Il cambiamento climatico ambientale di 1000 anni fa
Il riscaldamento globale attuale sta progressivamente provocando lo spostamento verso nord delle fasce climatiche dell’emisfero settentrionale, proprio come accaduto 1000 anni fa. Le zone predesertiche e desertiche lentamente stanno invadendo l’Area Mediterranea e le acque marine si stanno sensibilmente riscaldando.
Il tipico clima mediterraneo si sta trasferendo nell’ Europa Centrale determinando le condizioni per nuove trasformazioni agricole tipicamente mediterranee. Le vaste aree settentrionali della Siberia, della Mongolia e del Canada interessate dal permafrost (suolo perennemente o stagionalmente congelato) si stanno trasformando in aree coltivabili immettendo in atmosfera enormi volumi di gas ad effetto serra prima intrappolati nel suolo gelato. Questi mega eventi naturali sono iniziati significativamente già a partire dal 1750 circa, si sono intensificati nel secolo scorso e ciclicamente ogni 1000 anni si sono ripetuti determinando una rapido e naturale cambiamento climatico ambientale. Accanto ad essi si sta verificando l’ inquinamento dell’atmosfera causato dalle attività umane. Quest’ultimo determina un peggioramento della qualità dell’aria e influisce localmente sulla salute dell’uomo provocando anche significativi e pericolosi inquinamenti ambientali. I dati scientifici evidenziano che tra il 1000 dopo Cristo e il 1270 si ebbero modificazioni climatico ambientali (simili a quelle attuali) che determinarono un sensibile riscaldamento delle aree settentrionali del Canada, Siberia e Mongolia e l’instaurazione di condizioni simili a quelle mediterranee nell’Europa Centrale; fenomeni di desertificazione climatica si ebbero nelle fasce costiere dell’Italia Meridionale. Gli storici evidenziano l’incredibile sviluppo demografico, economico, sociale e militare che avvenne in Europa Centrale a partire dal 1000 d.C., proprio grazie al riscaldamento globale che determinò un significativo miglioramento delle condizioni ambientali. In questo quadro di prosperità e di potenza si inquadra il fenomeno delle Crociate, iniziate nel 1097 e terminate nel 1270; durante tale intervallo l’Europa ha riconquistato il controllo commerciale del Mediterraneo, perso nei secoli precedenti quando tra il 500 e 700 d.C. si erano instaurate condizioni climatico ambientali freddo-umide sfavorevoli ambientalmente nell’Europa ma favorevoli sulla sponda meridionale del Mediterraneo. Il riscaldamento globale ha determinato un drastico miglioramento delle condizioni ambientali anche in Siberia e in Mongolia dove milioni di ettari di territorio sono diventati produttivi in seguito allo scongelamento del permafrost. Conseguentemente la popolazione incrementò sensibilmente preparando il terreno per il grande leader Gengis Khan, che tra la seconda meta del XII secolo e il primo quarto del XIII secolo, si avvale di condizioni ambientali straordinariamente favorevoli per impostare il suo grande impero che si estese in buona parte dell’Europa Orientale. I dati storici evidenziano che intorno al 1300 le condizioni climatico-ambientali peggiorarono sensibilmente e l’Europa fu interessata da gravi crisi economiche, sociali, militari e sanitarie. Le ricostruzioni paleoclimatiche mettono in luce che tra il 1050 e il 1100 la temperatura media si e innalzata di circa 1 grado centigrado e che a partire dal 1270 circa si è nuovamente raffreddata. Tale evoluzione climatica è connessa ad un marcato incremento delle macchie solari (Periodo Caldo Medievale, dal 1000 al 1270 circa, coincidente con il Grande Massimo Solare Medievale). Esse decrebbero improvvisamente a partire dalla fine del 1300 dando inizio ad un lungo periodo freddo, noto come Piccola Età Glaciale, che terminerà intorno al 1730.
Non confondiamo il cambiamento climatico con l’inquinamento atmosferico.
