L’Osservatorio Vesuviano, sito in via Diocleziano nel quartiere napoletano di Fuorigrotta, ha aperto le porte a MeteoWeb: il direttore, Marcello Martini, ci ha ospitato nella struttura in cui lavorano circa 120 persone, tra studiosi, esperti e ricercatori: “l’attività dell’Ingv è molto varia ed estesa, sia a livello geografico che a livello tematico: si estende dalla ricerca scientifica all’attività di controllo e monitoraggio di molti vulcani, dall’Italia all’Indonesia. I nostri studi sono vari, anche sulle nuove tecnologie e sull’energia. Sono attività diversificate, così com’è diversificata la provenienza culturale dei nostri componenti. Il nostro personale è attivo 24 h su 24, per una convenzione con il Dipartimento della Protezione Civile con cui abbiamo una linea di contatto diretto per eventuali casi di emergenza. Diamo informazioni in tempo reale anche a prefetture, regioni ed enti vari” ha spiegato il direttore, dandoci il benvenuto.
Gli obiettivi principali dell’attività dell’Osservatorio sono la comprensione, con sempre maggiore dettaglio, dei processi che generano le eruzioni vulcaniche e la definizione dei meccanismi che governano l’evoluzione di questi fenomeni. In particolare l’attività di ricerca riguarda il monitoraggio dei vulcani attivi, la fisica del vulcanismo, la geochimica dei fluidi, la geodesia, la sismologia, la sismottettonica, la vulcanologia e la petrologia.
L’Osservatorio Vesuviano ha tra i suoi compiti istituzionali la sorveglianza del Vesuvio, dei Campi Flegrei, Strombli e Ischia. Questi vulcani, in particolare il Vesuvio e i Campi Flegrei, sono, come è noto, tra quelli a più alto rischio nel mondo a causa del loro stile eruttivo, prevalentemente esplosivo, e della presenza nelle loro prossimità di vaste zone urbanizzate. Per sorvegliare queste aree l’Osservatorio Vesuviano si serve di reti strumentali che misurano dati sismologici, geodetici e geochimici. Secondo quanto previsto dai Piani di Emergenza (Dip. Protezione Civile) per le aree vesuviana e flegrea gli organi di protezione civile, insieme agli altri soggetti coinvolti nella gestione delle emergenze, utilizzano le informazioni fornite dall’Osservatorio Vesuviano per la definizione dei livelli di allerta e per attivare tutte le procedure previste in caso di una eventuale crisi nelle aree vulcaniche della Campania.
Proprio su questi argomenti e su queste attività abbiamo intervistto il direttore Martini:
Non è una novità, ma ancor di più in questi giorni, visitando la sede storica dell’Osservatorio Vesuviano, abbiamo riscontrato un’incredibile passione nei dipendenti dell’Ingv, che evidentemente amano il lavoro che fanno.
“Per il tipo di studi che facciamo è normale essere appassionati. Percepiamo un grande interesse ad avere informazioni, la materia è affascinante e sono tematiche che ricadono su fenomeni molto pericolosi, quindi c’è grande attenzione. Siamo abbastanza abituati a doverlo fare, la divulgazione scientifica fa parte anche del lavoro dei ricercatori. Dare informazioni sui rischi Naturali è un compito molto importante, ma bisogna farlo nel modo giusto. Siamo appassionati tutti delle scienze che studiamo: partecipiamo al Festival della Scienza di Genova e alla manifestazione “Futuro remoto” organizzato dalla Città della Scienza di Bagnoli. Il Museo dell’Osservatorio Vesuviano può vantare un dato importante: riceve 16 mila visite l’anno. Spero di poter incrementare ulteriormente questo dato. Abbiamo altri centri di informazione a Stromboli e Vulcano, sulle Eolie, che sono molto visitate dai residenti delle isole che, evidentemente, ci vedono come punti di riferimento“.
Qual è la situazione del Vesuvio?
