La scoperta, di un gruppo di geologi dell’università di Roma Tre e di geofisici dell’università di Messina, è in fase di pubblicazione sulla rivista Geophysical Research Letters, edita dall’Unione Americana di Geofisica.
“Le frane sono un fenomeno frequente quanto imprevedibile. Tuttavia conoscere meglio le zone più a rischio potrebbe avere risvolti significativi per la Protezione civile”, osserva Andrea Billi, autore della ricerca con Renato Funiciello, Liliana Minelli e Claudio Faccenna, dell’università di Roam Tre, e con Giancarlo Neri, Barbara Orecchio e Debora Presti, dell’università di Messina.
“Ora – aggiunge – sappiamo che la frana si è verificata lungo la scarpata continentale della Sicilia sul versante del Mar Ionio”.
Da questa stessa zona, secondo gli studiosi, circa 8.000 anni fa si staccò un’altra frana che provocò un altro maremoto.
Indagini oceanografiche, carotaggi, dati sismici e sulla morfologia sono le tecniche di analisi che permetteranno di conoscere e controllare le zone a rischio.
La frana all’origine del maremoto del 1908 è stata localizzata in una zona del mar Ionio antistante a Giardini Naxos e distante dalla costa fra 80 e 100 chilometri.
Si spostò una quantità di roccia di circa 20 chilometri cubi, un pò più grande rispetto a quella che nel 2002 provocò l’onda anomala a Stromboli.
I ricercatori hanno ricostruito l’evento sulla base della velocità dell’onda (che viaggiava a non meno di 100 chilometri orari) e calcolando il tempo impiegato dall’onda a raggiungere la coste sulla base dei dati storici pubblicati nel 1910 dal geografo Mario Baratta che, con interviste condotte in 30 centri abitati lungo le coste siciliane e calabresi dello stretto di Messina, aveva stabilito che lo tsunami era avvenuto fra 8 e 10 minuti dopo il terremoto.