Terremoto 1908: il sesto, densissimo, capitolo dello speciale di Vito La Colla

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  • Nel resto d’Italia nessuno sa niente di quello che è successo

    Uno dei particolari più sorprendenti e a un tempo scioccanti di questo terremoto calabro-siculo è il fatto che, a causa della lontananza della zona colpita, dalla capitale o anche da altre città importanti d’Italia, la notizia sia arrivata con estremo ritardo alle autorità nazionali.

    Dodici ore sono un’enormità. E non solo per i nostri tempi, quando radio e televisione, ma anche televideo e Internet, più i cellulari e i collegamenti radio delle Forze dell’Ordine e delle Forze armate fanno sì che la notizia di una sciagura sia subito nota a milioni di persone, al massimo entro dieci minuti. Ma, se riflettete, anche solo quindici-venti anni più tardi sarebbe stato inconcepibile. La radio si stava diffondendo, le telescriventi mandavano le notizie “via etere”, tutto, negli Anni Venti, si sapeva quasi subito. Perciò salta ancora più all’occhio la tragica fatalità, dovuta all’interruzione dei fili del telegrafo, che ha provocato questo veramente inconcepibile, e quasi incredibile, ritardo.

    Molti indizi concorrevano a creare un certo allarme: la tremenda scossa avvertita e registrata da decine di istituti sismologici, il fatto che le comunicazioni ferroviarie fossero interrotte, il forte terremoto avvertito a Palermo (che era collegata a Roma da un suo cavo telegrafico sottomarino), i recenti terremoti calabresi del 1905 e del 1907. Ma si sa, fino a che non arrivano notizie certe si tende a pensare che vi siano delle coincidenze, che sia esagerato immaginare una catastrofe. Giolitti per primo, anche dopo i telegrammi dai paesini delle due coste calabresi, era titubante e tendeva a considerare esagerati quei messaggi, forse istintivamente, forse per un (leggermente colpevole) rifiuto psicologico.

    Celebre la sua frase: “Qualcuno ha confuso la distruzione di alcune case con la fine del mondo”.

    La vita, quella mattina, scorreva tranquillamente in quasi tutta Italia. Gli insegnanti nelle scuole spiegavano e interrogavano, la gente comprava nei negozi, passeggiava per le strade addobbate per il Natale, sedeva serenamente nei caffè, chiacchierava del più e del meno. Negli uffici e nelle fabbriche ferveva il lavoro e tutto funzionava regolarmente. Ma laggiù, in un altro punto della nostra Patria, e in quello stesso momento, erano appena decedute decine di migliaia di esseri umani, e altre migliaia erano in preda all’agonia e a sofferenze terribili, senza che alcuno arrivasse a soccorrerli.

    A pensarci bene, è una cosa agghiacciante.

    Mio padre, nato dieci anni prima del sisma, mi raccontava che il suo papà, il direttore didattico di Salemi Vito La Colla, arrivò a casa all’ora di pranzo di martedì 29 dicembre, annunciando commosso, e con voce grave, che una terribile sciagura aveva distrutto Messina. Un giorno e mezzo dopo l’avvenimento, e siamo in Sicilia!

  • Riflessioni sulle priorità dei sopravvissuti

    Proviamo con una certa pena a metterci nei panni dei pochi, terrorizzati sopravvissuti. Quali erano le loro “priorità”? Certamente la prima, la immediata, era quella di salvare la propria vita, scappando e cercando di allontanarsi dai crolli e dal caos. Chi abitava vicino ad una piazza, ad un giardino, correva lì. Chi stava vicino alla Marina, si precipitava dove niente crollava, ma solo la terra si scuoteva violentemente. Ma ben presto le mostruose ondate sarebbero arrivate a trascinarli via.

    Subito dopo l’ubbidire all’istinto di conservazione, e per alcuni contemporaneamente al proprio salvataggio, c’era la ricerca affannosa dei parenti, per portarli in salvo con sè. O per cercarli, disperatamente e furiosamente, nel buio, nella polvere e nelle fiamme, fra le macerie, magari attratti e indirizzati da un urlo, da un richiamo.

