Il Coronavirus e i casi di reinfezione in Corea del Sud: scoperta la causa, non è una “seconda malattia”

Coronavirus: i ricercatori hanno specificato con grande chiarezza che non si tratta di reinfezioni o tantomeno di "seconda malattia"
MeteoWeb

Dopo settimane di sospetti e ipotesi in Corea del Sud sulla possibilità di reinfezioni da nuovo Coronavirus dopo un primo contagio, Oh Myoung-don, medico dell’ospedale Universitario di Seul, ha fatto chiarezza sulla questione: in una conferenza stampa ha spiegato che potrebbe trattarsi di un limite del test che cerca le particelle del materiale genetico del virus e che non riesce a distinguere i frammenti genetici ancora attivi da quelli inattivi.
Nella struttura di Seul erano segnalati recentemente oltre 260 casi di reinfezione.

Anche il virologo Guido Silvestri, professore ordinario di Patologia Generale alla Emory University di Atlanta, ha parlato dell’argomento, sulla sua pagina Facebook, spiegando: “Dopo aver spaventato mezzo mondo con la storia dei pazienti guariti che si riammalavano, i ricercatori coreani hanno ora specificato con grande chiarezza non solo che non si tratta di re-infezioni (per definire le quali occorrono criteri ben precisi che abbiamo discusso molte volte) o tantomeno di “seconda malattia”, ma che si tratta semplicemente di falsi positivi al test PCR sul tampone. Così ha raccontato in modo scientificamente impeccabile il Dr. Oh Myoung-don, professore alla University of Korea Seoul, e responsabile clinico dello studio, spiegando che non è stato possibile coltivare virus “vivo” (cioè infettivo) da questi tamponi positivi alla PCR. Il Dr. Oh ha concluso che in questi casi la PCR ha molto probabilmente amplificato frammenti di virus morto che sono rimasti dentro le cellule ciliate della mucosa respiratoria. Ricordo ai non-esperti che la PCR è una tecnica estremamente sensibile per determinare la presenza di virus che non stabilisce se il materiale genetico virale che abbiamo amplificato è completo, integro e capace di replicarsi.

Aggiungo due parole sui casi di persistente positività alla PCR che mi vengono segnalati dall’Italia. In assenza di un test di virologia classica che ci dica che il virus è “replication-competent” (cioè vivo e vegeto), la persistente positività del tampone in assenza di sintomi potrebbe essere causata, come nello studio coreano, da frammenti “morti” di virus in cellule della mucosa respiratoria (a volte anch’esse morte). In questo senso ricordo che il turnover delle cellule dell’epitelio respiratorio – che per la maggior parte sono le cosiddette cellule “ciliate” – è stimato in 30-50 giorni (Crystal RG et al., Airway Epithelial Cell. Proc Am Thorac Soc. 2008; 5:772-7) e quindi è possibile che il meccanismo descritto sopra possa spiegare positività asintomatiche alla PCR di durata fino a 6-7 settimane. Precisiamo che se questo si conferma essere il meccanismo del test PRC positivo, i soggetti “positivi persistenti” al tampone NON sarebbero in grado di contagiare altre persone – ma prima di arrivare a questa rassicurante conclusione bisognerà fare più studi comparativi di PCR e isolamento virale classico in questi casi.

[Da notare che sappiamo poco su quanto persista la positività alla PCR di altri virus respiratori come Rhino, Adeno, Paraflu, RSV, etc, e non escluderei che se si facessero tamponi ai guariti si trovasse lo stesso fenomeno anche in queste infezioni.]”

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