non solo come insegna per vestiti, alimenti o gadget ma -spiega- anche per attività culturali e l’ultimo marchio registrato, del resto, ricade proprio in quest’ultimo settore”. Riguarda infatti l’associazione ambientalista di Rimini “Basta merda in mare” cui lo stesso Tartamella aveva dato ampio rilievo sul suo sito. L’associazione, ricorda l’esperto di turpiloquio, “è nata nel 2000 per lottare contro l’inadeguatezza degli impianti fognari di Rimini, che, in caso di maltempo e di affollamento di turisti, scaricavano i liquami nell’Adriatico. Pochi giorni fa l’Ufficio marchi del ministero ha autorizzato la registrazione del suo nome”. “Se nessuno ne reclamerà il possesso, ipotesi improbabile, il nome brutale dell’associazione ‘Basta merda in mare’ godrà delle stesse tutele giuridiche di Google o della Ferrari. E nessuno lo potrà usare senza il loro consenso”.
Ma l’esperto non si fermato qui. “Sono andato avanti a cercare, digitando parolaccia dopo parolaccia. E di marchi volgari ne ho trovati 60: uno depositato negli anni ’80, 7 negli anni ’90, e il resto negli ultimi 16 anni: 32 (il 53,3%) dal 2000 al 2009, e 20 (33,3%) dal 2010 all’anno scorso. Dunque, un fenomeno esploso di recente: ma pur sempre un’eccezione. Ogni anno, infatti, almeno nell’ultimo lustro, in media vengono depositati 54.000 marchi”. “Messi insieme, -continua- i 60 loghi volgari che ho trovato negli ultimi 36 anni rappresentano quindi un millesimo di quelli registrati in un solo anno. Dunque, sono una goccia in un oceano, della quale non sono in grado di quantificare il giro d’affari. Ma è pur sempre una presenza significativa” scandisce. Come nella vita quotidiana, sottolinea, “anche nel marketing le parolacce sono scorciatoie molto efficaci per attirare l’attenzione. E rispetto ai marchi commerciali, le parolacce non hanno bisogno di campagne martellanti”.
Lo studio di Tartamella, inoltre, ha rilevato che in 1 caso su 3 (il 35%) la parolaccia è usata per un marchio del settore abbigliamento. Seguono slogan e titoli (20%), alimenti (16,7%), bevande alcoliche (vini e birre 13,3%) e oggettistica (8,3%). Le insegne di negozi sono il 5% e le associazioni come ‘Basta merda in mare’ rappresentano l’1,7%. Non tutti marchi però superano l’esame e ottengono la registrazione. L’Ufficio Brevetti e marchi ha infatti bocciato i tentativi di registrare lo slogan “Coinquilino di merda” che avrebbero venduto molti adesivi, “visto il tasso di litigiosità dei nostri palazzi” osserva. Nella lista dei marchi tutelati ‘a base di turpiloquio’ manca invece il “vaffanculo”, cosa però, chiude Tartamella, che “non ha impedito allo psichiatra napoletano Claudio Ciaravolo di aprire il sito vaffanculo.com e di lanciare una serie infinita di gadget”.