Il coronavirus è in Italia da due settimane, ovvero dal 21 febbraio. Una settimana fa il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Silvio Brusaferro dichiarava che stavamo “entrando nella settimana decisiva“. Ma per ora poco o nulla è cambiato: i casi sono aumentati e le misure per far fronte alla diffusioni hanno subito ben poche modifiche. “Non si vedono gli effetti delle misure di contenimento” ha detto Pier Luigi Lopalco, professore di Igiene all’università di Pisa. “Ma è perfettamente normale. In Cina, dove pure si è usato più vigore, sono servite sei settimane per un’inversione di tendenza“. Gianni Rezza, direttore del Dipartimento di malattie infettive dell’Istituto Superiore di Sanità, sottolinea “un certo rallentamento della crescita” nelle zone rosse, ma ammette che “Ci vuole più tempo“. Della stessa opinione è Alessandro Vespignani, docente a Boston alla Northeastern University e che si occupa di modelli informatici di diffusione delle epidemie: “Siamo ancora nella fase di diffusione esponenziale”, ha dichiarato. Per il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Salute, Tedros Adhanom Ghebreyesus: “Contenere l’epidemia deve restare la priorità assoluta per ogni nazione“. Le restrizioni dunque non finiranno presto.
“Limitare i contatti sociali è l’unico modo per rallentare i contagi” spiega ancora Lopalco. “E rallentare i contagi è l’unico modo per evitare che il virus continui a correre a briglia sciolta e porti gli ospedali al collasso”. “I casi in Italia raddoppiano ogni 2,6 giorni” prosegue Lopalco. “È un numero davvero alto. Siamo di fronte a un virus dal potenziale pandemico“. “È evidente che siamo di fronte a un’epidemia molto veloce – chiosa Vespignani – Oggi ci sembra che l’Italia sia più colpita, ma è solo questione di tempo. Presto vedremo curve dall’andamento simile anche in buona parte dell’Europa e negli Usa. Alla fine non ci saranno grandi disparità fra i paesi“.
“Le prime misure di contenimento sono iniziate il 23 gennaio” spiega ancora Vespignani. “Il 25 si è passati alla quarantena vera e propria. L’inversione della curva dei contagi è stata osservata a febbraio inoltrato”. “Il virus resterà una presenza importante almeno per i prossimi due-tre mesi” anticipa l’esperto. Poi raggiungeremo il picco e i contagi rallenteranno, l’epidemia raggiungerà la boa e tornerà indietro. “Penseremo di esserne usciti. E sbaglieremo” prevede però il fisico italiano di Boston. “Solo quando una fetta importante della popolazione sarà stata contagiata e avremo sviluppato la cosiddetta immunità di gregge potremo dire di aver arginato l’epidemia“. Il coronavirus resterà tra noi, ma causerà meno di un malanno di stagione. “La sua capacità di diffondersi in sé è più bassa dell’influenza” spiega Lopalco. “Oggi dilaga perché è sconosciuto al nostro sistema immunitario“. Ci vuole dunque tempo e tanta pazienza.