Il cambiamento climatico è un fenomeno con ciclicità di circa 1.000 anni essenzialmente legato alla attività delle macchie solari. L’ inquinamento atmosferico può contribuire ad accentuare questo fenomeno naturale; tuttavia, anche se l’inquinamento atmosferico di origine antropica fosse totalmente annullato, il cambiamento climatico si verificherebbe egualmente. È necessario predisporre misure per preparare l’ambiente mediterraneo, in particolare, a sopportare per circa 100-150 anni gli effetti del riscaldamento globale naturale e ciclico, mitigando effetti come: l’erosione delle spiagge, la diversa distribuzione delle risorse idriche, i dissesti idrogeologici connessi alle modificazioni delle precipitazioni piovose e al riscaldamento delle aree alpine.
Il cambiamento climatico ambientale di 1000 anni fa
Gengis Khan nasce tra il 1155 e il 1167 e muore nell’agosto 1227 dopo avere costruito uno dei più vasti e potenti imperi della terra ad oriente dell’Europa. Le Crociate iniziano nel 1097 e finiscono nel 1270 e determinano la riconquista del Mediterraneo da parte delle popolazioni europee, dopo un predominio plurisecolare musulmano. Ma che relazioni vi sono tra Gengis Khan e le Crociate? Tra questi due mega eventi che hanno sensibilmente influito sulla storia dell’uomo, apparentemente, sembra che non vi sia alcun rapporto. I testi di storia non ci dicono quale fosse il contesto ambientale nel quale si sono verificati questi “fenomeni”. Alla luce dei più recenti risultati acquisiti con ricerche di geoarcheologia ambientale si può affermare che entrambi i “fenomeni” maturano e si sviluppano durante un cambiamento climatico-ambientale simile a quello che si sta manifestando e preannunciando attualmente, vale a dire durante uno dei ciclici e naturali riscaldamenti globali connessi ad un incremento dell’attività solare su scala plurisecolare. Inconfutabili dati scientifici contenuti negli archivi naturali (prevalentemente nell’area mediterranea) integrati da dati archeologici e storici hanno consentito di ricostruire la storia del clima, dell’ambiente e dell’uomo degli ultimi 3000 anni (Ortolani e Pagliuca, 1994; Pagliuca e Ortolani, 2007). La storia dell’uomo si e sviluppata in un ambiente, favorevole alle attività umane, che prevalentemente è stato caratterizzato da condizioni climatiche simili a quelle note dal 1750 ad oggi. Tali condizioni, ogni 500 anni, sono state bruscamente interrotte da periodi della durata di 150-200 anni nei quali hanno prevalso alternativamente condizioni più fredde e più piovose e condizioni più calde e più aride. Le variazioni climatico-ambientali sono correlabili con variazioni plurisecolari dell’attività solare (Usoskin et al., 2003; Usoskin et al., 2005; Usoskin et al., 2006; Usoskin e Kovaltsov, 2006); un maggior numero di macchie solari ha determinato riscaldamenti globali mentre un minor numero ha provocato raffreddamenti globali. Conseguentemente le fasce climatiche attuali hanno avuto espansioni di alcuni gradi verso nord (periodi caldi) e verso sud (periodi freddi) provocando rapide e drastiche modificazioni ambientali.
Il riscaldamento globale attuale sta progressivamente provocando lo spostamento verso nord delle fasce climatiche dell’emisfero settentrionale, proprio come accaduto 1000 anni fa. Le zone predesertiche e desertiche lentamente stanno invadendo l’Area Mediterranea e le acque marine si stanno sensibilmente riscaldando.
