Salute: disturbi alimentari per 3 milioni di italiani, il 96% sono donne

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In Italia si stima che siano piu’ di 3 milioni le persone affette da disturbi dell’alimentazione di cui il 95,9% sono donne e il 4,1% uomini. Il dato e’ stato presentato oggi al ministero della Sanita’ in occasione della Terza Giornata sulla Salute delle donne.

La maggiore vulnerabilita’ osservata nel sesso femminile in eta’ adolescenziale o giovane adulta sembra indicare che questi disturbi sono associati a difficolta’ nelle fasi di passaggio dall’infanzia alla vita adulta, scatenate dai cambiamenti fisici e ormonali che caratterizzano la puberta’.

Le ricerche epidemiologiche ci dicono pero’ che, dal punto di vista demografico, questi disturbi sono in aumento anche nella popolazione maschile. L’incidenza dell’anoressia nervosa e’ di almeno 8 nuovi casi per 100mila persone in un anno tra le donne, mentre per gli uomini e’ compresa fra 0,02 e 1,4 nuovi casi. Per quanto riguarda la bulimia ogni anno si registrano 12 nuovi casi per 100mila persone tra le donne e circa 0,8 nuovi casi tra gli uomini. Per entrambe, la fascia di eta’ in cui l’esordio si manifesta piu’ spesso e’ quella tra i 15 e i 19 anni.

Alcune osservazioni cliniche recenti hanno segnalato un aumento dei casi a esordio precoce, anche se non mancano insorgenze in eta’ adulta. L’anoressia e’ la terza piu’ comune “malattia cronica” fra i giovani; pazienti con anoressia fra i 15 ed i 24 anni hanno un rischio di mortalita’ 10 volte superiore a quello dei coetanei. Il numero di decessi in un anno per anoressia nervosa si aggira intorno al 6%, al 2% per bulimia nervosa e sempre intorno al 2% per gli altri disturbi alimentari non specificati.

Diversi studi sembrano suggerire che circa il 50% del rischio sia dovuto a fattori genetici. Molteplici sono i fattori ambientali che possono ugualmente giocare un ruolo importante. Data la sua complessita’ e’ evidente che il fenomeno ha una forte implicazione di politica sanitaria, perche’ la programmazione e l’organizzazione dei servizi devono riuscire a garantire il riconoscimento precoce dei casi, anche tramite protocolli di collaborazione con i pediatri di libera scelta e con i medici di medicina generale.

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