“Noi diamo informazioni sull’attualità, legate alla nostra attività di monitoraggio. Abbiamo una serie di indicatori dello stato del vulcano che ci hanno fatto conoscere molto bene il Vesuvio e che hanno determinato il Piano di Emergenza, che prevede come alcune aree siano evacuate preventivamente in caso di eruzione. Dai dati che abbiamo e dagli studi che abbiamo fatto, pur non potendo sapere quando il vulcano si risveglierà, siamo quasi certi che lo farà con un’eruzione di tipo sub-pliniano: si tratta di un evento simile a quello di Pompei, ma con un’energia un pò minore. E’ il responso di studi molto approfonditi, e la probabilità che il vulcano – quando si risveglierà – lo farà in questo modo, è più che ragionevole, intorno al 90%. E’ invece poco probabile che il Vesuvio possa riprendere l’attività con una piccola eruzione. Per questo il piano di emergenza è stato realizzato in base a un’eruzione di tipo sub-pliniano, e prevede una zona rossa che sarebbe ad altissimo rischio a causa dei grandi flussi piroclastici dovuti al collasso della colonna vulcanica che determinerebbe l’espansione di una nube tossica formata da particelle solide e gas caldissimi. Sarà un fenomeno troppo rapido, che raggiungerebbe la costa nel giro di 10 minuti. Con gli aggiornamenti del Piano di emergenza, anche l’area est di Napoli entrerà nella zona rossa. Poi c’è una zona blu che è la piana di Nola, a rischio anche per fenomeni alluvionali, e la zona gialla, quella a rischio per ingente caduta di cenere. Per quanto riguarda la situazione attuale, abbiamo vari indicatori sul Vesuvio, dove si verificano circa 800/900 terremoti l’anno. Noi analizziamo e misuriamo le variazioni geochimiche, i gas fumaroli, le formazioni del suolo, i gas del suolo. In base alle variazioni di questi elementi, siamo in grado di dare un allarme in modo preventivo, giorni, settimane e forse addirittura mesi prima di un’eruzione. Ma abbiamo una scala di allarme che prevede 4 diversi livelli di allerta, perchè non è escluso che ci siano falsi allarmi, cioè che il vulcano dia segni di risveglio ma poi non si risvegli. La protezione civile – ad esempio – interviene solo negli ultimi 2 livelli di allarme: il più grave è quello rosso, che prevede l’evacuazione. Il problema principale è ch non potremo sapere quanto tempo passerà dai precursori fino all’eruzione, forse anche mesi, e questo potrebbe essere un problema aggiuntivo. Altri rischi sono dovuti alla caduta di ceneri e alle frane. Infatti le eruzioni vulcaniche determinano cambiamenti climatici, non solo – in alcuni casi – su scala globale, ma spesso anche nei microclimi intorno al vulcano n eruzione, dove provocano piogge abbondanti a causa delle emissioni del vapore acqueo. Queste grandi piogge si possono verificare su depositi instabili di cenere appena emessa dal vulcano. La piana di Nola è a rischio alluvioni, e per questo è nella zona blu. A proposito di Piano di Emergenza: se ne sta realizzando uno, nuovo, per i Campi Flegrei: al momento ci sono solo delle bozze avviate tra l’82 e l’84, quando ci fu l’ultimo bradisisma con un sollevamento rapido del suolo di 150 cm in due anni. I Campi Flegrei sono molto diversi dal Vesuvio, sono contraddistinti da una continua attività eruttiva che può addirittura modificare la linea di costa per i sollevamenti del terreno. Il Vesuvio, invece, dopo che si risveglia con una grossa eruzione dopo tanti anni di silenzio apparente, si mantiene sempre in attività continua e costante, non estrema, un pò come l’Etna. Infatti tra il 1631, quando ci fu una grossa eruzione, e il 1944, il Vesuvio è stato sempre attivo per oltre 310 anni consecutivi, e in quel periodo in tanti andavano lassù, fino a pochi metri dalla lava, a godersi lo spettacolo senza alcun pericolo, perchè erano eruzioni coreografiche ma buone, proprio come quelle dell’Etna“.