Il tipico clima mediterraneo si sta trasferendo nell’ Europa Centrale determinando le condizioni per nuove trasformazioni agricole tipicamente mediterranee. Le vaste aree settentrionali della Siberia, della Mongolia e del Canada interessate dal permafrost (suolo perennemente o stagionalmente congelato) si stanno trasformando in aree coltivabili immettendo in atmosfera enormi volumi di gas ad effetto serra prima intrappolati nel suolo gelato. Questi mega eventi naturali sono iniziati significativamente già a partire dal 1750 circa, si sono intensificati nel secolo scorso e ciclicamente ogni 1000 anni si sono ripetuti determinando una rapido e naturale cambiamento climatico ambientale. Accanto ad essi si sta verificando l’ inquinamento dell’atmosfera causato dalle attività umane. Quest’ultimo determina un peggioramento della qualità dell’aria e influisce localmente sulla salute dell’uomo provocando anche significativi e pericolosi inquinamenti ambientali. I dati scientifici evidenziano che tra il 1000 dopo Cristo e il 1270 si ebbero modificazioni climatico ambientali (simili a quelle attuali) che determinarono un sensibile riscaldamento delle aree settentrionali del Canada, Siberia e Mongolia e l’instaurazione di condizioni simili a quelle mediterranee nell’Europa Centrale; fenomeni di desertificazione climatica si ebbero nelle fasce costiere dell’Italia Meridionale. Gli storici evidenziano l’incredibile sviluppo demografico, economico, sociale e militare che avvenne in Europa Centrale a partire dal 1000 d.C., proprio grazie al riscaldamento globale che determinò un significativo miglioramento delle condizioni ambientali. In questo quadro di prosperità e di potenza si inquadra il fenomeno delle Crociate, iniziate nel 1097 e terminate nel 1270; durante tale intervallo l’Europa ha riconquistato il controllo commerciale del Mediterraneo, perso nei secoli precedenti quando tra il 500 e 700 d.C. si erano instaurate condizioni climatico ambientali freddo-umide sfavorevoli ambientalmente nell’Europa ma favorevoli sulla sponda meridionale del Mediterraneo. Il riscaldamento globale ha determinato un drastico miglioramento delle condizioni ambientali anche in Siberia e in Mongolia dove milioni di ettari di territorio sono diventati produttivi in seguito allo scongelamento del permafrost. Conseguentemente la popolazione incrementò sensibilmente preparando il terreno per il grande leader Gengis Khan, che tra la seconda meta del XII secolo e il primo quarto del XIII secolo, si avvale di condizioni ambientali straordinariamente favorevoli per impostare il suo grande impero che si estese in buona parte dell’Europa Orientale. I dati storici evidenziano che intorno al 1300 le condizioni climatico-ambientali peggiorarono sensibilmente e l’Europa fu interessata da gravi crisi economiche, sociali, militari e sanitarie. Le ricostruzioni paleoclimatiche mettono in luce che tra il 1050 e il 1100 la temperatura media si e innalzata di circa 1 grado centigrado e che a partire dal 1270 circa si è nuovamente raffreddata. Tale evoluzione climatica è connessa ad un marcato incremento delle macchie solari (Periodo Caldo Medievale, dal 1000 al 1270 circa, coincidente con il Grande Massimo Solare Medievale). Esse decrebbero improvvisamente a partire dalla fine del 1300 dando inizio ad un lungo periodo freddo, noto come Piccola Età Glaciale, che terminerà intorno al 1730.
Non confondiamo il cambiamento climatico con l’inquinamento atmosferico.
