“Nel 1976 il Friuli fu devastato da 3 scosse sismiche violente: la prima, di magnitudo momento MW = 6,5, avvenne il 6 maggio, poco dopo le 21:00 (mentre le due successive si verificarono l’11 ed il 15 settembre). Il terremoto del Friuli (detto localmente “Orcalat”, cioè “Orcaccio”) fu, per violenza, il quinto evento sismico ad aver colpito l’Italia nel secolo scorso, dopo quelli di Messina e Reggio Calabria del 1908 (MW = 7,1), della Marsica del 1915 (MW = 7,0), dell’Irpinia del 1980 (MW = 6,9) e dell’Irpinia e del Vulture del 1930 (MW = 6,7)“: a ricordarlo è l’ing. Alessandro Martelli, luminare di fama internazionale ed esperto di sistemi antisismici, già direttore ENEA, tra i più instancabili sostenitori dell’importanza della prevenzione.
Sull’esatta posizione dell’epicentro della prima scossa del 6 maggio, prosegue Martelli, “i risultati degli studi effettuati sono discordi (forse fu nel gruppo del Monte Chiampon, comunque non lontano da Gemona). La scossa, avvertita in tutta l’Italia Settentrionale, investì 77 comuni italiani (con circa 80.000 abitanti), provocando, solo in Italia, 990 morti e oltre 45.000 senza tetto. Furono colpiti anche abitati dell’Austria e della Slovenia, nell’alta e media valle dell’Isonzo (Tolmino, Caporetto, Canale d’Isonzo, Plezzo), dove furono danneggiati 12.000 edifici (di cui circa 4.000 distrutti), ma non vi furono vittime“.
In Friuli la zona più colpita “fu quella a nord di Udine. Nella Regione i danni furono amplificati dalle particolari condizioni del terreno, dalla posizione degli abitati maggiormente colpiti (quasi tutti situati in cima ad alture) e dalla vetustà delle costruzioni: essi, infatti, non avevano riportato danni rilevanti nel corso della prima e della seconda guerra mondiale, ad eccezione di San Daniele del Friuli, il cui patrimonio artistico fu, però, gravemente danneggiato e dove molte furono le vittime a causa di crolli nel centro storico. Nonostante i danni ingenti, ebbero meno morti i paesi della Carnia ad ovest del Tagliamento (Cavazzo, Verzegnis, ecc.), perché lì gli edifici, dopo il terremoto del marzo 1928, erano stati riparati o ricostruiti con criteri per l’epoca antisismici (catene, bolzoni, ecc.)“.
A Gemona, vicina all’epicentro, “i danni furono gravissimi. In particolare, fu semidistrutto il Castello (inclusa la sua “Torre dell’Orologio”), simbolo della città. Il crollo divenne poi pressoché totale a causa delle scosse di settembre“, precisa Martelli.
Negli anni 2010, la “Torre dell’Orologio” ed altri edifici del Castello di Gemona “furono ricostruiti, ove possibile con i materiali originari. Nel 2015 e nel 2016, su incarico del Comune di Gemona, ho provveduto a collaudare in corso d’opera la “Torre dell’Orologio, e, rispettivamente, l’edificio “Ex-Carceri” ed i giardini lato nord. Per garantirne la sicurezza sismica, la nuova “Torre dell’Orologio” è dotata di una struttura interna in acciaio (di 3 livelli), nella quale sono inseriti 22 dissipatori “ad instabilità impedita” (Bucking Restrained Brace Devices – BRAD), di lunghezza = 1,49 m e diametro esterno = 213 mm, prodotti dalla Società FIP Industriale di Selvazzano Dentro, Padova. Il telaio sostiene i piani e la cella campanaria, liberando, così, la parete esterna in pietra da tale compito. Per evitare martellamento fra il telaio e la parete esterna, è stato realizzato un giunto strutturale, di 10 mm alla base e di 17÷20 mm alle quote superiori“.