Uragani: possono formarsi anche nel Mediterraneo e colpire l’Italia. E’ già successo: ecco come e quando

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Spettacolare immagine satellitare del "Medicane" "Celeno" in azione sullo Ionio nel Gennaio 1995

L’uragano Irene che ha colpito in modo molto violento gli Stati Uniti d’America nei giorni scorsi, ha riportato in modo attuale la tematica dei fenomeni estremi meteorologici alla ribalta su tutti i media mondiali.
La domanda che ci poniamo oggi, dopo che ieri abbiamo scoperto tutti i segreti dei cicloni tropicali, riguarda il nostro Paese e il bacino del Mediterraneo in cui l’Italia è baricentrica. Gli uragani possono formarsi o arrivare fin qui? Siamo anche noi a rischio?
Ebbene la risposta è sì. Anche il nostro mar Mediterraneo, in determinate situazioni sinottiche di fortissima instabilità e con l’immancabile supporto delle masse d’aria caldo e umide stagnanti sopra la superficie marina, può sfornare dei veri e propri sistemi ciclonici con caratteristiche tropicali, analoghi alle tempeste tropicali o agli uragani o tifoni che si formano sul finire della stagione calda sui mari tropicali.

Questo particolare tipo di perturbazioni vengono classificate con il termine di “TLC”, o “Tropical Like Ciclones”.

Per caratteristiche interne e per forza i “TLC” non hanno nulla da invidiare ai classici cicloni tropicali che sferzano il settore tropicale dell’Atlantico, il Pacifico e l’oceano Indiano.

Essendo caratterizzati internamente da un “cuore caldo”, ben presente soprattutto nei bassi strati, i “TLC” si differenziano notevolmente dai più comuni cicloni extratropicali che si formano continuamente tra l’Europa e il bacino del Mediterraneo.

Inoltre questi vortici hanno una estensione molto più limitata, ma attorno al profondo minimo barico riescono a conservare una grandissima potenza che spesso si traduce con una intensa attività convettiva al centro, dove si possono celare dei sistemi temporaleschi particolarmente attivi, e da venti molto forti e turbolenti, spesso sotto forma di tempesta anche se il “Fetch” non raggiunge mai grandi estensioni concentrandosi proprio a ridosso dell’occhio.

Un’altra caratteristica dei “TLC” è rappresentata dalla loro grande “barotropicità”, tipica delle perturbazioni tropicali, al contrario delle depressioni extratropicali delle medie latitudini che sono caratterizzata da “baroclinicità”.

Questi profondi vortici ciclonici tropicali mediterranei si formano molto spesso nella stagione autunnale, fra Agosto e il mese di Gennaio, nel periodo dell’anno in cui le temperature delle acque superficiali dei mari mediterranei raggiungono i massimi valori, anche con picchi di +27° +28° su tratti del mar Libico.

I mari cosi caldi con i primi transiti di masse d’aria instabili in quota divengono delle fucine temporalesche, la genesi di grossi nuclei temporaleschi come gli “MSC” possono successivamente evolvere in sistemi ciclonici a cuore caldo e di tipo tropicale apportatori di precipitazioni torrenziali, in grado di scatenare degli eventi alluvionali lungo le aree colpite, scaricando anche oltre 400-500 mm nel giro delle 24 ore.

Non per caso parte degli eventi alluvionali che hanno sconvolto negli ultimi anni il nostro paese o altre nazioni dell’area mediterranea sono da attribuire al passaggio di questo tipo di perturbazioni dalla struttura tropicale.

Più rari ma non impossibili i casi in cui dei sistemi a cuore freddo, come un semplice CUT-OFF in quota o un vecchio ciclone extratropicale, riescono a tramutarsi in sistemi a cuore caldo, acquistando spiccate caratteristiche tropicali.

Durante questa evoluzione all’interno dell’area depressionaria il processo “baroclino” (tipico degli extratropicali) viene sostituito da quello “barotropico” (tipico dei cicloni tropicali).

In questi casi il ciclone diventa pienamente autonomo e prende la sua energia dal calore latente fornito dal mare, di conseguenza la convenzione esplode nel centro del sistema, i venti si intensificano di botto fino a superare i 100 km/h e si forma il tipico occhio del ciclone dentro la massa temporalesca.