I fisici solari hanno evidenziato che dal 1750 l’attività solare ha iniziato ad aumentare e che dal 1940 il sole si trova in uno stato di grande massimo che solo una volta negli ultimi 11.000 anni ha avuto una magnitudo simile. Il grande massimo attuale dovrebbe terminare tra 10-15 anni (determinando un momentaneo raffreddamento come accaduto tra il 1020 e il 1050 in corrispondenza con il minimo di attività solare detto di Oort dal fisico che lo scopri) dopo di che potrebbe riprendere ad aumentare, a partire dal 2050 circa, determinando l’instaurazione di condizioni climatico-ambientali più calde, simili a quelle descritte nel medioevo. A questa evoluzione naturale si sommano le emissioni gassose antropogeniche. Anche eliminandole del tutto non si invertirebbe la variabilità climatico-ambientale naturale, ma si eliminerebbe certamente l’inquinamento atmosferico. Quindi, riduciamo drasticamente le emissioni nocive in atmosfera per non inquinare l’ambiente e, soprattutto, predisponiamo l’ambiente affinchè si attenuino gli impatti, diversificati per latitudine e orografia, che si intensificheranno nelle prossime decine di anni. Come 1000 anni fa, sarà l’Area Mediterranea a subire gli impatti più significativi: diminuiranno le piogge fino a provocare una vera e propria desertificazione delle fasce costiere italiane a sud di Roma e lungo le coste spagnole e greche. Diminuirà l’acqua e ciò provochera conflitti sociali tra le aree costiere e quelle interne dove le piogge continueranno a cadere (circa il 50% in meno), conflitti tra i diversi usi idrici e conflitti bellici nelle aree del vicino oriente per il controllo della risorsa. Le tipiche produzioni agricole mediterranee saranno significativamente intaccate determinando problemi all’assetto socio-economico. Aumenteà l’inquinamento fluviale e il sovrasfruttamento delle acque di falda; quest’ultimo faciliterà l’intrusione dell’acqua marina nelle pianure costiere rendendole sterili. Anche i versanti antropizzati alpini avranno i loro problemi in seguito ai dissesti che saranno provocati dallo scioglimento del permafrost. I problemi previsti non sono solo questi. Come si vede, c’e bisogno di una buona conoscenza scientifica “indipendente dagli interessi delle lobbies” che si sono da tempo preparate a speculare sul prossimo cambiamento climatico sponsorizzando e finanziando prima e pubblicizzando poi ricerche mirate a dimostrare che la causa della variazione del clima è esclusivamente rappresentata dalle emissioni ad effetto serra causate dalle attività umane. Naturalmente tali agguerrite lobbies dichiarano, convincendo con idonei e noti mezzi anche uomini di governo a tutti i livelli, di avere le soluzioni idonee a contrastare il cambiamento climatico. Tali soluzioni mirate a vendere tecnologie e mezzi meno inquinanti (idonei a ridurre l’inquinamento atmosferico ma non a contrastare il cambiamento climatico), è inutile dirlo, arricchirebbero sempre più le lobbies a scapito dei paesi poveri e delle aree che realmente saranno interessate negativamente dal cambiamento climatico, come l’Area Mediterranea. Le ricerche innovative condotte presso il Dipartimento di Pianificazione e Scienza del Territorio dell’Universita Federico II di Napoli studiando gli archivi naturali integrati presenti nell’Area Mediterranea hanno consentito di ricostruire la storia del clima e dell’ambiente delle ultime migliaia di anni; cambiamenti climatici anche più intensi dell’attuale si sono verificati con ciclicità millenaria, naturalmente e senza l’inquinamento atmosferico antropogenico. La durata dei periodi caldi degli ultimi millenni è stata di circa 150-200 anni. Questi ultimi sono correlabili con un sensibile incremento di attività solare su scala multisecolare. L’attuale periodo di cambiamento climatico si sta instaurando secondo la naturale ciclicità millenaria e si sta sovrapponendo ad un crescente inquinamento antropogenico dell’atmosfera; esso si svilupperà naturalmente, in relazione all’attività solare, come accaduto 1000 anni fa. L’ambiente sarà interessato da modificazioni rapide, diversificate in relazione alle attuali condizioni climatiche connesse alla latitudine. Il cambiamento climatico per l’uomo moderno tecnologico è anche una novità; va ricordato che negli ultimi millenni si sono verificati cambiamenti simili a quello attuale anche con una concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera inferiore a quella delle ultime decine di anni, come accaduto 1000 e 2000 anni fa. I cambiamenti del clima e dell’ambiente, in natura, si sono sempre verificati in assenza di inquinamento ambientale antropogenico; gli archivi naturali evidenziano che in periodi preistorici le concentrazioni di gas tipo CO2, metano ecc. hanno avuto sensibili variazioni naturali, aumentando nei periodi con clima anche più caldo dell’attuale. La storia del clima e dell’ambiente ricostruita con le ricerche scientifiche innovative, senza le sponsorizzazioni di coloro che si preparano ad azioni neocolonialiste speculando sul clima, evidenzia che indipendentemente dalle attività umane inquinanti, le popolazioni dovranno, comunque, adattarsi alle nuove condizioni climatico-ambientali che continueranno ad evolversi con la loro ciclicità millenaria.
