Terremoto 1908: Orrore nella notte, il Presidente Giolitti, il pomeriggio del 28 e il caos di Roma

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Giolitti

  • Orrore nella notte – Il terremoto di Messina e Reggio Calabria – 28.12.1908

    La notte era limpida, il firmamento copriva il sonno di migliaia di uomini e donne, sullo Stretto di Messina.

    Era il 28 dicembre del 1908, un secolo fa.

    Quegli ultimi minuti prima dell’inferno erano anche gli ultimi minuti di vita di decine di migliaia di persone, di italiani, immersi nel sonno e in attesa della settimana che, loro pensavano, li avrebbe portati in un nuovo anno.

    Le feste di Natale erano appena trascorse in letizia e in serenità. Lunedì 28 riaprivano le scuole – allora non c’erano le vacanze natalizie – e molti si apprestavano a ritornare nei loro paesi di residenza, dopo i brevi giorni passati con i parenti.

    Solo qualche persona era già sveglia, e si preparava ad andare sul luogo di lavoro. Postini, ferrovieri, marittimi, poliziotti.

    Gli orologi segnano le 5.21.

    Un rombo improvviso, sempre più forte, un tremare di tutte le case, violentissimo, le urla di terrore e di allarme di migliaia di voci. E poi il frastuono di muri che crollavano, di pavimenti che si inabissavano, con il loro carico di letti e corpi umani.

    Pochi, pochissimi passarono dal sonno alla morte. Le scosse durarono diverse decine di secondi, dando a tutti il tempo di aprire gli occhi e di rendersi conto, sbigottiti, che si trovavano, inermi e colti di sorpresa, nel ventre di un tremendo sisma.

    Sia Messina che Reggio Calabria rovinarono paurosamente su se stesse. Due città vicinissime, poste sul pericoloso Stretto, già teatro, nel corso dei secoli, di periodici sconvolgimenti tellurici.

    In un grande polverone tutto crollava, si sbriciolava.

    La Chiesa celebra il 28 dicembre la ricorrenza dei Santi Innocenti martiri, quei bambini che Erode fece uccidere senza pietà, convinto di far sparire così anche il Messia, nato da pochi mesi.

    Il 28 dicembre 1908 tocca agli innocenti dello Stretto di Messina, colpevoli solo, forse, di abitare in una zona altamente sismica, visitata ogni secolo da un sisma più o meno grave.

    Quello che stava succedendo è mirabilmente concentrato nel titolo del Corriere della Sera del 30 dicembre.

    “ORA DI STRAZIO E DI MORTE. Due città d’Italia distrutte. I nostri fratelli morti a decine di migliaia a Reggio e a Messina”.

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    La più grave e dolorosa sciagura naturale in Italia e in Europa per numero di vittime, e a memoria d’uomo, era appena avvenuta.

    Un tremendo caos regnava nelle due città e nei numerosi paesi del circondario.

    Lamenti, urla, grida inumane si confondevano, nel buio e nella polvere. I pochi che erano sopravvissuti per le cause più varie, cercavano affannosamente di scappare, di trovare un luogo dove non cadevano i massi, le travi, i calcinacci e le tegole. Ognuno, in quei momenti, pensava principalmente a se stesso, come vuole l’istinto di conservazione. Subito dopo, al cessare delle scosse, si sarebbe imposto il dovere, si sarebbe fatto fortissimo l’impulso, di aiutare i propri cari, di cercarli, chiamarli, salvarli.

    Le scosse del terribile terremoto, dell’undicesimo grado della Scala Mercalli o meglio del 7.1 grado della scala Richter, vennero avvertite anche in quasi tutta la Sicilia, in quasi tutta la Calabria. A Palermo la gente uscì per le strade, preoccupata: ma non si ebbero crolli, solo molta paura. Improvvisate processioni religiose si svolsero per i vicoli della città vecchia, in segno di ringraziamento per lo scampato pericolo. Nessuno poteva pensare che a duecento chilometri di distanza era in atto una tragedia inimmaginabile.

    Anche a Cosenza e Catanzaro le scosse furono forti, ma non recarono danno alcuno. Gente per le strade, animazione, preoccupazione. Ma poi il ritorno nelle abitazioni, a cercare di finire il sonno interrotto.

    A Catania, molto più vicina alla città dello Stretto, le scosse furono molto forti, e anche basse onde di maremoto colpirono la zona del porto. Due vittime, grande terrore, ma anche lì nessuna percezione di quello che stava avvenendo a soli ottanta chilometri di distanza.

    Si usa generalmente definire la tragedia del 1908 come “terremoto di Messina”, mentre la dizione esatta, soprattutto per il rispetto dovuto alle enormi sofferenze e distruzioni della costa dirimpettaia, deve essere “terremoto di Messina e Reggio Calabria”.

    Al riguardo, il sismologo Gianluca Valenzise ha recentemente affermato, in un simposio sul centenario del sisma: “Quando siamo fortunati, il terremoto viene ricordato come terremoto dello stretto di Messina, mentre la maggior parte delle volte è definito terremoto di Messina, nonostante sia stata soprattutto la sponda calabrese dello stretto a essere colpita dal sisma.”

  • Il Presidente Giolitti alla Scrivania

    A Roma il presidente del Consiglio, Giovanni Giolitti, sedeva quel lunedì mattina alla sua scrivania, alla Presidenza del Consiglio, a palazzo Braschi.