    Molti morirono perché si attardarono alla ricerca spasmodica dei parenti, anziché schizzare subito fuori, all’aperto.

    A questo fuggire o aiutare i propi cari, seguiva la ricerca di un posto dove si potesse attendere l’arrivo dei soccorsi, al coperto. Infatti poco dopo il sisma aveva cominciato a piovere, e la povera gente scampata e i feriti cercavano riparo sotto travi, archi non crollati, muri robusti che potessero proteggerli dall’acqua. Alle prime luci del giorno, dopo aver constatato con uno sguardo attorno la dimensione inimmaginabile della catastrofe, e attendendo da un momento all’altro l’arrivo dei primi soccorsi, si cominciava a cercare da mangiare, attingendo alle derrate in mezzo alle macerie, vicino a negozi alimentari colpiti dalle scosse.

    Ben presto si sarebbe passati a infrangere le vetrine, per arraffare, in una corsa frenetica e quasi una gara con gli altri derelitti, a procurarsi cibo e vestiari, tende, coperte. Infatti quasi tutti erano vestiti di stracci luridi di fango e polvere, di pigiami strappati, di camicioni, di coperte o mantelli di fortuna. Freddo, fame, pioggia, terrore, incertezza per le ore che stavano arrivando, angoscia e strazio per i propri cari scomparsi, che si sperava fino all’ultimo di trovare ancora vivi sotto qualche trave, magari salvati avventurosamente da qualche altro scampato.

    Ben presto ci si accorse che non c’erano carabinieri, non c’era polizia, tranne qualche agente “disperso”. La civiltà era crollata assieme alle due città, si era di colpo sprofondati in un abisso di anarchia, di “si salvi chi può”, di scomparsa di regole cui ci si era assoggettati docilmente da decenni. Persone sconosciute si aiutavano a vicenda, si consolavano, piangevano uno fra le braccia dell’altro.

  • La società sbriciolata

    La società si era sbriciolata, in pochi secondi.

    Inoltrandosi il pomeriggio, e non vedendo arrivare nessuno, l’angoscia, la rabbia, l’incertezza e la paura si acuivano. Il buio incombente delle ore 17 arrivava spietato, e con esso tutti i pericoli della notte. Aggressioni, furti, violenze, egoismi. Occorreva poi trovare un riparo per la notte. Carri, tende, porte divelte, alberi dei giardini, barili del porto. Tutto ciò in mezzo a corpi orrendamente mutilati, altri sanguinanti, cadaveri sfracellati, feriti gravi che imploravano un soccorso che gli ospedali, pure scomparsi nel crollo, non potevano più dare.

    Quella terribile giornata del 28 dicembre, iniziata con l’apocalisse, si concludeva con la paura per il domani. Il terremoto aveva forse colpito tutta l’Italia meridionale? Come mai per tutta la giornata non erano giunti i soccorsi? Perché nessuno arrivava a dare disposizioni, notizie, parole di speranza?

    Quanto sarebbe durata questa terribile situazione?

    Il capitolo primo del libro di Sandro Attanasio si conclude con questo periodo, che svela un aspetto che a prima vista puo’ sorprendere, ma che si comprende poi subito pensando alla psicologia e alle paure in quel clima di morte.

