Lo scorso venerdì 21 marzo 2017 la costa iraniana, nei pressi della città di Dayyer, nella regione di Bushehr, è stata travolta da una vera e propria “onda anomala” che è penetrata per centinaia di metri sul vicino retroterra, causando delle inondazioni che hanno sommerso strade e quartieri, trascinando via automobili ed in qualche caso persino delle persone. Tanto che alla fine dell’incredibile evento si è contato almeno un morto e cinque dispersi. Molti giornali iraniani avevano spiegato il fenomeno parlando di un insolito “tsunami”. In realtà, anche in questo caso, ci troviamo di fronte all’ennesimo “meteotsunami”, prodotto dalla singolare configurazione barica che quel giorno si era definita lungo il Golfo Persico, fra la penisola Arabica e le coste iraniane. Ma ora tentiamo di entrare nel dettaglio riguardo la genesi di questi misteriosi fenomeni meteo/marini. I “meteotsunami”, solitamente, si verificano solo in determinate situazioni e quando vanno a sommarsi una lunga e complessa serie di fattori. Fondamentale è il passaggio di grandi turbolenze, associate ad onde atmosferiche di gravità che si trasmettono nei medi e bassi strati della troposfera. Senza queste particolari “disturbance” atmosferiche il fenomeno non potrà mai formarsi e svilupparsi.
Sovente queste grandi turbolenze atmosferiche sono indotte da consistenti perturbazioni annesse a linee di groppi temporaleschi, fronti freddi e sistemi convettivi che esplodono rapidamente nella media-bassa troposfera producendo brusche variazioni della pressione atmosferica in mare aperto o in mezzo all’oceano. Questi repentini sbalzi di pressione spesso riescono a generare delle cosiddette “onde barotropiche” le quali, attraverso complessi meccanismi di risonanza, trasmettono l’energia dall’atmosfera al mare. Per ottimizzare questo passaggio, è necessario che la velocità di propagazione del fronte atmosferico sia analoga a quella di spostamento del moto ondoso, il quale tende a distendersi verso le aree costiere, esaltando ulteriormente il fenomeno.
Inoltre si devono avere dei venti molto forti nell’alta troposfera, quasi sempre da sud-ovest (dove si inseriscono le “onde gravitazionali”), davanti a una profonda depressione in spostamento da ovest ad est. Nei bassi strati invece le correnti devono rimanere piuttosto deboli, favorendo l’avvento delle turbolenze nella bassa troposfera. A questo punto entrano in gioco la batimetria e la morfologia della costa: laddove i fondali marini si impennano bruscamente e il litorale è costituito da baie strette e lunghe (in gergo scientifico significa “alto fattore Q”), si ha ulteriore risonanza e l’onda si espande, diventando minacciosa e distruttiva. Effetti ancora più dannosi si esplicano quando la direzione di propagazione della “disturbance” atmosferica è coincidente con la direzione di allungamento della baia: più le due direzioni sono equivalenti, più forte è il fenomeno. Dunque, un insieme concomitante di parecchi fattori: da qui la rarità dell’evento e la difficoltà di identificazione.
Anche perché gli effetti e le caratteristiche di sviluppo dei “meteotsunami” sono del tutto simili a quelli degli tsunami propriamente detti: i periodi delle onde e le proprietà dinamiche sono sostanzialmente uguali; molte volte si assiste al ritiro del mare, fino a lasciare scoperto il fondale, prima del loro arrivo violento sulla costa. Da questo si evince come, pur differenziandosi per l’origine con i maremoti più tipici, meritino l’appellativo di “meteotsunami”: vediamo quali sono i luoghi del mondo dove si esplicano con maggiore frequenza. In Italia la zona dove il fenomeno è più comune è la Sicilia, in particolare il trapanese e Mazara del Vallo il cui porto, associato al fiume Mazaro, possiede un alto “fattore Q”: qui si verifica spesso, praticamente ogni anno, il cosiddetto “Marrobbio”. E’ originato da un forte squilibrio di pressione o da un forte vento trasversale, come un intenso Libeccio o un impetuoso vento di Ponente (meglio un O-SO), che batte la parte più alta del Canale di Sicilia, determinando un brusco innalzamento del livello delle acque lungo la riva siciliana e un contemporaneo abbassamento sulla riva opposta tunisina.
Quando il vento si attenua, cessata l’azione perturbatrice, la massa d’acqua, prima di assestarsi, subisce una serie di grandi oscillazioni stazionarie che possono raggiungere altezze considerevoli, al punto da innescare grandi ondate che vanno ad abbattersi di colpo lungo la costa, con il rischio di inondazioni e allagamenti pure lungo le zone più ridossate. Spesso, a seguito del “Marrobbio” a Mazara del Vallo le barche in porto vengono sbattute e le infrastrutture subiscono danni più o meno ingenti, con onde che raggiungono altezze anche superiori al metro. Proprio nella giornata di giovedì, nelle spiagge di Mazara del Vallo, si è ripetuto il fenomeno del “Marrobbio”, che ha ammassato lungo la spiaggia una enorme distesa di poseidonia, creando non pochi disagi ai proprietari degli stabilimenti balneari.
Il “Marrobbio”, lungo la costa di Mazara del Vallo, generalmente si attiva non appena in mezzo al Canale di Sicilia, fra le coste tunisine e quelle siciliane, si verifica un repentino mutamento della circolazione dei venti, con lo scirocco che cede il posto al maestrale. Questo repentino cambiamento della direzione dei venti prevalenti determina una sensibile variazione del livello del mare su entrambe le coste. Livello del mare che si riassesta non appena in mezzo al Canale di Sicilia dominerà una sola ventilazione, tramite lo sviluppo di una serie di onde gravitazionali che possono inondare l’intera zona costiera, cagionando non pochi danni a strutture e stabilimenti balneari (specie nel cuore della stagione estiva).
I Meteo-Tsunami: le poco conosciute, ma sempre più frequenti, onde anomale di “ultima generazione”