Alimenti e cosmetici, semilavorati per le industrie e le attività artigianali, fibre naturali destinati ai lavori di bioingegneria e bioedilizia. E ancora materiale per la fitodepurazione e la bonifica di siti inquinati; e florovivaismo.
Sono queste le principali destinazioni della canapa industriale, un settore che vantava in Italia, nel ventesimo secolo, superfici importanti (poco meno di 110.000 ha nel 1940) e che ha registrato una fortissima contrazione a partire dagli anni Sessanta, dovuta al diffondersi delle fibre artificiali, all’evolversi del costo della manodopera ed alle problematiche legate alla possibile presenza di sostanze psicotrope.
I dati più recenti indicano che nel periodo 2013-2014 gli ettari coltivati a canapa fossero poco più di 3.000 e che oggi siano circa 5.000. Di questi temi si è discusso nel convegno ‘Canapa industriale: storia, opportunità e criticità attuali, prospettive future’, organizzato a Roma da Confagricoltura, moderato dalla conduttrice di Matrix Greta Mauro, a cui hanno preso parte rappresentanti del mondo della produzione, della trasformazione, ricercatori e Istituzioni.
“Il nuovo, crescente interesse per questa coltura – ha detto la componente di giunta Diana Pallini, aprendo i lavori – è dovuto fondamentalmente a tre motivi: grande potenzialità, a livello internazionale, delle fibre naturali, sia per l’impiego tessile, sia per gli impieghi alternativi della fibra tecnica (bioedilizia, materiali compositi, componentistica per auto, cellulosa, ecc.).
Si prevede, infatti, che la domanda mondiale di fibre passi dagli attuali 50 milioni di tonnellate ai 130 milioni di tonnellate nel 2050, conseguentemente al raddoppio della popolazione. La richiesta di alimenti alternativi, caratterizzate da proprietà salutistiche che possano fornire sostanze ad alto valore biologico”.
In tale quadro con la legge n. 242 del 2 dicembre 2016 recante Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa si è cercato di dare nuovo impulso a questa coltura (cannabis sativa L.), permettendo la libera coltivazione delle varietà indicate nel Catalogo comune delle specie di piante agricole di cui è consentita la coltivazione/commercializzazione nei territori dell’Unione europea.
”Abbiamo dunque una buona legge – commenta Confagricoltura – ma mancano alcuni passaggi normativi che facciano chiarezza su determinati aspetti”. Tra le questioni da definire c’è quella che riguarda le infiorescenze che, pur non essendo citate espressamente dalla legge né tra le finalità della coltura né tra i suoi possibili usi, rientrano nell’ambito delle coltivazioni destinate al florovivaismo, purché tali prodotti derivino da una delle varietà ammesse. Per uqesto motivo Confacoltura, insieme a Cia e Federcanapa, ha definito un disciplinare di produzione dedicato all’infiorescenza di canapa coltivata in Italia, al fine di creare una filiera tracciabile e di qualità e supportare le imprese nel cogliere tutte le opportunità che derivano dalla coltivazione della canapa industriale.
Il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti, nelle conclusioni del convegno, ha messo l’accento sull’esigenza di aumentare l’impegno nell’attività di ricerca, sia pubblica, sia privata: “Dobbiamo lavorare su nuove varietà di canapa maggiormente rispondenti alle nuove esigenze industriali e di mercato e, – ha rimarcato – in funzione delle nuove varietà, devono essere anche valutate le tecniche agronomiche più adatte ed affinate le macchine per la raccolta in relazione ai diversi impieghi. Per uno sviluppo equilibrato e dalle basi solide occorre, inoltre, integrare i diversi segmenti produttivi in distretti di bioeconomia agricola attraverso l’aggregazione degli agricoltori, dei fornitori di servizi, dell’agroalimentare e dell’agroindustria”.