Dobbiamo essere coscienti che il cambiamento climatico ambientale non può essere contrastato. L’uomo può intervenire solo sull’inquinamento atmosferico attuando azioni tese a mitigarne gli effetti. L’uomo può efficacemente intervenire attuando sagge azioni per mitigare i danni che il cambiamento climatico provocherà modificando l’attuale ambiente naturale e antropizzato. Tale conclusione, strettamente connessa ai dati scientifici multidisciplinari, alla storia ambientale e alle previsioni delle modificazioni del prossimo futuro, deve essere individuata come una pragmatica posizione per preparare l’ambiente nelle aree nelle quali verrà piu significativamente modificato nelle prossime decine di anni. I sostenitori di tali tesi scientifiche scaturite da dati, analizzati multidisciplinarmente, contenuti negli archivi naturali e relativi anche all’attivà solare millenaria, finora sono stati definiti reazionari, al servizio degli inquinatori del globo, che intendono aggravare gli effetti della variazione climatica. Ma da chi? Da coloro che in base ai dati climatici strumentali che coprono solo gli ultimi 150 anni di storia, senza conoscere la storia del clima e dell’ambiente delle ultime migliaia di anni, come i ricercatori raggruppati nell’IPCC, (noto clan di ricercatori prevalentemente climatologi senza basi culturali per individuare, studiare e capire gli archivi naturali che contengono le informazioni sull’evoluzione del clima e dell’ambiente prima degli ultimi 150 anni, sponsorizzati dalle multinazionali e probabilmente, in parte anche in buona fede per i loro limiti culturali), sono giunti alla conclusione che molto probabilmente il cambiamento climatico attuale è provocato dall’ inquinamento antropogenico dell’atmosfera. Tale versione, autoreferenziata e non scaturita e validata da un confronto scientifico internazionale multidisciplinare, è stata ampiamente lanciata dai mass media con una vera e propria campagna pubblicitaria promozionale che ha imposto una versione monocromatica della causa del cambiamento climatico-ambientale. I governi di molte nazioni, sensibili alle pressioni delle lobbies che hanno sponsorizzato le ricerche dell’IPCC, assumono, ormai, ufficialmente che l’uomo sia la causa del cambiamento climatico, come se la verità scientifica fosse stabilita con atti di governo e non in base a valide, verificabili e documentate ricerche. Quindi, per contrastare i cambiamenti ambientali si deve intervenire sulle attività umane. Bisogna assolutamente ridurre la produzione di gas ad effetto serra. Come? Ad esempio introducendo l’uso di biocarburanti per consumare meno combustibili fossili. Biomasse da recuperare nei Paesi poveri. Ecco come l’attenzione globale si è spostata, dagli interventi tesi a mitigare i danni ambientali nelle aree che saranno più interessate dal cambiamento climatico, alle attività industriali che sono state individuate dai ricercatori sponsorizzati dai neocolonialisti come la fonte principale delle emissioni di gas ad effetto serra che provocherebbero la variazione del clima. Gli interventi da attuare nel prossimo futuro, conseguentemente, sono previsti nelle aree più industrializzate e causa prima delle emissioni inquinanti (che avrebbero provocato danni a tutto il pianeta) con la propagandata presunzione di poter cosi contrastare il cambiamento climatico e non di contenere l’inquinamento ambientale. Tra gli interventi previsti vi è anche la neocolonizzazione di aree poco sviluppate dal punto di vista socio-economico, che sarebbero assoggettate per produrre i biocarburanti necessari per ridurre le emissioni in atmosfera prodotte nei paesi ricchi. In tal modo, nelle aree povere, si crea una competizione nell’uso del suolo in quanto le foreste e le aree già coltivate saranno progressivamente adibite alla produzione di biomassa per i biocarburanti che saranno sempre più usati nei paesi ricchi. Su tale tesi, strettamente connessa agli interessi economici dei paesi