“Nonostante gli sforzi per fronteggiare l’obesità infantile, un adolescente su 3 in Europa è ancora considerato sovrappeso o obeso, con i tassi più alti rilevati nell’Europa meridionale e nei Paesi mediterranei”. A lanciare l’allarme è Zsuzsanna Jakab, direttore regionale Oms Europa, citando i dati emersi da un nuovo report dell’Organizzazione mondiale della sanità sulla salute e il benessere dei giovani del Vecchio Continente. Lo studio presentato in Portogallo in occasione del Congresso europeo sull’obesità (Eco, Porto), evidenzia come il numero di teenager obesi continui a crescere in molti Paesi della regione europea dell’Oms. E quello che risulta “particolarmente preoccupante”, spiega Jakab “è che l’epidemia è in aumento nei Paesi dell’Europa orientale, dove storicamente i tassi sono inferiori. Sono necessarie azioni politiche ambiziose per raggiungere l’Obiettivo di sviluppo sostenibile” che chiede di “fermare l’aumento dell’obesità infantile. I governi devono mirare gli sforzi a questo e rompere il ciclo dannoso, dall’infanzia all’adolescenza e oltre”. L’Italia è fra quei Paesi in cui la prevalenza dell’obesità risulta relativamente stabile tra il 2002 e il 2014, ma non brilla. Nel report vengono mostrati anche i trend per esempio sul consumo giornaliero di frutta e verdura da un lato, e di soft drink e zuccheri dall’altro, fino all’attività fisica e al tempo trascorso davanti a uno schermo. Per l’Italia, per esempio, risultano in generale in crescita gli adolescenti che trascorrono due o più ore al computer. Gli esperti dell’Oms Europa ricordano la portata di quella che viene considerata una delle più serie sfide di salute pubblica di questo secolo: l’obesità infantile. I bambini oversize, evidenziano, nel loro futuro sono maggiormente a rischio di diabete di tipo 2, asma, disturbi del sonno, problemi muscoloscheletrici e malattie cardiovascolari, nonché di assenze scolastiche, problemi psicologici e isolamento sociale. E “la maggior parte dei baby-obesi, circa 4 su 5, continuerà ad avere problemi di peso in età adulta, con un aumento del rischio di andare incontro a malattie, stigma, discriminazione”, avverte Joao Breda, responsabile del Programma per la nutrizione, l’attività fisica e l’obesità nell’Ufficio regionale Oms per l’Europa. Il report evidenzia anche persistenti disuguaglianze. In generale, i giovani adolescenti, i maschi e coloro che vivono in famiglie con una bassa posizione socioeconomica hanno più probabilità di essere obesi. E per gli esperti è il segno che gli sforzi messi in campo non riescono a raggiungere adeguatamente questi gruppi. Per questo l’Oms Europa sollecita iniziative e interventi mirati ai teenager ad alto rischio, in ambito familiare, scolastico e di comunità. E ancora: serve impegno per ambienti costruiti in modo che l’attività fisica sia ristabilita come parte integrante della vita quotidiana. Va inoltre data priorità, aggiunge l’Oms, alle politiche che migliorano l’accesso dei giovani alle diete sane. Ancora di più alla luce dei dati evidenziati da un altro studio presentato al Congresso in Portogallo, secondo cui ristoranti, caffè e fast food, ma anche le scuole, sono fonti chiave di cibi poco sani per gli adolescenti. La ricerca arriva dalla Gran Bretagna (si basa su dati di un campione rappresentativo di 884 teenager arruolati nel programma Uk National Diet and Nutrition Surveys 2008-2012) e porta la firma di Zoi Toumpakari dell’università di Bristol, e colleghi. A questa età, evidenziano gli autori, una dieta ricca di alimenti come patatine fritte, prodotti confezionati e soft drink è associata a una maggiore adiposità e un più alto indice di massa corporea, e comprendere come un ambiente fisico e sociale influisca su questi consumi è cruciale per sviluppare interventi efficaci. Il lavoro degli scienziati britannici è andato in questa direzione. Gli autori hanno osservato che fra i teenager il consumo del cosiddetto ‘non-core food’ era 2,5 volte superiore in ristoranti, fast food e caffè rispetto a casa propria, e quasi doppio nelle scuole rispetto a casa. Gli adolescenti preferivano mangiare fuori perché le opzioni alimentari erano percepite come più eccitanti. A pesare anche fattori sociali come la tendenza a conformare le proprie abitudini alimentari a quelle dei coetanei per non essere esclusi dal gruppo o anche l’idea che si mangia sano con papà e mamma e si condividono stravizi con gli amici. Fra gli interventi ipotizzati dai ricercatori la riduzione delle dimensioni delle porzioni nei ristoranti. Ma viene sollecitato anche l’impegno dei genitori “per rendere la dieta a casa meno ripetitiva e creare un’atmosfera alimentare sociale e rilassante”. (AdnKronos)