Dello tsunami che interessò il territorio dello Stretto (e non solo) a seguito della tremenda scossa sismica del 28 dicembre 1908 abbiamo già parlato dettagliatamente in questo Speciale per il Centenario del Terremoto dello Stretto. Ma l’evento è talmente tanto interessante che merita ulteriori approfondimenti. Le fonti che utilizziamo, oltre a quelle scientifiche degli studi dell’INGV, sono storiche e si conservano in alcuni testi pregiati depositati in alcune biblioteche e Istituti di studio della città di Messina. Altri sono trovabili anche nelle librerie.
Ci riferiamo al testo del geografo Mario Baratta che raccolse testimonianze sull’onda dello tsunami e pubblicò nel 1910 una bozza con le possibili altezze d’onda dello tsunami che poi si confermò, nel corso degli anni, attendibile e verosimile rispetto ai nuovi, numerosi, studi.
Seguiamo anche Giovanni Platania, che pubblicò il testo specifico: “Il maremoto dello stretto di Messina del 28 Dicembre 1908” e ancora Francesco Mercadante nel suo “Il terremoto di Messina: corrispondenze, testimonianze e polemiche giornalistiche” e, infine, il Berdar/Riccobono che ne: “Le meraviglie dello Stretto di Messina” hanno voluto dedicare un capitolo apposito al terremoti e ai maremoti dello Stretto.
L’instabilità tettonica del territorio Siculo/Calabro è evidente agli occhi di tutti: la frattura sottomarina che attraversa lo Stretto di Messina è una delle principali faglie del sistema AfroEuropeo e fa parte anche dell’asse EuroAsiatica. Inoltre la Calabria è una Regione che tende a sollevarsi e possiede al proprio interno delle vere e proprie “bombe” che sono quelle faglie presenti nelle “zone di unione”: se infatti oggi la Calabria è una penisola confinante con il resto del continente Italiano, in un lontano periodo geologico era invece rappresentata da tre isole che si unirono tra loro e con il resto d’Italia non in modo indolore: ne nacquero proprio quelle “zone di unione” oggi molto ballerine e instabili.
Tornando allo Stretto, la forma a imbuto ne evidenzia il lentissimo, ma graduale e progressivo, allontanamento tra le due sponde.
Inoltre la storia ci ha insegnato che durante i fenomeni macrosismici, in un contesto di generale abbassamento dell’area dello Stretto, la sponda più colpita risulta quella Siciliana.
E qui arriviamo al “dunque”: proprio da uno di questi moti sarebbe stato causato lo tsunami del 28 dicembre 1908: secondo alcuni recenti studi, infatti, l’epicentro del sisma non sarebbe stato in mare come molti pensano, ma piuttosto nella Calabria meridionale, a Reggio nord, nella periferia della città Calabra dello Stretto, esattamente a metà tra Catona e Gallico Marina.
Già abbiamo parlato, in quest’articolo, dello studio di alcuni ricercatori che avrebbero documentato come le onde di maremoto non sarebbero state generate in modo diretto dal sisma, bensì in modo indiretto a causa di una frana sottomarina nell’imboccatura meridionale, Jonica, dello Stretto, a largo di Taormina.
In quella zona si trova in effetti la scarpata continentale siciliana che è molto ripida e profonda, e osservando le altezze dell’onda notiamo come soltanto se un’onda si fosse generata dallo Jonio avrebbe potuto determinare questo tipo di altezze d’onda.
Nell’articolo di Daniele Ingemi sono pubblicate tutte le altezze d’onda del litorale orientale Siculo, da Torre Faro (Messina) e Capo Passero (Siracusa).
Già da quel tipo di dati si evince come a Messina centro/nord le onde non abbiano avuto un’altezza così tanto eccezionale, oscillando tra i 2 e i 3 metri eccezion fatta per Paradiso e Pace, laddove la costa si affaccia a sud e l’onda ha raggiunto i 4 metri.
A Messina sud invece l’onda s’è alzata fino a 6-9 metri fino a sfiorare i 12 metri a Capo Sant’Alessio.
Molto simile l’andamento nel litorale Calabro.