Secondo il Piano di Emergenza, come mai la zona gialla si estende a est per decine e decine di chilometri, mentre non fa altrettanto a ovest dove c’è Napoli, che potrebbe comunque essere ricoperta dalle ceneri qualora i venti soffiassero da sud/est durante l’eruzione?
“Abbiamo calcolato la distribuzione probabilistica dei venti che veicolano la cenere. Si tratta solo di calcolo di probabilità, quindi non è corretto dire che Napoli non è a rischio per quanto riguarda la caduta delle ceneri. Anche Napoli, pur avendo quell’incidenza, è a rischio. La nube potrebbe a elevarsi anche a 20 km di altezza e il profilo dei venti a tutte le quote è tale da farci pensare che probabilmente le ceneri si dirigeranno verso est. Per questo la zona gialla è così ampia verso l’Appennino, meno verso Napoli. Ma non escludiamo che la ricaduta della cenere possa essere a Napoli. In questo caso, il problema non sarebbe così devastante come quello dei flussi piroclastici, ma sarebbe legato al peso e alla quantità della cenere, una situazione molto meno drammatica e più controllabile“.
Cosa pensa della costruzione dell’Ospedale del Mare, uno dei più grandi d’Europa, proprio alle pendici del Vesuvio?
“Non mi va di entrare troppo nella polemica. Se penso alla densità della popolazione in quella zona, credo che ci possa anche essere la necessità di avere una struttura del genere anche se è certo che chi l’ha pianificato deve immaginare anche i possibili rischi“.
Qual’è, invece, la situazione di Ischia? Lo scorso anno le parole di Bertolaso provocarono un grande allarme …
“Sì, l’episodio di Bertolaso creò molto scalpore negli abitanti e negli operatori turistici dell’isola: ci fu grande apprensione nel chiedere spiegazioni. Fummo convocati per un incontro alla prefettura di Napoli per chiarire i nostri studi. Ischia è un’isola vulcanica. L’ultima eruzione risale al 1300 circa. Contrariamente a Vesuvio e Campi Flegrei, non tutte le eruzioni di Ischia sono state di tipo esplosivo: spesso sono state effusive, solo di lava, come l’ultima del 1300. La pressione dell’Epomeo addirittura tende a scendere, non ad alzarsi: è un indicatore che conferma che al momento non c’è nessun rischio imminente. La sismicità dell’isola è un pò particolare, basti pensare al terremoto di Casamicciola del 1883: fu il primo evento catastrofico dopo l’Unità d’Italia. Quasi l’80% dell’abitato andò distrutto con migliaia di morti, di cui molti turisti già allora presenti sull’isola. Attualmente la sismicità è molto molto bassa. Per i terremoti, però, non c’è possibilità – ad oggi – di fare previsioni, si può solo provare a prevenire il danno. Il Sindaco di Casamicciola mi chiede sempre, spesso allarmato, quale può essere la soluzione: gli rispondo che in questi casi c’è solo un modo per evitare danni, le costruzioni antisismiche“.
Scendendo verso Sud, nel Tirreno troviamo il Marsili, il Vavilov e altri vulcani sommersi: determinano un fattore di rischio?
“Sì, se n’è parlato di recente: il Marsili è una possibile fonte di tsunami. Anche il Vavilov: sappiamo che “ne manca un pezzo”, cioè in passato su una sua dorsale c’è stata una grande frana. Il rischio tsunami c’è come per le Eolie, basti pensare allo Stromboli e a quanto accaduto il 31 dicembre 2002 quando una frana lungo la sciara del fuoco determinò un maremoto in tutto il tirreno: per fortuna era dicembre e non agosto, altrimenti chissà cosa sarebbe potuto succedere. Comunque siamo molto più preoccupati del Vesuvio, anche come possibilità, rispetto ai vulcani sottomarini del Tirreno, in quanto i problemi immediati sono molto più elevati. Per quanto riguarda il Marsili, il Vavilov e gli altri vulcani sommersi nel Tirreno, pensiamo da anni allo sfruttamento dell’energia geotermica. Pensate che il Marsimi il più grosso vulcano d’Europa con una base di oltre 170 chilometri: si potrebbe sfruttare proprio l’energia geotermica. Però forse ci sono molte zone più accessibili sulla terra ferma. Anche sui Campi Flegrei stiamo facendo uno studio simile: sarà scavato un piccolo “pozzo” per studi fino a quasi 4 mila metri di profondità, non sarà verticale perchè dopo mille metri devierà verso il centro della principale caldera flegrea, partendo dai bordi. Vedremo cosa ne verrà fuori“.