    “Ma quella notte e le altre due o tre successive, a Messina accadde anche il miracolo della vita, della speranza. Esistono documenti, precise testimonianze che «i superstiti messinesi, isolati nella loro spiaggia dolorosa, con la sola compagnia della loro immane sventura, si amarono disperatamente, orgogliosamente come non mai… con le pareti delle case abolite, col passato di ognuno abolito, pareva fosse scomparso ogni pudore, pareva che la gente fosse in preda ad una sfrenata energia d’amore… si amarono in quelle due prime notti di amore e di terrore, attuarono così senza saperlo, quasi per un oscuro senso di paura o di conforto, la legge eterna e prepotente della rinascita»”. (La Tribuna, del 17.1.1909, articolo di G. Piazza)

    Evidentemente il clima di morte e di disperazione che avvolgeva tutto, le immagini delle spoglie adagiate su lettighe improvvisate, e poi deposte davanti alla Palazzata, la perdita atroce dei propri cari, risvegliavano nei sopravvissuti, quasi per reazione, una voglia di amore e un desiderio istintivo di perpetuare la specie.

  • Caratteristiche del terremoto: può essere una strage vicino a noi, ma non ipotizzata

    Quando siamo testimoni di un terremoto, che non reca danni ma solo spavento e preoccupazione (moltissimi lettori l’hanno provato, una volta almeno nella loro vita) c’è sul momento una considerazione da fare, che però quasi nessuno fa. O per l’emozione, o per la novità, o per una forma di egoismo inconsapevole.

    Ed è l’ipotesi che la scossa sismica che da noi ha creato qualche crepa nel muro, fatto cadere qualche intonaco o qualche bottiglia dalle mensole e fatto ondeggiare paurosamente i lampadari non sia solamente una debole e innocua scossa locale, ma in realtà l’appendice periferica di un evento sismico terribile, che ha appena distrutto case e persone lontano da noi. Molti invece pensano subito che il sisma sia stato debole e locale, e tutto si sia risolto sul nostro posto di osservazione.

    Il terremoto di Messina e di Reggio venne avvertito in quasi tutta la Sicilia, tranne le zone estreme ad ovest, e creò scompiglio e paura. In Calabria le scosse svegliarono la popolazione di Cosenza e Catanzaro, che si riversò nelle strade e nelle piazze, ma che dopo un’ora ritornò nelle abitazioni per concludere brevemente il sonno residuo. Soltanto dopo dodici-quindici ore arrivò la notizia della catastrofe dello Stretto, e solo per sommi capi, tanto che molti pensarono alle “solite esagerazioni” dei testimoni e dei giornalisti.

    Altra sinistra particolarità del terremoto è che arriva a sorpresa, solo saltuariamente preceduto da scosse di “avvertimento”, come invece è successo nel gennaio del 1968 nel Belice, in Sicilia. Di colpo, allora, ci si trova in una situazione di pericolo che non ci si aspettava, e se è notte e si sta dormendo, le difficoltà aumentano a dismisura. I tre ultimi terremoti italiani piuttosto gravi – 1968 Belice, 300 vittime; 1976 Friuli, 1000 vittime e 1980 Irpinia, 3000 morti – sono avvenuti tutti, stranamente, nelle ore serali o notturne. Così come successe alla sciagura del Vajont, nell’ottobre del 1963.

    Ma vi sono anche sismi che avvengono in pieno giorno, come quello di Lisbona del 1755, di potenza terrificante, che accadde nella mattina della festa di Ognissanti, mietendo fra l’altro migliaia di vittime nelle chiese, dove le persone stavano assistendo alla Messa della festività (morti totali: 60.000).

    Altre sciagure naturali – tornadi, tempeste, eruzioni vulcaniche, inondazioni – sono in genere preavvisate da segnali incontrovertibili, e molti hanno il tempo di scappare e mettersi al riparo. I terremoti e i maremoti no, arrivano a sorpresa, e sono perciò più feroci. Per lo tsunami, se le autorità si attivano con opera di prevenzione e di preparazione del popolo, una forte scossa sismica in località sul mare o su grandi laghi puo’ allertare gli abitanti, che possono scappare in pochi minuti e guadagnare, se ci sono, alture e colline circostanti. O anche spostarsi, in aree pianeggianti sulla costa, a 500 metri dalla battigia. Talvolta basta per non morire. A parte i sempre possibili avvisi via radio, TV, cellulari, o altoparlanti delle autorità di polizia e dell’esercito.

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