Nell’articolo, l’autore ha dato la parola a tutti i protagonisti: gli imputati, fra i quali l’ex presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica (Ingv), Enzo Boschi, la pubblica accusa, i ricercatori. Nessun dubbio, naturalmente, sul fatto che prevedere un terremoto sia impossibile alla luce delle conoscenze scientifiche attuali. La questione, secondo Nature e gli esperti internazionali ai quali ha dato spazio in un lungo articolo, è piuttosto come debba essere comunicato ai cittadini il rischio di un terremoto, così come quello di altre catastrofi naturali come tsunami, alluvioni e uragani.
Questa vicenda “costringerà i sismologi di tutto il mondo a ripensare il modo in cui descrivono la bassa probabilità di eventi ad alto rischio“, osserva su Nature Thomas Jordan, direttore del Centro terremoti dell’Università della California a Los Angeles e presidente della Commissione Internazionale sulla Previsione dei Terremoti (Icef). Comunicazioni così delicate, ha aggiunto, “devono essere fatte bene, e all’Aquila non è stato fatto”.
Inoltre quella riunione della Commissione Grandi Rischi, si legge nell’articolo di Nature, era avvenuta in modo anomalo: le sessioni avvengono di solito a porte chiuse, ma in quell’occasione ”Boschi era rimasto sorpreso nel vedere decine di governanti locali e altre persone esterne alla comunità scientifica assistere alla riunione, durata circa un’ora, nella quale i sei scienziati si sono trovati ad affrontare un’ondata di timori da parte della popolazione locale”.
Ovviamente le risposte degli esperti dell’Ingv non si sono fatte attendere. A partire dal neo-presidente dell’istituto, Domenico Giardini, che ha spiegato che i ricercatori hanno il dovere di esporre le tante incertezze delle quali è disseminato il loro lavoro, così come tradurre queste informazioni in comunicazioni rivolte ai cittadini è compito delle autorità. Giardini non è voluto entrare nel merito della vicenda del terremoto di L’Aquila, ma ha parlato del problema generale di come esporre alla popolazione del rischio di un terremoto. “E’ un tema di estrema delicatezza“, ha detto il sismologo alla vigilia del suo insediamento alla presidenza dell’Ingv. “In generale il problema della comunicazione del rischio sismico pone due problematiche: da un lato i ricercatori parlano linguaggi diversi; dall’altro è quasi impossibile comunicare il rischio relativo a eventi rari“.
Anche il direttore del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca sociale dell’Università La Sapienza di Roma, Mario Morcellini s’è schierato dalla parte dei tecnici Italiani giudicando “non condivisibile” l’analisi di Nature. “E’ sorprendente – ha detto – che tale articolo venga pubblicato proprio nell’imminenza dell’avvio del processo che coinvolge i componenti della Commissione Grandi Rischi. Adesso è troppo facile dire che in quell’occasione bisognava ‘comunicare bene’, soprattutto perchè, come si riscontra anche nell’articolo, i terremoti non sono scientificamente prevedibili“. In generale, secondo Morcellini, ciò che la rivista scientifica avrebbe dovuto spiegare, “così come insegna la letteratura scientifica in caso di emergenza, è che il primo obiettivo di un operatore pubblico è ridurre l’ansia collettiva e il panico“. Il punto, osserva, è che in occasione del terremoto all’Aquila “si è determinato un problema al livello dei mezzi stessi di comunicazione: c’è stato cioè un ritardo nella tempestività delle notizie, con le radio locali che, nell’era della multimedialità, sono state le prime a comunicare ciò che stava accadendo“. Andrebbe inoltre approfondita l’analisi sul come i messaggi sono stati veicolati: “Nell’emergenza sono infatti due – afferma Morcellini – i mezzi cui ci si affida: la tv ed i rapporti interpersonali. E va sottolineato che la percezione del rischio non è tanto dovuta ad un eventuale messaggio iniziale, quanto al modo in cui sono rielaborati i messaggi veicolati dalla tv. Perciò i messaggi nelle emergenze dovrebbero essere iper-semplificati. Comunque quella pubblicata da Nature appare un’analisi piuttosto gracile di una tematica elaborata; un’analisi un pò sommaria e ‘per tesi’, come se il giudizio finale fosse già fissato in partenza“. Insomma, conclude l’esperto di comunicazione, “un giornalismo che si trasforma nella Corte dei Conti rischia, anche nel caso del giornalismo scientifico, di non essere un buon giornalismo“.
Dalle pagine di Nature il sismologo dell’Ingv, Giulio Selvaggi, fra gli indagati della Commissione Grandi Rischi, rileva che “il ruolo della scienza è fornire le informazioni sul rischio“, ma che “il ruolo dei decisori è prendere atto di queste informazioni, così come di altre, per prendere decisioni per il bene comune“.
Rende bene l’indeterminatezza di ogni tentativo di previsione l’osservazione di un altro sismologo dell’Ingv, Alessandro Amato: quando avverrà un altro terremoto, questo “potrebbe forse essere preceduto da avvisaglie (che comunque non sapremo interpretare), ma più probabilmente non lo sarà“. Perciò, rileva, “il punto principale è la riduzione graduale del rischio, con interventi per ridurre la vulnerabilita’ dei fabbricati“. E per questo motivo bisogna “prepararsi nel tempo, informarsi su cosa dobbiamo aspettarci nella zona in cui viviamo, sapere cosa fare, intervenire sulle nostre abitazioni e luoghi di scuola e lavoro. Pensare che qualcuno ci darà l’allerta poco prima potrebbe distogliere l’attenzione dalla prevenzione sarebbe un errore“.
L’inchiesta della procura della repubblica de L’Aquila sui crolli porta, il 25 maggio 2011, al rinvio a giudizio per sette componenti della Commissione Grandi Rischi. Secondo la tesi dell’accusa, i componenti della Commissione hanno dato una valutazione approssimativa allo sciame in atto da mesi nell’Aquilano e hanno fornito, in particolare subito dopo la riunione, cinque giorni prima del sisma, informazioni sommarie e comunque devianti perchè hanno rassicurato la popolazione che invece, messa al corrente dei rischi, avrebbe potuto attuare precauzioni e comportamenti diversi.
La prima udienza è fissata per il 20 settembre.
Dopotutto, come abbiamo già scritto in quest’articolo del 31 maggio, più che concentrarsi sulle mancate previsioni sismiche, i giudici avrebbero potuto pensare di approfondire il filone edilizio, in quanto le costruzioni sismiche possono sopportare senza alcun problema terremoti anche molto più forti di quello di L’Aquila e, quindi, se si fosse costruito in modo corretto, tutti sarebbero stati tranquilli anche in caso di sisma e non si sarebbe proprio posto il problema della sua eventuale previsione scientifica.
Lo sciame sismico di questi giorni nel Parmense, o quello di poche settimane fa nel Montefeltro, possono essere considerati similia quello dell’Abruzzo tra 2008 e 2009, ma sappiamo bene che eventi così ce ne sono molto spesso in Italia (basti pensare ai Nebrodi, tra giugno e luglio!) ma solo raramente scaturiscono poi in scosse più violente.