Ancora più a Sud, arriviamo in Sicilia dove, nel Messinese Tirrenico, sono molto preoccupati per lo sciame sismico di questi giorni.
“La zona è molto sismica. L’unico principio utile – lo ripeto – è quello di adottare le normative antisismiche che sono frutto degli studi scientifici: abbiamo un catalogo tra i più completi a livello mondiale con una grandissima documentazione. Purtroppo non si possono fare previsioni, se non mera statistica che ha poco valore. L’unica soluzione è la prevenzione, cioè costruire abitazioni che resistono ai terremoti, ed è possibile“.
Ma non è possibile neanche sapere se – solitamente – uno sciame sismico come quello Messinese può anticipare una scossa o meno?
“Ci sono grandi studi sui premonitori sismici: precursori geochimici, elettromagnetici, il gas radon. Il problema, però, è che allo stato attuale niente ha mai dato elementi utili per essere applicabile dal punto di vista delle previsioni vere e proprie. A volte ci sono determinati segnali, a volte no. Non ci sono, quindi, elementi certi per effettuare operazioni preventive da un punto di vista sismologico. I terremoti spesso sono improvvisi, altri preceduti da sciami. Però le zone sismiche hanno sempre una sismicità costante: in generale non sono mai silenti, danno sempre piccole scosse. Sugli sciami esistono varie teorie: nella faglia di Sant’Andrea, ad esempio, ci sono dei vuoti di sismicità e si ritiene che lì potrebbe esserci un blocco maggiore che determina un miglior accumulo di energia. Ma è sempre e solo un fatto statistico. Non si può evacuare una zona per anni, perchè spesso questi sciami durano anni, e poi magari non succede nulla. Dopotutto sappiamo già che quella del Messinese è zona sismica. Con costruzioni adeguate, la previsione del terremoto non sarebbe un problema“.
Cosa ne pensa del rinvio a giudizio della commissione grandi rischi da parte del Gup del Tribunale dell’Aquila?
“Beh, su questa vicenda siamo molto preoccupati come istituto. Un mio collega di pari grado di un’altra sezione s’è trovato implicato. La situazione è molto preoccupante perchè ha l’effetto di non farci più parlare: vi assicuro che proprio sui ricercatori fa quest’effetto, perchè sbilanciarsi così diventa un problema serio. Questa cosa ci ha molto sorpreso. In queste commissioni ci siamo stati spesso, e le nostre dichiarazioni sono sempre legate alle nostre conoscenze. La comunità scientifica ha questo compito, ma ci sono cose che ancora oggi non è in grado di sapere. Non si possono prevedere i terremoti, non c’è un modo per farlo, purtroppo“.
Crede che le emissioni di cenere dei vulcani che stanno eruttando in questi giorni, dal Cile all’Africa, dalla Russia fino all’Islanda poche settimane fa, possano alterare il clima della Terra?
“Certamente le grosse eruzioni vulcaniche possono determinare cambiamenti climatici a causa delle emissioni di particelle gassose che hanno una certa entità: Co2 e So2, ma soprattutto le particelle. E’ già successo in passato, con il Pinatubo nel 1991 abbastanza di recente, ma ancor di più con il Tambora nel 1816. Quelle di adesso, però, se paragonate a quelle più forti, non sono vere grandi eruzioni“.
Dopo l’intervista, il direttore ci ha accompagnato nella sala di controllo dell’Osservatorio, spiegandoci il funzionamento di tutti gli apparati di monitoraggio (vedi foto).