ricchi a scapito dei paesi poco sviluppati, si trovano schierati i partiti progressisti e quelli ambientalisti accanto ai neocolonialisti; per ignoranza, disinformazione, speculazione economica, interessi vari. Secondo Fidel Castro tale politica neocoloniale provocherà la scomparsa prematura di alcuni miliardi di abitanti delle aree povere. Cosa fare? Prima di tutto va immediatamente promosso un dibattito scientifico multidisciplinare istituzionale internazionale, che finora è sempre stato contrastato dalle lobbies che hanno sponsorizzato l’IPCC le cui conclusioni non hanno basi scientificamente valide in quanto si basano solo su dati climatici degli ultimi 150 anni; la storia del clima delle ultime migliaia di anni non esiste per l’IPCC. La storia delle relazioni tra attività solare e clima delle ultime migliaia di anni, evidenziata dai più validi fisici solari internazionali, per l’IPCC non esiste. Per l’IPCC esiste solo l’inquinamento atmosferico connesso alle attività antropiche degli ultimi 150 anni. Scientificamente parlando, le conclusioni dell’IPCC non sono altro che un edificio senza fondazioni. Dal punto di vista commerciale, le conclusioni dell’IPCC, per i paesi ricchi, aprono la strada ad un neocolonialismo sfrenato e all’ulteriore degrado socio-economico ed ambientale globale delle aree povere. Va detto chiaramente che grazie alla efficace e interessata sponsorizzazione, i risultati dell’IPCC, scientificamente banali, si sono trasformati, per legge e non per meriti scientifici, in verità scientifica. L’applicazione del protocollo di Kyoto deve essere vista come attuazione di misure tese a ridurre l’ inquinamento atmosferico e non come il modo per combattere il cambiamento climatico. Nelle aree povere dove il cambiamento climatico avrà significativi impatti negativi e dove circa 3 miliardi di persone non hanno ancora accesso all’acqua potabile, invece di sconvolgenti interventi neocoloniali, andrebbero attuate misure efficaci per adattare l’ambiente alle nuove condizioni climatiche che si intensificheranno nel prossimo secolo.
L’Europa finora si e accodata acriticamente e passivamente alla politica neocoloniale imposta dagli sponsor dell’IPCC. L’Europa corre il rischio di applicare misure neocoloniali anche tra i suoi paesi membri in seguito ad una acritica promozione e facilitazione della produzione di biomassa che andrà a scapito delle qualificate produzioni agricole mediterranee.
Nel prossimo futuro i paesi del Mediterraneo, come accadde 1000 anni fa, saranno interessati dalla desertificazione delle zone costiere e dai più marcati cambiamenti ambientali che incideranno significativamente sull’economia e sicurezza ambientale; in tali aree vanno adottate concrete misure ambientali per la difesa delle risorse naturali, idonee a contenere i danni connessi al cambiamento climatico, e non misure tese ad avvantaggiare le attività industriali prevalentemente della parte centrosettentrionale dell’Europa che, come 1000 anni fa, sarà climaticamente favorita dalle nuove condizioni. Vanno bene, ad esempio, gli aiuti alle industrie che producono autoveicoli per ridurre le emissioni gassose al fine di non inquinare ulteriormente (troppo) l’atmosfera; accanto a queste misure antinquinamento devono essere attuati interventi per preparare l’ambiente mediterraneo, in particolare, a sopportare per circa 100-150 anni gli effetti del riscaldamento globale naturale e ciclico. Tra gli impatti che devono essere mitigati possiamo ricordare: l’erosione delle spiagge mediante restauri geoambientali attuati con ripascimenti duraturi; l’accumulo idrico per usi multipli (idropotabili, industriali, agricoli e antincendio); l’alimentazione artificiale delle falde per contrastare il loro sovrasfruttamento; il restauro e il disinquinamento fluviale; i dissesti idrogeologici connessi alle modificazioni delle precipitazioni piovose e al riscaldamento delle aree alpine con conseguente scongelamento del permafrost.