    Verso le undici, un bussare discreto. Entra un impiegato per portargli alcuni documenti per la firma.

    “Ancora qui? Non dovevate partire per la vostra Sicilia?”

    L’impiegato, con la faccia piuttosto tesa, rispose che avrebbe dovuto, sì, partire quella mattina per il sud, ma i treni per la Calabria non partivano; nè arrivavano convogli dall’estremo lembo d’Italia.

    Giolitti, che aveva iniziato quella conversazione per puro spirito di cortesia, alzò la testa, le sopracciglia aggrottate: “Come dite, i collegamenti con la Sicilia sono dunque interrotti?”

    “Pare che sia crollata una galleria sulla linea calabra, dopo Catanzaro, ma non ci sono conferme. Il capostazione di Roma Termini, mio conoscente, mi ha detto, pregandomi di non propagare la notizia, che c’è stato un terremoto da quelle parti, ma non si sa altro”.

    Sempre più coinvolto nel dialogo, Giolitti osservò che era strano che nessuno, fino allora, gli avesse comunicato niente. Diede dunque disposizioni per saperne di più, e attese un po’ agitato che arrivassero notizie più chiare. Nessuno riusciva a collegarsi con la Calabria, e neanche con Messina: le linee telegrafiche erano interrotte. La recente stazione radio di Messina, comunque a corto raggio, non rispondeva ai messaggi. Il silenzio diventava sempre più preoccupante. C’era stato un sisma tre anni prima, proprio in Calabria, e con diverse vittime. La preoccupazione per quelle zone era dunque giustificata.

  • Il pomeriggio del 28

    Arrivò il pomeriggio, i giornali uscirono con titoli cauti ma anche angoscianti. “Le Calabrie isolate, si parla di un forte terremoto”. In effetti, moltissime stazioni sismologiche, in Europa e altrove, avevano segnalato alle 5.21 una fortissima scossa. Ma allora non si era ancora in grado di localizzare la direzione di provenienza, nè la distanza approssimativa. Si sapeva solo che l’epicentro non doveva essere molto lontano dall’Europa, se non addirittura trovarsi in un Paese europeo.

    Verso le diciassette, infine, arrivò un primo telegramma, spedito dalla stazione telegrafica di Marina di Nicotera. Era il comandante Belleni, che annunciava che un forte terremoto aveva danneggiato visibilmente la città di Messina, e i morti si potevano calcolare a centinaia.

    Il messaggio era clamorosamente riduttivo nel suo contenuto, e non dava – come si seppe l’indomani mattina – una visione reale della situazione. Ma bastò lo stesso a creare subito un vasto allarme a Roma e nel resto d’Italia. Poco più tardi arrivò un altro telegramma, molto più drammatico, spedito dall’ufficio di Gerace, paesino calabrese sulla costa ionica: “In seguito ad una violentissima scossa di terremoto la città di Reggio è stata quasi completamente distrutta. Vi sono parecchie migliaia di morti. La prefettura ed altri edifici sono crollati. Occorrono urgenti soccorsi, viveri, soldati e medicinali poichè la città nulla offre. Il telegrafo e la ferrovia non funzionano. Anche più centinaia di soldati sono morti e degli agenti della forza molti sono feriti e alcuni morti”.

    Con l’angoscia nel cuore, il Presidente e i ministri si accingono a prendere le prime decisioni. Qualcosa di terribile è avvenuto, laggiù.

    Giolitti incarica il ministro dei lavori pubblici, Bertolini, di partire per Napoli, e lì di imbarcarsi in serata: destinazione Messina. Il capo del Governo vuole vederci chiaro; un ministro vedrà con i suoi occhi e riferirà la realtà, senza sminuire o ingrandire la sciagura.

  • Caos a Roma

    Migliaia di siciliani e calabresi, intanto, avevano affollato la piazza davanti alla vecchia stazione Termini. Volevano partire, raggiungere le zone dove il silenzio mortale era un eloquente messaggero di morte. Tutto inutile: treni per l’estremo sud della Penisola non ne partivano. Anche alle Poste, in piazza San Silvestro, grandi assembramenti. Si tentava di inviare telegrammi a Messina, a Reggio, ma ovviamente le linee erano saltate, i cavi spezzati, i pali abbattuti, e nessun messaggio poteva giungere ai miserandi destinatari.

    Un gruppo di persone, eccitate e vocianti, riuscì ad entrare alla Presidenza del Consiglio, e a percorrere i corridoi su cui si aprivano le porte delle stanze del potere. Da una di queste uscì un Giolitti piuttosto sconvolto, che pronunciava con voce ansiosa frasi di speranza. “Speriamo che siano notizie esagerate, domattina il ministro Bertolini sarà a Messina, e mi riferirà. Non possiamo fare niente di decisivo, finché non conosceremo la situazione reale. Intanto ho dato ordine a diverse navi, che erano alla fonda a Napoli, di dirigersi senza indugio verso lo Stretto”.

    Così nella capitale si chiudeva questa giornata memorabile, la prima metà della quale era stata normalisima, ma in cui il pomeriggio e la sera erano diventati gravidi di ogni angoscia e preoccupazione.

    Vito La Colla

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