L’evento del 25 ottobre 2011 che ha devastato le Cinque Terre e parte dei bacini medio alti e i fondo valle del Vara-Magra tra la Liguria meridionale e la Lunigiana in Toscana (figure 1 e 2) rappresenta una drammatica sperimentazione della natura, causata dal transito di cumulo nembi, che deve essere utilizzata per coglierne tutti i più significativi aspetti che riguardano le caratteristiche meteorologiche, quelle idrologiche e geoambientali, al fine di individuare linee di difesa, più efficaci di quelle attuali, dell’ambiente naturale, antropizzato e urbanizzato e soprattutto dell’incolumità dei cittadini.
E’ evidente che l’attuale organizzazione pubblica che sovrintende a questi fini lascia ancora a desiderare per vari problemi, specialmente per quanto riguarda la difesa dei cittadini dalle piogge eccezionali rilasciate in tempo ristretto dai cumulo nembi.
Dopo un evento catastrofico ci si deve porre la seguente domanda: “che lezioni abbiamo imparato per stare un poco più sicuri in futuro?”.
Le soluzioni valide per la sicurezza di tutti possono provenire da varie parti e da diverse persone dedite alla ricerca scientifica, funzionari pubblici o privati cittadini.
Non è detto che le soluzioni più valide possano essere fornite solo da impiegati delle istituzioni pubbliche (locali e centrali) che devono proteggere ambiente e cittadini.
Gli amministratori e i funzionari pubblici degli enti locali e nazionali preposti istituzionalmente alla difesa del territorio e dei cittadini hanno il “potere di individuare” le azioni da attuare, quindi la responsabilità delle catastrofi è in parte loro come pure sarà loro la responsabilità degli interventi che per l’ennesima volta dovrebbero garantire una maggiore sicurezza ambientale nel prossimo futuro.
Il primo appunto va fatto all’attuale organizzazione della Protezione Civile che dovrebbe vigilare, dall’inizio alla fine, anche sugli eventi che stanno per scatenarsi come quelli idrogeologici.
Dopo le tante esperienze catastrofiche delle ultime decine di anni ci si aspettava che un evento come quello del 25 ottobre scorso avrebbe dovuto essere seguito dalle ore precedenti fino al suo acme fornendo adeguati avvertimenti ed allarmi con un preavviso variabile dalle ore alle decine di minuti quando i fenomeni piovosi hanno rivelato la loro potenza sui territori colpiti.
Ancora oggi, invece, abbiamo sperimentato che i territori devastati sono stati colti quasi di sorpresa e soprattutto , come evidenziano vari filmati, sono proprio i cittadini che non sono stati raggiunti dagli allarmi.
Sembra, poi, che gli allarmi locali siano stati deficitari e non coordinati nell’ambito dello stesso bacino idrografico e nei territori regionali differenti sia pur confinanti
Sulla base delle esperienze maturate con le ricerche geoambientali eseguite nelle aree devastate dagli eventi idrogeologici catastrofici degli ultimi 20 anni causati dal transito di cumulo nembi e soprattutto degli eventi dell’ottobre 2009 che hanno devastato il messinese, di Casamicciola del novembre 2009, di Mili San Pietro del marzo 2011, di Atrani del settembre 2010 e di San Gregorio Magno dell’ottobre 2011 abbiamo sollecitato le Istituzioni a migliorare i sistemi di protezione civile locali sostenendo che attualmente il territorio è indifeso dai micidiali meteo-serial-killer chiamati cumulo nembi che in poco tempo (alcune ore) possono rilasciare piogge torrenziali in grado di causare crisi idrogeologiche in qualsiasi territorio.
Questa tragica occasione ha fornito altri importanti elementi indispensabili per la messa a punto di semplici ed efficaci piani di protezione civile locale.
Dal fenomeno piovoso al disastro del 25 ottobre
I dati disponibili evidenziano che le previsioni meteo diffuse molte ore prima avevano previsto che stava per sopraggiungere una importante perturbazione e hanno fornito indicazioni circa l’individuazione della fascia che sarebbe stata interessata compresa tra la Liguria meridionale e la Toscana settentrionale.