Durante il G8 tenutosi a L’Aquila all’inizio di luglio 2009 si è discusso delle misure economiche, tecnologiche e industriali da concordare per contenere il riscaldamento globale entro i 2 gradi rispetto all’era preindustriale dando per scontato che l’uomo può controllare a suo piacimento il cambiamento climatico naturale. Associazioni politico-ambientaliste e lobbies hanno ancora una volta sostenuto l’adozione di misure antiinquinamento come la riduzione di emissioni gassose in atmosfera. Le nazioni emergenti come Cina, India, Sudafrica, Messico e Brasile hanno manifestato la loro contrarietà all’adozione di misure antiinquinamento che penalizzino la loro economia. Le associazioni politico-ambientaliste e le lobbies attendono nuovi provvedimenti dal prossimo summit ambientale di Copenaghen con la speranza che vengano valorizzate forme di controllo delle emissioni antiinquinamento che servano anche a rilanciare la loro economia. Il cambiamento climatico-ambientale è sempre più fortemente sfruttato e propagandato dai mass media come una possibilità di sviluppo industriale ed economico per i paesi che finora avrebbero provocato il cambiamento climatico; le misure antiinquinamento da adottare, proposte dai grandi inquinatori storici, lederebbero l’economia dei paesi in via di sviluppo che naturalmente non le adotteranno. Il dibattito continua a vertere su questioni economiche che interessano essenzialmente le lobbies che hanno intuito, da tempo, che un grande evento naturale ciclico come il cambiamento climatico può essere sfruttato per fare ulteriori guadagni. I problemi degli adattamenti ambientali alle nuove condizioni climatiche continuano a non essere degnamente trattati dai potenti inquinatori della terra.
Il cambiamento climatico in atto e le previsioni per il prossimo futuro nell’Italia meridionale
In base alla ricostruzione delle modificazioni climatico-ambientali cicliche avvenute nelle ultime migliaia di anni in relazione all’attività solare è possibile prevedere che per altri 5-10 anni circa si avrà un’ulteriore incremento della temperatura e una diminuzione delle precipitazioni piovose (10-15% in meno rispetto all’attuale). Dal 2015-2022 circa si potrebbe avere un abbassamento della temperatura e un incremento delle precipitazioni per un periodo di qualche decina di anni in corrispondenza del previsto primo minimo relativo di macchie solari (come accaduto mille anni fa con il minimo di Oort). Intorno al 2050 circa dovrebbe iniziare un nuovo periodo con crescente attività solare e progressivo incremento della temperatura (al massimo di circa 1° rispetto all’attuale) e una progressiva diminuzione delle precipitazioni che dopo alcune decine di anni potrebbero determinare una situazione ambientale simile a quella di 1000 anni fa consistente nella desertificazione della fascia costiera e nella diminuzione di circa il 50% delle precipitazioni piovose nelle aree interne. Alla luce di queste previsioni si individuano le linee strategiche di intervento tese a mitigare gli impatti sull’ambiente prevedibili in seguito all’accentuazione del cambiamento climatico che interesserà il Mediterraneo (e con esso il Portogallo e la Spagna meridionale, la Francia Meridionale, l’Italia centromeridionale, la Grecia meridionale, la Turchia, Cipro, Malta e tutte le nazioni del versante meridionale del bacino mediterraneo) individuabile in una diminuzione delle precipitazioni piovose e nell’aumento della temperatura con una prevalenza di venti di origine meridionale e occidentale. La parte centrosettentrionale dell’Europa, come accadde 1000 anni fa durante l’ultimo riscaldamento globale avvenuto in corrispondenza di un notevole incremento dell’attività solare, sarà interessata dalla variazione climatica che si prevede sarà costituita da una tendenza alla mediterraneizzazione del clima, quindi con un incremento delle temperature e una diversa distribuzione delle precipitazioni piovose.
