A poco più da una settimana dalla caduta in atmosfera del satellite UARS della NASA, il pensiero volge verso un altro satellite che nel mese di Novembre cadrà sulla superficie terrestre, tornando a spaventare la popolazione mondiale. Il satellite in questione è il telescopio spaziale Röntgensatellit (Abbreviazione ROSAT), un oggetto tedesco mandato in orbita il 1° Giugno del 1990 da Cape Canaveral e che ha scandagliato l’universo nelle bande spettrali dei raggi X e dell’ultravioletto per molti anni. Il satellite, il quale nome deriva da Wilhelm Röntgen, lo scopritore dei raggi X, ha un peso complessivo di 2,4 tonnellate ed è rivestito di materiale refrattario, principalmente di vetro e ceramica. Dopo il suo funzionamento il satellite negli anni successivi ha variato la sua orbita dai 580 Km iniziali ai 270 Km, per effetto della resistenza atmosferica. Come per UARS, si attende il rientro in atmosfera, questa volta previsto per i primi giorni di Novembre e la domanda che ci si pone è naturalmente sempre la stessa: “dove cadrà?”. Dopo l’esperienza di UARS abbiamo capito che sino alle ultime ore prima dell’impatto sapremo con molta superficialità l’esatta direzione. Non è facile capire esattamente dove un oggetto impazzito possa andare a cadere. Sulla Terra è presente una rete di sorveglianza spaziale composta da radar e sensori ottici presenti in 25 siti sparsi in tutto il mondo e che servono a raccogliere quanti più dati possibili sul luogo d’impatto dei satelliti in rientro dallo spazio. A volte però succede che la sonda non passi sopra nessuno di questi luoghi divenendo praticamente invisibile. Un pò come è accaduto al satellite della Nasa, del quale ancora oggi non si conosce l’esatta area di caduta. L’ente spaziale ha recentemente annunciato che l’oggetto è caduto in una remota area del Sud dell’Oceano Pacifico, nei pressi delle isole Samoa, i cui resti si sono sparsi su una superficie compresa tra 480-1300 Km rispetto al punto di entrata nell’atmosfera. La NASA ha spiegato inoltre che uno dei modi per rintracciare un satellite che non è più in orbita è scandagliare il cielo con questi sensori, e se non lo si trova da nessuna parte, vuol dire che il satellite è rientrato. Dai primi dati però si può ipotizzare che la zona ad alto rischio si trova tra i 53° di latitudine nord e 53° sud, area che comprende ancora una volta l’Italia, e che le probabilità che possa causare danni sono superiori a quelle del precedente satellite, attestabili ad 1 su 2000. Inizialmente, viste le dimensioni minori, si pensava che l’oggetto potesse disintegrarsi completamente nell’attrito a cui andrà incontro in fase di caduta, ma la sua grande struttura a specchio potrebbe rallentare la sua corsa e permettere ad aluni pezzi pesanti anche 400 Kg di raggiungere il suolo. Il telescopio tra l’altro, è stato al centro dell’attenzione già durante la sua orbita, in quanto il suo spegnimento è stato attribuito ad un cyber-attacco russo condotto contro i computer del Goddard Space Center degli Stati Uniti. I satelliti che hanno esaurito il loro compito o che sfuggono al controllo per via di guasti, collisioni o errore di calcoli, permangono in orbite planetarie e finiscono per ricadere sulla Terra. Sono decine di milioni ormai i detriti artificiali che orbitano intorno alla Terra. Oltre 22.000 sono più grandi di 10 cm, e sono quelli costantemente monitorati dalla rete di sorveglianza spaziale degli Stati Uniti. Il numero degli oggetti compresi tra 1 e 10 cm di diametro è di circa 500.000. Solo 1.000 tra questi sono attualmente operativi, mentre il resto vengono comunemente denominati detriti orbitali. Per detriti orbitali si intende qualsiasi oggetto artificiale in orbita intorno alla Terra senza uno scopo, ormai non più funzionanti. In orbita galleggiano ormai frammenti di vecchi razzi, satelliti spenti e, soprattutto, nuvole di particelle causate dalla distruzione di satelliti. La maggior parte dei detriti orbitali risiede a meno di 2.000 km della superficie terrestre. All’interno di questo volume la quantità di detriti varia significativamente con l’altitudine. La più grande concentrazione di detriti si trova ad una quota compresa tra 800 e 850 km. La velocità con cui questi detriti si muovono, varia anch’essa in relazione alla quota: nella porzione di spazio compresa entro i 2000 Km, la velocità varia tra i 7 e gli 8 Km/s, tuttavia, la velocità di impatto medio tra un detrito ed un altro oggetto spaziale sarà di circa 10 Km/s. Di conseguenza, anche un piccolo impatto non è da sottovalutare. Maggiore è la quota, più a lungo i detriti orbitali in genere rimangono in orbita attorno alla Terra. Detriti rimasti in orbita al di sotto di 600 km normalmente ricadono sulla Terra in parecchi anni; ad altitudini di 800 km, il tempo di decadimento orbitale è spesso misurato in decenni; sopra i 1.000 km, i detriti orbitali normalmente continueranno il loro “giro” per un secolo o oltre. Gran parte di questi detriti non sopravvive alle altissime temperature che si sviluppano per attrito nella nostra atmosfera al momento del rientro. I componenti che ci riescono hanno molta più probabilità di cadere negli oceani o su regioni scarsamente popolate come la tundra canadese, l’entroterra australiano o in Siberia. Nel corso degli ultimi 50 anni i frammenti cadono sulla Terra ogni singolo giorno, eppure non sono mai stati confermati danni a persone o cose. L’azione più importante al giorno d’oggi, sarebbe quella di evitare che questi detriti possano incrementarsi. Questo può essere ottenuto attraverso un’oculata gestione. Ripulire l’ambiente rimane una sfida tecnica ed economica che è attualmente in fase di studio da parte degli Stati Uniti e non soltanto. Dal 1988 la politica ufficiale degli Stati Uniti è stata quello di minimizzare la creazione di nuovi detriti orbitali. Nel 2001 gli Stati Uniti hanno adottato una serie di misure per gli enti e reparti. La politica più recente del National Space (28 giugno 2010) contiene una sezione intitolata “preservare l’ambiente spaziale“ e affronta la mitigazione dei detriti orbitali sia per il breve che per il lungo termine. Russia, Cina, Giappone, Francia, e l’Agenzia spaziale europea hanno pubblicato le linee guida di mitigazione dei detriti orbitali. Inoltre, nel 2007 le Nazioni Unite, attraverso il proprio comitato sull’uso pacifico dello spazio esterno, hanno creato anch’esse una serie di linee guida di mitigazione. Il nostro augurio è che ancora una volta la buona sorte possa evitare che quest’ennesimo rottame spaziale faccia del male a qualcuno.