Molti studiosi ritengono i “TLC” come dei cicloni tropicali a tutti gli effetti che riescono a generarsi al di fuori dell’area tropicale e molto spesso in condizioni davvero estreme per lo sviluppo di questo particolare tipo di perturbazioni.

Bisogna pure evidenziare che fra la fine dell’estate e durante la stagione autunnale, non solo sul Mediterraneo, ma anche sul vicino Atlantico, alle nostre stesse latitudini, possono svilupparsi dei piccoli cicloni tropicali o sub-tropicali di estrema violenza che nascono sopra superfici marine non molto calde, spesso con valori di neanche +23° +24°.

Vi sono tanti esempi, i più noti sono l’uragano “Vince” nel 2005 che si formò davanti le coste lusitane, e la tempesta tropicale “Grace” nel 2009.

Entrambi i sistemi, molto profondi, erano provvisti di una forte attività convettiva attorno l’occhio e da venti con intensità di uragano, ad oltre i 130 km/h.

Ma torniamo a parlare dei cicloni tropicali più nostrani.

Come i cicloni tropicali per stimare la forza dei “TLC” si fa ricorso ad una scala simile alla più famosa scala “Saffir-Simpson” la quale, in base alla velocità dei venti medi sostenuti e alla pressione centrale, li suddivide a sua volta in; “Mediterranean Tropical Depression” quando la velocità del vento medio sostenuto è inferiore ai 63 km/h; “Mediterranean Tropical Storm” quando il vento si aggira fra i 64 e 111 km/h e “Medicane o Mediterranean Hurricane” quando il vento medio supera la soglia dei 111 km/h.

Sovente i “TLC” che si formano sul Mediterraneo, la media annuale è di almeno 2-3 formazioni, raggiungono lo stadio di “Mediterranean tropical depression” oppure “Mediterranean Tropical Storm”.

Molto più rari sono i cosiddetti “Medicanes” (Mediterranean Hurricanes), il massimo grado dei sistemi “TLC”.

Per “Medicane” si intende un vero uragano mediterraneo, si tratta delle tempeste più potenti e devastanti che il mare Mediterraneo può sfornare.

Pur avendo la forma di un “Mediterranean Tropical Storm” o di una più semplice “Mediterranean Tropical depression” il “Medicane” è contraddistinto da venti molto più violenti, spesso possono toccare punte di 140 km/h e da una pressione centrale molto più profonda che può scivolare persino sui 975 hpa, valore estremamente basso per l’area mediterranea.

Poi nel “Medicane” il valore barico cosi profondo porta a generare il tipico occhio persistente al centro del sistema temporalesco principale.

La media degli ultimi decenni vede la formazione di un “Medicane” almeno una volta ogni 3-4 anni.

Nell’ultimo secolo il servizio meteorologico nazionale ha catalogato diversi casi di “Medicanes” e più precisamente nel Settembre 1947, Settembre 1969, Settembre 1973, Agosto 1976, Gennaio 1982, Settembre 1983, Dicembre 1984, Dicembre 1985, Ottobre 1994, Gennaio 1995, Ottobre 1996, Settembre 1997 e Dicembre 2005.

Tra i casi più “recenti” ai nostri tempi non possiamo non parlare delle distruzioni portate dal “Medicane Cornelia” nell’Ottobre del 1996.

“Cornelia” si formò a sud delle Isole Baleari fra il 6 e il 7 Ottobre del 1996, la tempesta dopo aver attraversato il sud della Sardegna, come “tropical storm”, giorno 8 si riversò sul Tirreno centro-meridionale, qui a contatto con le calde acque superficiali tirreniche il ciclone si intensifico divenendo un piccolo uragano mediterraneo, in questo caso un “Medicane”.

Giorno 9 Settembre il “Medicane Cornelia” passerà con il suo occhio vicino l’arcipelago eoliano devastando letteralmente le sette isole con venti furiosi di 140-145 km/h che hanno abbattuto le linee elettriche, sradicando decine di alberi, mentre le impressionanti mareggiate che hanno flagellato le coste isolane hanno affondato numerose barche e yacht.