Dobbiamo essere coscienti che il cambiamento climatico ambientale non può essere contrastato. L’uomo può intervenire solo sull’inquinamento atmosferico attuando azioni tese a mitigarne gli effetti. L’uomo può efficacemente intervenire attuando sagge azioni per mitigare i danni che il cambiamento climatico provocherà modificando l’attuale ambiente naturale e antropizzato. Tale conclusione, strettamente connessa ai dati scientifici multidisciplinari, alla storia ambientale e alle previsioni delle modificazioni del prossimo futuro, deve essere individuata come una pragmatica posizione per preparare l’ambiente nelle aree nelle quali verrà piu significativamente modificato nelle prossime decine di anni. I sostenitori di tali tesi scientifiche scaturite da dati, analizzati multidisciplinarmente, contenuti negli archivi naturali e relativi anche all’attivà solare millenaria, finora sono stati definiti reazionari, al servizio degli inquinatori del globo, che intendono aggravare gli effetti della variazione climatica. Ma da chi? Da coloro che in base ai dati climatici strumentali che coprono solo gli ultimi 150 anni di storia, senza conoscere la storia del clima e dell’ambiente delle ultime migliaia di anni, come i ricercatori raggruppati nell’IPCC, (noto clan di ricercatori prevalentemente climatologi senza basi culturali per individuare, studiare e capire gli archivi naturali che contengono le informazioni sull’evoluzione del clima e dell’ambiente prima degli ultimi 150 anni, sponsorizzati dalle multinazionali e probabilmente, in parte anche in buona fede per i loro limiti culturali), sono giunti alla conclusione che molto probabilmente il cambiamento climatico attuale è provocato dall’ inquinamento antropogenico dell’atmosfera. Tale versione, autoreferenziata e non scaturita e validata da un confronto scientifico internazionale multidisciplinare, è stata ampiamente lanciata dai mass media con una vera e propria campagna pubblicitaria promozionale che ha imposto una versione monocromatica della causa del cambiamento climatico-ambientale. I governi di molte nazioni, sensibili alle pressioni delle lobbies che hanno sponsorizzato le ricerche dell’IPCC, assumono, ormai, ufficialmente che l’uomo sia la causa del cambiamento climatico, come se la verità scientifica fosse stabilita con atti di governo e non in base a valide, verificabili e documentate ricerche. Quindi, per contrastare i cambiamenti ambientali si deve intervenire sulle attività umane. Bisogna assolutamente ridurre la produzione di gas ad effetto serra. Come? Ad esempio introducendo l’uso di biocarburanti per consumare meno combustibili fossili. Biomasse da recuperare nei Paesi poveri. Ecco come l’attenzione globale si è spostata, dagli interventi tesi a mitigare i danni ambientali nelle aree che saranno più interessate dal cambiamento climatico, alle attività industriali che sono state individuate dai ricercatori sponsorizzati dai neocolonialisti come la fonte principale delle emissioni di gas ad effetto serra che provocherebbero la variazione del clima. Gli interventi da attuare nel prossimo futuro, conseguentemente, sono previsti nelle aree più industrializzate e causa prima delle emissioni inquinanti (che avrebbero provocato danni a tutto il pianeta) con la propagandata presunzione di poter cosi contrastare il cambiamento climatico e non di contenere l’inquinamento ambientale. Tra gli interventi previsti vi è anche la neocolonizzazione di aree poco sviluppate dal punto di vista socio-economico, che sarebbero assoggettate per produrre i biocarburanti necessari per ridurre le emissioni in atmosfera prodotte nei paesi ricchi. In tal modo, nelle aree povere, si crea una competizione nell’uso del suolo in quanto le foreste e le aree già coltivate saranno progressivamente adibite alla produzione di biomassa per i biocarburanti che saranno sempre più usati nei paesi ricchi. Su tale tesi, strettamente connessa agli interessi economici dei paesi