Dopo il forte terremoto di magnitudo 3.7 che alle 00:32 della scorsa notte ha scosso la Puglia, molti hanno pensato alle trivellazioni nel mare Adriatico come causa della scossa in una zona che non è considerata molto sismica. Ma abbiamo già visto nel nostro focus sulla sismicità pugliese che terremoti di questo tipo possono verificarsi anche in quest’area. E le trivellazioni, in realtà, non c’entrano nulla. Nella zona dell’epicentro del terremoto, infatti, non è in atto alcuna attività di estrazione di idrocarburi. Le uniche trivelle si trovano nell’area di Campo Aquila, al largo di Brindisi, molto lontano rispetto alla zona dell’epicentro e in concessione ad Agip dal febbraio 1992 (eppure negli ultimi 26 anni non si sono verificati altri terremoti nell’area).
Complessivamente nel Mare Adriatico sono attualmente attive 12 concessioni per l’estrazione di idrocarburi, e da anni si riflette sulla possibilità che queste attività possano provocare terremoti: la comunità scientifica parla in questo caso di «sismi indotti» o di «sismicità indotta», un fenomeno spesso causato da interventi tecnici di grande portata effettuati nel sottosuolo.
Si tratta, con qualche rara eccezione, di terremoti di piccola entità e con un ipocentro molto superficiale (inferiore al chilometro di profondità). Tali fenomeni si sono verificati ad esempio in Svizzera: qui i terremoti causati dall’uomo sono noti principalmente per il loro legame con i progetti geotermici: nel 2006 l’acqua iniettata ad alta pressione per estrarre gas naturale nel sottosuolo ha causato a Basilea un sisma di magnitudo 3.4 mentre nel 2013 si è verificato un terremoto di magnitudo 3.5 nei pressi di San Gallo.
Oppure negli Stati Uniti nel gennaio del 2015 la faglia che attraversa Dallas e la vicina città di Irving ha provocato un terremoto di magnitudo 3,6 a meno di dieci chilometri di distanza da un pozzo di iniezione. Sempre negli USA sono molto frequenti i terremoti indotti in Oklahoma.
Invece in Italia i terremoti degli ultimi anni (e anche quello di ieri sera) sono tutti assolutamente naturali. Assolutamente da escludere ipotesi artificiali per un terremoto che s’è verificato a grande distanza da ogni trivellazione e a media profondità (oltre 28km), tra l’altro di magnitudo 3.7 (i sismi indotti di solito sono più lievi e molto più superficiali).
La vera causa dei sismi è da ricondurre alla “Placca Adriatica”, nota anche come “Placca Apula”, una zolla della crosta terrestre piuttosto piccola, che comprende parte dal mare Ionio, dell’Adriatico e i settori settentrionale e orientale della Pianura Padana e alcune aree delle Alpi meridionali ed orientali. In effetti i sismi che fanno tremare l’Italia (e non solo ovviamente) si manifestano molto frequentemente e fanno sì che il nostro paese sia tra i paesi più sismici del mondo. Ebbene, questa placca si sta muovendo verso nord nord-ovest e contemporaneamente ruota in senso antiorario sotto la spinta della “Placca Africana”.
In termini propriamente geologici, si tratta di una parte della Placca Africana, dalla quale l’Apua si è staccata durante il Cretaceo, circa 100 milioni di anni fa: attualmente si sta muovendo al di sotto della placca che comprende parte degli Appennini e parte del Mar Mediterraneo, sta cioè andando in subduzione.
Inoltre spiega il sismologo Amato (Ingv): “E’ un processo geologico che dura da centinaia di migliaia di anni, la causa è l’allontanamento del Tirreno dall’Adriatico“. Aggiunge poi: “Le due parti si allontanano con una velocità media di circa 5 millimetri ogni anno”.
Tornando alle Trivellazioni, è recentissima la bocciatura da parte del Consiglio di Stato delle richieste delle Regioni Puglia e Abruzzo e di numerosi altri Enti contro il decreto VIA relativo a due permessi di prospezione nel mare Adriatico di gas e petrolio rilasciati alla società inglese Spectrum Geo Ltd. L’area interessata è di oltre 30mila kmq, da Rimini a Santa Maria di Leuca. In particolare i ricorsi erano contro il Ministero dell’Ambiente e la società Spectrum Geo. Le due Regioni chiedevano l’annullamento del parere di compatibilità ambientale rilasciato dal ministero dell’Ambiente il 26 settembre 2017 che aveva autorizzato i permessi di prospezione.
I permessi oggetto della battaglia legale risalgono al 26 gennaio 2011 e sono relativi a due ampie aree: una che va da Rimini a Termoli (13.700 kmq) e un’altra da Rodi Garganico a Santa Cesarea Terme (16.210 kmq). Quest’area doveva essere più vasta, ma con il limite della 12 miglia dalla costa posto nel 2016 si è leggermente ridotta.
Va ricordato che la legge 625 del 1996 prevede che le aree per il permesso di ricerca devono essere al massimo di 750 kmq. Ma il Tar in questo caso aveva ritenuto di considerare questo limite non applicabile perché le istanze della società erano non di ricerca ma di prospezione, quindi secondo il giudice amministrativo meno invasive e inquinanti. Ora il Ministero dello Sviluppo economico dovrà adottare i due permessi di ricerca, dopo una relazione tecnica aggiuntiva.