Durante il suo passaggio dal basso Tirreno allo Ionio il ciclone “Cornelia” riusci a richiamare su tutta Italia un flusso di umidissime correnti meridionali che hanno innescato dei fenomeni alluvionali fra Piemonte, Emilia, Calabria (alluvione a Crotone) e sul nord-est della Sicilia (messinese), con precipitazioni molto abbondanti e spesso sotto lo sfogo temporalesco.

“Cornelia” dopo aver devastato le Eolie, la Calabria e il messinese si è portata sullo Ionio dove si è rapidamente indebolita prima di toccare le coste di Creta sul Mediterraneo orientale.

Andando indietro di un anno nel Gennaio del 1995 fu la volta del “Medicane Celeno”, uno dei pochi casi studiati di “Mediterranean Hurricane”, seppur con mille difficoltà.

“Celeno” si formò in mezzo al Mar Ionio, fra Grecia e Sicilia, il 14 Gennaio 1995.

Giorno 15 Gennaio, la nave di ricerca Meteor, si trovava molto vicino alla tempesta, qui gli studiosi riuscirono a misurare raffiche di vento talmente forti da lambire i 135-140 km/h, ossia 1^ categoria della Saffir-Simpson, mentre il barometro a bordo segno un valore di 975 hpa al livello del mare, cifra impressionante.

Fu impossibile per i ricercatori della Meteor lanciare dei palloni meteorologici causa la violenza del fortunale in corso.

Il 16 Gennaio il ciclone “Celeno” spostandosi verso est si rafforzerà ulteriormente, con venti stimati sui 140-150 km/h, rimanendo fortunatamente in azione in mare aperto sul Mediterraneo centro-orientale.

Il giorno dopo “Celeno” muovendosi verso sud-sud/est tenderà rapidamente a perdere potenza prima di fare il “landfall” definitivo sulla costa libica, con venti di tempesta a 100 km/h che hanno prodotto furiose mareggiate e tempeste di sabbia sulle zone interne (non si hanno notizie di vittime da parte delle autorità libiche, ma i danni materiali furono ingenti).

Tra i più recenti “Medicane” “Zeo” fu uno dei più violenti nel Dicembre 2005.

Si formò tra Canale di Sicilia e mar Libico dall’evoluzione di un potente “MSC” e portò forti venti orientali e piogge alluvionali con vittime sulla Sicilia, malgrado il suo occhio era posizionato più vicino alle coste africane.

“Zeo” poi proseguirà la sua corsa su tutto il Mediterraneo centro-orientale sfiorando dapprima le coste libiche e l’isola di Creta con furiose tempeste di vento fino a 100 km/h.

La tempesta effettuerà il “landfall” definitivo lungo le coste dell’Asia minore come una tempesta tropicale.

Un’altro esempio recente è la tempesta “Maria” che spazzò il Salento il 26 Settembre 2006, con venti prossimi i 100 km/h capaci di sradicare alberi e insegne pubblicitarie fra leccese e brindisino.

Come abbiamo visto sono diversi i casi di “Medicane”, purtroppo molto spesso il loro passaggio ravvicinato alle terre emerse ha determinato ingentissimi danni materiali e alle volte anche delle vittime per alluvioni, frane, tempeste di vento o grosse mareggiate.

Malgrado tutto questo ancora il fenomeno dei “Medicanes” continua ad essere sottovalutato da tutti gli enti preposti che spesso si trovano impreparati nell’affrontare simili emergenze con tutte le conseguenze del caso (abbiamo visto pure di che portata).

Eppure per studiare e prevenire meglio tali fenomeni atmosferici di estrema violenza basterebbe solo una sinergica azione di collaborazione tra i vari servizi meteorologici nazionali dei paesi dell’area mediterranea, sia sulla sponda europea che africana, al fine di evitare il ripetersi, come in passato, di nuovi eventi calamitosi che potrebbero risultare distruttivi per le aree interessate dal passaggio di questi “mostri mediterranei”.

Si spera che quanto prima anche i paesi dell’area mediterranea, cosi come si fa negli USA, in Cina, Giappone o Taiwan per difendersi da uragani e tifoni, si dotino di una rete di monitoraggio più all’avanguardia per cercare di svelare i tanti misteri che ancora si celano dietro queste impressionanti quanto spettacolari perturbazioni tropicali.

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