ricchi a scapito dei paesi poco sviluppati, si trovano schierati i partiti progressisti e quelli ambientalisti accanto ai neocolonialisti; per ignoranza, disinformazione, speculazione economica, interessi vari. Secondo Fidel Castro tale politica neocoloniale provocherà la scomparsa prematura di alcuni miliardi di abitanti delle aree povere. Cosa fare? Prima di tutto va immediatamente promosso un dibattito scientifico multidisciplinare istituzionale internazionale, che finora è sempre stato contrastato dalle lobbies che hanno sponsorizzato l’IPCC le cui conclusioni non hanno basi scientificamente valide in quanto si basano solo su dati climatici degli ultimi 150 anni; la storia del clima delle ultime migliaia di anni non esiste per l’IPCC. La storia delle relazioni tra attività solare e clima delle ultime migliaia di anni, evidenziata dai più validi fisici solari internazionali, per l’IPCC non esiste. Per l’IPCC esiste solo l’inquinamento atmosferico connesso alle attività antropiche degli ultimi 150 anni. Scientificamente parlando, le conclusioni dell’IPCC non sono altro che un edificio senza fondazioni. Dal punto di vista commerciale, le conclusioni dell’IPCC, per i paesi ricchi, aprono la strada ad un neocolonialismo sfrenato e all’ulteriore degrado socio-economico ed ambientale globale delle aree povere. Va detto chiaramente che grazie alla efficace e interessata sponsorizzazione, i risultati dell’IPCC, scientificamente banali, si sono trasformati, per legge e non per meriti scientifici, in verità scientifica. L’applicazione del protocollo di Kyoto deve essere vista come attuazione di misure tese a ridurre l’ inquinamento atmosferico e non come il modo per combattere il cambiamento climatico. Nelle aree povere dove il cambiamento climatico avrà significativi impatti negativi e dove circa 3 miliardi di persone non hanno ancora accesso all’acqua potabile, invece di sconvolgenti interventi neocoloniali, andrebbero attuate misure efficaci per adattare l’ambiente alle nuove condizioni climatiche che si intensificheranno nel prossimo secolo.
L’Europa finora si e accodata acriticamente e passivamente alla politica neocoloniale imposta dagli sponsor dell’IPCC. L’Europa corre il rischio di applicare misure neocoloniali anche tra i suoi paesi membri in seguito ad una acritica promozione e facilitazione della produzione di biomassa che andrà a scapito delle qualificate produzioni agricole mediterranee.
Nel prossimo futuro i paesi del Mediterraneo, come accadde 1000 anni fa, saranno interessati dalla desertificazione delle zone costiere e dai più marcati cambiamenti ambientali che incideranno significativamente sull’economia e sicurezza ambientale; in tali aree vanno adottate concrete misure ambientali per la difesa delle risorse naturali, idonee a contenere i danni connessi al cambiamento climatico, e non misure tese ad avvantaggiare le attività industriali prevalentemente della parte centrosettentrionale dell’Europa che, come 1000 anni fa, sarà climaticamente favorita dalle nuove condizioni. Vanno bene, ad esempio, gli aiuti alle industrie che producono autoveicoli per ridurre le emissioni gassose al fine di non inquinare ulteriormente (troppo) l’atmosfera; accanto a queste misure antinquinamento devono essere attuati interventi per preparare l’ambiente mediterraneo, in particolare, a sopportare per circa 100-150 anni gli effetti del riscaldamento globale naturale e ciclico. Tra gli impatti che devono essere mitigati possiamo ricordare: l’erosione delle spiagge mediante restauri geoambientali attuati con ripascimenti duraturi; l’accumulo idrico per usi multipli (idropotabili, industriali, agricoli e antincendio); l’alimentazione artificiale delle falde per contrastare il loro sovrasfruttamento; il restauro e il disinquinamento fluviale; i dissesti idrogeologici connessi alle modificazioni delle precipitazioni piovose e al riscaldamento delle aree alpine con conseguente scongelamento del permafrost.