I problemi da risolvere nell’area mediterranea
1- Fiumi in crisi idrica durante il periodo non piovoso in seguito alla captazione delle sorgenti e alla progressiva scomparsa dei ghiacciai: le sorgenti, attualmente non captate e che alimentano con la loro acqua i fiumi durante il periodo non piovoso, saranno progressivamente captate impoverendo sensibilmente le portate dei corsi d’acqua. I ghiacciai alpini si stanno vistosamente ritirando; in tal modo quasi tutti i corsi d’acqua che attraversano i territori europei che si affacciano sulla parte centro meridionale del Mediterraneo si troveranno senza una disponibilità idrica degna di essere chiamata portata idrica vitale. L’acqua che defluirà nei corsi d’acqua sarà prevalentemente rappresentata dagli scarichi urbani più o meno trattati.
2- Falde minacciate dall’inquinamento: le falde che caratterizzano le pianure alluvionali dei principali corsi d’acqua durante il periodo non piovoso verranno alimentate da acque prevalentemente inquinate. Il sovrasfruttamento delle falde nelle pianure costiere potrà provocare la salinizzazione delle acque sotterranee in seguito alla facilitata ingressione dell’acqua marina.
3- Assenza di accumuli idrici e aree umide lungo le aree fluviali, collinari e montane: attualmente lungo le aree fluviali, nei fondo valle e nei relativi bacini imbriferi non vi è presenza di una capillare rete di aree umide, di laghetti collinari e montani che accumulino acqua utilizzabile per vari scopi durante il periodo non piovoso. In tal modo anche la fauna e la flora, oltre alle attività antropiche, ne risentiranno seriamente durante il periodo siccitoso in quanto la mancanza d’acqua limita l’ambiente naturale e le attività agricole e zootecniche. La mancanza d’acqua nei bacini imbriferi rappresenta una serio problema anche per le attività antincendio.
4- Dissesto idrogeologico ed idraulico: la mancanza di adeguate regimazioni idrauliche e di idonee sistemazioni idrogeologiche rende l’ambiente di fondo valle e di versante particolarmente vulnerabile alle esondazioni, ai fenomeni erosivi e franosi innescati dal diverso modo con cui precipiteranno le piogge e dalla progressiva diminuzione della copertura vegetale.
Principali Criticità Ambientali del prossimo futuro
In sintesi si possono evidenziare le seguenti principali criticità ambientali:
- Corsi d’acqua con scarso o nullo deflusso idrico estivo;
- Scarsità o mancanza di acqua per attività irrigue e zootecniche;
- Sovrasfruttamento delle acque sotterranee delle pianure alluvionali costiere e loro progressiva salinizzazione;
- Mancanza di bacini di accumulo idrico antincendio e uso plurimo nelle aree collinari, montane e nelle aree boscate;
- Mancanza di Oasi umide persistenti;
- Spiagge in erosione per cause naturali connesse all’insufficiente rifornimento di sedimenti nell’attuale periodo di cambiamento climatico;
Interventi prioritari
In relazione all’attuale assetto idrologico, idraulico ed idrogeologico e in previsione degli impatti connessi all’accentuazione della variazione climatica si individuano le seguenti linee di intervento al fine di attenuare gli impatti negativi della diminuzione delle precipitazioni idriche, tutelare l’ambiente naturale e antropizzato.