Ecco i dati:
Cannitello 4.00 metri
Punta Pezzo 5.70 metri
Catona 4.00 metri
Gallico 5.00 metri
Reggio Calabria Lido 6.00 metri
Reggio Calabria Calopinace 7.00 metri
Pellaro Lungomare 6.00 metri
Punta Pellaro 7.00 metri
Lazzaro 10.0 metri
Capo Armi 4.00 metri
Anche qui le zone più colpite risultano quelle esposte a sud: non ci sono dubbi, queste onde dovevano arrivare dallo Jonio, esattamente come quando c’è scirocco.
Nelle zone Tirreniche, infatti, le onde di terremoto non sono state granchè devastanti, mentre dallo Jonio si sono propagate verso la Sicilia meridionale fino a Licata e Porto Empedocle (!) e fino a Isola Capo Rizzuto in Calabria, percorrendo centinaia di chilometri sia verso sud che verso nord.
Da questi dati emerge che il mito dello “tsunami devastante” non è tanto “mito” ed è solo in parte da sfatare: il 26 gennaio 1909 nei pressi di Augusta dei pescatori hanno catturato uno squalo trovando nel suo esofago resti di corpi umani con brandelli di vestiti, scarpe e ossa umane. E’ verosimile che l’animale aveva inghiottito i resti di alcuni cadaveri galleggianti nelle acque dello Jonio.
Senza ombra di dubbio, soprattutto nelle zone meridionali dello Stretto, sia nel Reggino che nel Messinese, l’onda entrò talmente tanto nelle aree costiere e rivierasche ben oltre le più devastanti tempeste di scirocco, che difficilmente superano i 7 metri nel Messinese Jonico, quando raggiungono picchi record.
Diverse centinaia di persone sono morte perchè trascinate nel mare dall’onda, in modo particolare nelle zone meridionali delle due città.
A Messina centro e al porto, dove s’era radunato il maggior numero di persone, l’onda non fu certo distruttiva o mortale, perchè se all’infuori della zona falcata raggiunse appena i 3 metri (2,60 al faro di San Ranieri) è verosimile che al porto l’acqua sia rimasta piatta o quasi.
Il maremoto generatosi, invece, dal violento sisma del 1783 fu molto più forte nel Tirreno e nella zona nord dello Stretto, meno devastante nello Jonio e a Reggio.
Il 5 febbraio 1783 infatti tra Scilla e Bagnara le onde furono talmente tanto alte da raggiungere “la sommità dei tetti delle abitazioni portando con sè circa 2.400 anime” come descritto da Botta nel suo 49° libro della sua “Storia d’Italia”.
Quel giorno, oltre al sisma più “tirrenico” rispetto a quello dello Stretto del 1908, franò anche il Monte Baci e la punta estrema di Scilla, precipitando in mare tonnellate di materiale che rimpinguò ulteriormente le onde: pare infatti che si trattò di due ondate di maremoto, la prima dovuta al sisma e la seconda dovuta alle suddette frane.
A Torre Faro il mare allagò un vasto tratto di terreno lasciando in secco una grande quantità di pesci di varie specie.
Vivenzio specifica che le acque si gonfiarono fino all’altezza di “tre canne”, entrando nelle vigne fino a 400 passi dalla linea di costa, lasciandovi “più di un cannato di pesci di ottima qualità come sono i beati, gli aluzzi e le aguglie”.
E’ terra di leggenda, quella dello Stretto di Messina. Grande storia, leggenda epica e fascino antico.
Leggiamo dello Stretto nell’Odissea di Ulisse redatta da Omero, e già allora si parlava di questa terra per i gorghi e le correnti “terribili” da oltrepassare.
E’ terra di estremi, di terremoti, frane e di tsunami, con cui dovremmo ormai essere forgiati a convivere.
Solo mantenendo viva la memoria storica degli eventi del passato si può immaginare di vivere il futuro in modo più sano e meno pericoloso.
Il fascino, la leggenda e il mito che aleggiano sugli eventi reali rimarranno sempre.
Tutto il resto, forse sì, forse no. Chissà.