Durante il G8 tenutosi a L’Aquila all’inizio di luglio 2009 si è discusso delle misure economiche, tecnologiche e industriali da concordare per contenere il riscaldamento globale entro i 2 gradi rispetto all’era preindustriale dando per scontato che l’uomo può controllare a suo piacimento il cambiamento climatico naturale. Associazioni politico-ambientaliste e lobbies hanno ancora una volta sostenuto l’adozione di misure antiinquinamento come la riduzione di emissioni gassose in atmosfera. Le nazioni emergenti come Cina, India, Sudafrica, Messico e Brasile hanno manifestato la loro contrarietà all’adozione di misure antiinquinamento che penalizzino la loro economia. Le associazioni politico-ambientaliste e le lobbies attendono nuovi provvedimenti dal prossimo summit ambientale di Copenaghen con la speranza che vengano valorizzate forme di controllo delle emissioni antiinquinamento che servano anche a rilanciare la loro economia. Il cambiamento climatico-ambientale è sempre più fortemente sfruttato e propagandato dai mass media come una possibilità di sviluppo industriale ed economico per i paesi che finora avrebbero provocato il cambiamento climatico; le misure antiinquinamento da adottare, proposte dai grandi inquinatori storici, lederebbero l’economia dei paesi in via di sviluppo che naturalmente non le adotteranno. Il dibattito continua a vertere su questioni economiche che interessano essenzialmente le lobbies che hanno intuito, da tempo, che un grande evento naturale ciclico come il cambiamento climatico può essere sfruttato per fare ulteriori guadagni. I problemi degli adattamenti ambientali alle nuove condizioni climatiche continuano a non essere degnamente trattati dai potenti inquinatori della terra.
Il cambiamento climatico in atto e le previsioni per il prossimo futuro nell’Italia meridionale
I problemi da risolvere nell’area mediterranea
1- Fiumi in crisi idrica durante il periodo non piovoso in seguito alla captazione delle sorgenti e alla progressiva scomparsa dei ghiacciai: le sorgenti, attualmente non captate e che alimentano con la loro acqua i fiumi durante il periodo non piovoso, saranno progressivamente captate impoverendo sensibilmente le portate dei corsi d’acqua. I ghiacciai alpini si stanno vistosamente ritirando; in tal modo quasi tutti i corsi d’acqua che attraversano i territori europei che si affacciano sulla parte centro meridionale del Mediterraneo si troveranno senza una disponibilità idrica degna di essere chiamata portata idrica vitale. L’acqua che defluirà nei corsi d’acqua sarà prevalentemente rappresentata dagli scarichi urbani più o meno trattati.
2- Falde minacciate dall’inquinamento: le falde che caratterizzano le pianure alluvionali dei principali corsi d’acqua durante il periodo non piovoso verranno alimentate da acque prevalentemente inquinate. Il sovrasfruttamento delle falde nelle pianure costiere potrà provocare la salinizzazione delle acque sotterranee in seguito alla facilitata ingressione dell’acqua marina.
3- Assenza di accumuli idrici e aree umide lungo le aree fluviali, collinari e montane: attualmente lungo le aree fluviali, nei fondo valle e nei relativi bacini imbriferi non vi è presenza di una capillare rete di aree umide, di laghetti collinari e montani che accumulino acqua utilizzabile per vari scopi durante il periodo non piovoso. In tal modo anche la fauna e la flora, oltre alle attività antropiche, ne risentiranno seriamente durante il periodo siccitoso in quanto la mancanza d’acqua limita l’ambiente naturale e le attività agricole e zootecniche. La mancanza d’acqua nei bacini imbriferi rappresenta una serio problema anche per le attività antincendio.
4- Dissesto idrogeologico ed idraulico: la mancanza di adeguate regimazioni idrauliche e di idonee sistemazioni idrogeologiche rende l’ambiente di fondo valle e di versante particolarmente vulnerabile alle esondazioni, ai fenomeni erosivi e franosi innescati dal diverso modo con cui precipiteranno le piogge e dalla progressiva diminuzione della copertura vegetale.
Principali Criticità Ambientali del prossimo futuro
In sintesi si possono evidenziare le seguenti principali criticità ambientali:
- Corsi d’acqua con scarso o nullo deflusso idrico estivo;
- Scarsità o mancanza di acqua per attività irrigue e zootecniche;
- Sovrasfruttamento delle acque sotterranee delle pianure alluvionali costiere e loro progressiva salinizzazione;
- Mancanza di bacini di accumulo idrico antincendio e uso plurimo nelle aree collinari, montane e nelle aree boscate;
- Mancanza di Oasi umide persistenti;
- Spiagge in erosione per cause naturali connesse all’insufficiente rifornimento di sedimenti nell’attuale periodo di cambiamento climatico;
Interventi prioritari
In relazione all’attuale assetto idrologico, idraulico ed idrogeologico e in previsione degli impatti connessi all’accentuazione della variazione climatica si individuano le seguenti linee di intervento al fine di attenuare gli impatti negativi della diminuzione delle precipitazioni idriche, tutelare l’ambiente naturale e antropizzato.