Gli interventi sostenibili relativi alla risorsa idrica devono mirare a garantire:
- Corsi d’acqua con deflusso idrico estivo;
- Disponibilità idrica per attività irrigue e zootecniche;
- Bacini di accumulo idrico per uso plurimo anche per uso antincendio;
- Oasi umide persistenti;
- Regimazione e valorizzazione delle aste fluviali.
Una strategica priorità è individuata nella:
Valorizzazione delle microrisorse idriche (per uso idropotabile diffuso, irriguo, antiincendio ecc.);
Riequilibrio fluviale dei corsi d’acqua privati delle acque delle grandi sorgenti captate e trasportate altrove, e dei versanti collinari e montani; sistemazioni idrauliche delle aste fluviali con interventi compatibili con la valorizzazione ambientale e le attività agricolo-zootecniche;
Rivitalizzazione dei fiumi mediante la realizzazione di accumuli idrici e oasi umide per accumulare l’acqua di ruscellamento invernale da reimmettere in alveo nel periodo non piovoso durante il quale nel corso d’acqua scorrono solo acque di scarico.
Restauro ambientale delle aree di fondo valle e delle aree interessate da dissesti mediante adeguati interventi di ingegneria naturalistica compatibili con le previsioni dell’uso produttivo del suolo.
La difesa dell’ambiente è strettamente connessa alle risorse idriche per cui assume una importanza sociale la individuazione e valutazione delle risorse idrogeologiche strategiche mediante la ricostruzione della struttura geologica ed idrogeologica tridimensionale del sottosuolo delle pianure alluvionali e vulcaniche quaternarie e degli acquiferi prequaternari, la ricostruzione della struttura geologica ed idrogeologica tridimensionale degli acquiferi che alimentano sorgenti sottomarine e individuazione degli interventi per la valorizzazione delle risorse idriche disperse in mare. Sempre legato alle risorse idriche superficiali è da considerare un altro impatto della variazione climatica sulla porzione superficiale dei versanti argillosi: l’ispessimento della coltre alterata che provoca la riduzione dello scorrimento dell’acqua e quindi una riduzione delle risorse idriche superficiali accumulabili nei bacini artificiali appenninici. Tale fenomeno, completamente nuovo e già in atto, non è ancora ben noto e valutato per cui non si può, attualmente, prevedere l’impatto che esso avrà circa la riduzione delle risorse accumulabili nel prossimo futuro.
Gli impatti sociali più significativi previsti nel prossimo futuro nella parte centro meridionale dell’area mediterranea saranno rappresentati da:
- Conflitti regionali e interregionali connessi ai trasferimenti attuali di risorse idriche dalle zone interne a quelle costiere e da una regione all’altra;
- Incremento del costo dell’acqua
- Incremento del consumo energetico connesso alla maggiore richiesta di climatizzazione.
L’accentuazione del cambiamento climatico-ambientale naturale, nel prossimo futuro, è inevitabile.
Le relazioni tra l’evoluzione dell’attività solare, del clima e dell’ambiente ed in particolare della parte superficiale della superficie terrestre ci indicano che dovremmo tenere sotto stretta osservazione queste strategiche variabili. Un “Osservatorio della variabilità solare, climatica ed ambientale” può monitorare le modificazioni che avverranno nel prossimo futuro svolgendo attività scientifiche multidisciplinari con contributi internazionali nell’eccezionale Laboratorio Mediterraneo. Contemporaneamente va attivato un progetto di ricerca strategico multidisciplinare per lo studio degli “Archivi naturali integrati del Mediterraneo” al fine di ricostruire una dettagliata storia del clima, dell’ambiente e dell’uomo e dell’adeguamento delle attività agricole in relazione alle modificazioni ambientali.
In collaborazione con SILVANA PAGLIUCA, Ricercatore CNR, ISAFOM, Ercolano.
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