Diabete, attenzione alle misure del girovita: ecco quali valori non bisogna superare

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L’accumulo di grasso, soprattutto a livello del giro vita provoca un’infiammazione cronica di basso grado che, pur se invisibile ad occhio nudo, attiva una serie di processi che conducono al diabete, alle malattie cardiovascolari, al tumore. In particolare risultano pericolosi valori del girovita di oltre 94-95 cm nell’uomo, oltre 80-82 cm nella donna.

Lo hanno ribadito gli esperti che si sono riuniti oggi a Torino in occasione del congresso della Società italiana di nutrizione clinica e metabolismo (Sinuc). La risposta infiammatoria rappresenta un meccanismo di adattamento alla vita messo in atto da tutti gli organismi viventi, compreso l’uomo. Tuttavia, la modulazione dell’intensità della risposta infiammatoria è decisiva.

Se troppo blanda, essa non è in grado di attivare i meccanismi di difesa susseguenti ad un attacco patogeno. Al contrario, se incontrollata, riduce le difese immunitarie e predispone all’insorgenza di complicanze e allo sviluppo di malattie cronico degenerative.

“In realtà, oggi la risposta infiammatoria può essere modulata attraverso vari meccanismi, compresi la dieta e l’utilizzo di specifici nutrienti”, ha spiegato Alessandro Laviano, professore associato di Medicina Interna presso il Dipartimento di Medicina Clinica, Università Sapienza di Roma.

“E’ per questo che l’infiammazione rappresenta uno dei principali bersagli terapeutici della Nutrizione Clinica – ha continuato – intesa come disciplina che studia il rapporto tra dieta, alimenti e nutrienti, da una parte, e patologie dall’altro. Un chiaro esempio del contributo della Nutrizione Clinica è dato da alcune recenti evidenze cliniche che dimostrano come la dieta di tipo occidentale o continentale stimoli di fatto un continuo stato di infiammazione che, a sua volta, predispone allo sviluppo di patologie cronico-degenerative. Al contrario, l’assunzione di una dieta ricca in nutrienti ad azione anti-infiammatoria, come la dieta mediterranea, riduce notoriamente il rischio di patologie cronico-degenerative“.

“In corso di malattia, modulare la risposta infiammatoria può contribuire all’efficacia della terapia farmacologica e a migliorare la prognosi”, ha sottolineato Maurizio Muscaritoli, presidente della Sinuc.

Questo è evidente sia nel caso del diabete che dei tumori.

“Nel caso della malattia neoplastica, questa è caratterizzata da un moderato ma cronico stato infiammatorio – ha continuato – che favorisce la crescita tumorale, la resistenza alla chemioterapia e la progressiva distruzione dello stato di nutrizione con le sue conseguenze sulla qualità di vita. L’aumento dell’assunzione dietetica di acidi grassi della classe omega-3, nutrienti con naturale azione anti-infiammatoria, può migliorare ad esempio lo stato nutrizionale e la sopravvivenza al tumore di quei pazienti con elevata risposta infiammatoria”.

La sfida dei nutrizionisti clinici da affrontare nei prossimi anni potrebbe essere quella di ideare possibili interventi antinfiammatori specifici. Alcune soluzioni promettenti, parte delle quali sono oggetto di studi in corso, sono il salsalato (un vecchio farmaco contro l’artrite), i farmaci anti-RANKL, il metotrexato (un immunosoppressore) oltre a quegli interventi mirati a ridurre i depositi di ferro nel corpo e a modificare il microbioma intestinale.

Combattere l’infiammazione può migliorare il controllo del glucosio, ma anche contrastare le complicanze vascolari del diabete e forse anche le altre sue conseguenze, favorite da un ambiente pro-infiammatorio.

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