Gli interventi sostenibili relativi alla risorsa idrica devono mirare a garantire:
- Corsi d’acqua con deflusso idrico estivo;
- Disponibilità idrica per attività irrigue e zootecniche;
- Bacini di accumulo idrico per uso plurimo anche per uso antincendio;
- Oasi umide persistenti;
- Regimazione e valorizzazione delle aste fluviali.
Una strategica priorità è individuata nella:
Valorizzazione delle microrisorse idriche (per uso idropotabile diffuso, irriguo, antiincendio ecc.);
Riequilibrio fluviale dei corsi d’acqua privati delle acque delle grandi sorgenti captate e trasportate altrove, e dei versanti collinari e montani; sistemazioni idrauliche delle aste fluviali con interventi compatibili con la valorizzazione ambientale e le attività agricolo-zootecniche;
Rivitalizzazione dei fiumi mediante la realizzazione di accumuli idrici e oasi umide per accumulare l’acqua di ruscellamento invernale da reimmettere in alveo nel periodo non piovoso durante il quale nel corso d’acqua scorrono solo acque di scarico.
Restauro ambientale delle aree di fondo valle e delle aree interessate da dissesti mediante adeguati interventi di ingegneria naturalistica compatibili con le previsioni dell’uso produttivo del suolo.
La difesa dell’ambiente è strettamente connessa alle risorse idriche per cui assume una importanza sociale la individuazione e valutazione delle risorse idrogeologiche strategiche mediante la ricostruzione della struttura geologica ed idrogeologica tridimensionale del sottosuolo delle pianure alluvionali e vulcaniche quaternarie e degli acquiferi prequaternari, la ricostruzione della struttura geologica ed idrogeologica tridimensionale degli acquiferi che alimentano sorgenti sottomarine e individuazione degli interventi per la valorizzazione delle risorse idriche disperse in mare. Sempre legato alle risorse idriche superficiali è da considerare un altro impatto della variazione climatica sulla porzione superficiale dei versanti argillosi: l’ispessimento della coltre alterata che provoca la riduzione dello scorrimento dell’acqua e quindi una riduzione delle risorse idriche superficiali accumulabili nei bacini artificiali appenninici. Tale fenomeno, completamente nuovo e già in atto, non è ancora ben noto e valutato per cui non si può, attualmente, prevedere l’impatto che esso avrà circa la riduzione delle risorse accumulabili nel prossimo futuro.
Gli impatti sociali più significativi previsti nel prossimo futuro nella parte centro meridionale dell’area mediterranea saranno rappresentati da:
- Conflitti regionali e interregionali connessi ai trasferimenti attuali di risorse idriche dalle zone interne a quelle costiere e da una regione all’altra;
- Incremento del costo dell’acqua
- Incremento del consumo energetico connesso alla maggiore richiesta di climatizzazione.
L’accentuazione del cambiamento climatico-ambientale naturale, nel prossimo futuro, è inevitabile.
Le relazioni tra l’evoluzione dell’attività solare, del clima e dell’ambiente ed in particolare della parte superficiale della superficie terrestre ci indicano che dovremmo tenere sotto stretta osservazione queste strategiche variabili. Un “Osservatorio della variabilità solare, climatica ed ambientale” può monitorare le modificazioni che avverranno nel prossimo futuro svolgendo attività scientifiche multidisciplinari con contributi internazionali nell’eccezionale Laboratorio Mediterraneo. Contemporaneamente va attivato un progetto di ricerca strategico multidisciplinare per lo studio degli “Archivi naturali integrati del Mediterraneo” al fine di ricostruire una dettagliata storia del clima, dell’ambiente e dell’uomo e dell’adeguamento delle attività agricole in relazione alle modificazioni ambientali.
In collaborazione con SILVANA PAGLIUCA, Ricercatore CNR, ISAFOM, Ercolano.
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