La fase 2 dell’emergenza coronavirus è un rischio per la popolazione? Se non si rispettano le norme di distanza sociale e l’utilizzo delle mascherine potrebbe diventarlo. Lo sostiene uno studio dell’Imperial College di Londra pubblicato ieri, in merito della fase 2 in Italia.
Anche un ritorno al 20% dei livelli di mobilità precedenti al lockdown appena terminato potrebbe causare un deciso aumento dei decessi da coronavirus in Italia, in alcune regioni maggiore dell’ondata che si sta concludendo. In particolare lo studio prende in esame le sette regioni più colpite dalla pandemia (Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Marche e Toscana) e ipotizza tre scenari a otto settimane: mobilità invariata rispetto alla fase di lockdown, aumento rispettivamente del 20% e del 40%.
“Simulando le future 8 settimane, stimiamo che, se la mobilità resta invariata, ci sarà una continua riduzione nei morti e l’epidemia verrà soppressa. Al contrario, un ripristino della mobilità al 20% o 40% dei livelli pre-quarantena può portare ad una ripresa dell’epidemia con più decessi dell’ondata attuale in assenza di ulteriori interventi” scrivono i ricercatori londinesi. Nel dettaglio, nello scenario con una crescita della mobilità del 20% la stima è di un aumento dei decessi tra 3.700 e 5.000, e nello scenario al 40% il numero totale di decessi potrebbe aumentare tra 10.000 e 23.000.
Tutto ciò però, va sottolineato, senza tenere conto delle misure di distanziamento sociale e l’obbligo di mascherina che accompagnano la ripresa della circolazione delle persone. Il rapporto costi-benefici tra i nuovi interventi e il rilassamento delle misure di lockdown “non è noto, e dipende dall’efficacia di questa nuova serie di interventi, dal comportamento, dall’adesione alle raccomandazioni e dal corretto uso dei dispositivi di protezione individuale”.
“Siccome interventi come l’analisi virologica su larga scala, il tracciamento di contatti e il distanziamento sociale verranno implementati, le nostre stime possono essere considerate pessimistiche. D’altra parte, però, simulare un aumento del 20% e 40% della mobilità nelle prossime 8 settimane è probabilmente uno scenario prudente”. Lo studio nota come il rapporto di infettività sia effettivamente inferiore a uno in tutte le regioni, ma sottolinea anche come “nonostante l’alto numero di decessi, la percentuale della popolazione che è stata infettata da SARS-CoV-2 (il tasso d’attacco) è lontana dalla soglia dell’immunità di gregge in tutte le regioni italiane, con il più alto tasso d’attacco osservato in Lombardia (13,18% [10,66%-16,70%])”.
“In assenza di ulteriori interventi, anche un ritorno del 20% ai livelli di mobilità prequarantena potrebbe causare un aumento dei decessi molto maggiore di quanto si sia verificato nell’attuale ondata, in diverse regioni. Futuri aumenti nel numero dei decessi verranno osservati dopo l’aumento dell’intensità di trasmissione e quindi una seconda ondata non sarà immediatamente evidente con il monitoraggio giornaliero dei decessi”, avvertono i ricercatori.
“I nostri risultati suggeriscono che sia la trasmissione che la mobilità dovranno venire monitorate da vicino nelle settimane e nei mesi a venire. Ad oggi, è difficile prevedere fino a che punto i nuovi interventi saranno in grado di mantenere Rt attorno a 1 una volta che le attuali misure nonfarmaceutiche saranno rilassate. Il successo dei nuovi interventi quali il distanziamento sociale sui mezzi di trasporto e l’uso di dispositivi di protezione individuale dipendono dal comportamento della popolazione, il rispetto delle raccomandazioni, l’efficacia e l’uso corretto dei dispositivi oltre che dal monitoraggio migliorato e tempestivo della trasmissione di SARS-CoV-2“, conclude lo studio.