Come previsto, la mattina del giorno 25 ottobre tra le ore 9,00 e le 10,00 è iniziata una pioggia eccezionale lungo una fascia perpendicolare alla costa, larga circa 10 km, comprendente parte delle Cinque Terre e delle medio alte valli del Fiume Vara e del Fiume Magra.
Le precipitazioni eccezionali sono state quelle tipicamente connesse al transito di cumulo nembi e sono perdurate con la massima intensità per circa 6 ore inondando la superficie del suolo lungo una fascia, ampia mediamente circa 10 km, con un volume d’acqua stimato di circa 200 milioni di metri cubi; lateralmente a tale fascia le piogge sono state progressivamente inferiori.
La quantità d’acqua precipitata con picchi superiori a 100 mm/ora ha causato un vero e proprio disastro idrogeologico nella fascia attraversata dai cumulo nembi.
Le precipitazioni cadute sui versanti ripidi costituiti da un substrato con una copertura di terreni alterati non ancorati (come quelli che caratterizzano le Cinque Terre) hanno dato luogo a ruscellamento con conseguente fenomeni erosivi accentuati e diffusi e hanno innescato colate detritiche che molto velocemente si sono accumulate negli alvei o sono defluite verso valle ingrossandosi con i detriti presenti in alveo e con i detriti di frane precedenti.
I flussi idrici e fangosi nella zona di Vernazza hanno iniziato ad interessare l’abitato tra le 14,00 e le 14,30 (dopo circa 5 ore che erano iniziate le piogge eccezionali) aggravandosi rapidamente con portate massime di centinaia di mc/sec trasformandosi in veloci flussi detritici.
Questi potenti flussi hanno trascinato decine di autoveicoli trasportandoli verso valle o negli alvei coperti (come accaduto a Vernazza). Raggiunta la parte terminale dell’alveo, al diminuire dell’inclinazione, i flussi detritici hanno depositato gran parte dei sedimenti e tronchi d’albero trasportati causando l’intasamento degli alvei e le varie opere idrauliche con conseguente aggradazione istantanea dell’alveo stesso. I flussi detritici e fangoso-detritici successivi, pertanto, hanno dovuto scorrere lungo le strade realizzate al di sopra degli alvei coperti (alvei strada).
Le colate detritiche si sono incanalate raggiungendo velocemente i centri abitati ubicati nei fondo valle dei bacini che drenano i versanti delle Cinque Terre e di quelli che affluiscono nelle valli del Vara e del Magra provocando diffuse distruzioni di manufatti e la perdita della vita di almeno 9 persone (fino al 2 novembre 2011). La portata massima dei flussi detritici comprendenti molti tronchi di alberi d’alto fusto e massi rocciosi è stata eccezionale raggiungendo valori di diverse centinaia di mc/sec per cui hanno messo fuori uso le opere idrauliche preesistenti incapaci di smaltire flussi tanto potenti.
Conseguentemente hanno invaso le aree urbane seminando distruzione e, purtroppo, vittime. In base alle informazioni disponibili finora, sembra che la maggior parte delle aree abitate devastate dalle colate detritiche sia stata colta impreparata.
Questo dato è sorprendente poiché prima del sopraggiungere delle veloci colate detritiche vi sono state molte decine di minuti e ore caratterizzate da pioggia eccezionale.
Sembra quasi che l’evento, a livello locale, non sia stato percepito come un fatto eccezionale tale da causare distruzioni.
Nell’area devastata tra Liguria e Toscana vi erano molti pluviometri funzionanti che stavano registrando l’evento piovoso eccezionale: sembra che tra gli addetti alla protezione civile nessuno sia stato in grado di comprendere l’eccezionalità del fenomeno e che non vi fosse un piano di protezione civile già sperimentato in precedenza in grado di lanciare l’allarme a tutta la fascia di territorio interessata dal fenomeno idrologico, ben individuata dai pluviometri già dopo qualche decina di minuti.
Desta sorpresa anche il fatto che non sia stata allarmata la zona lungo i fondo valle del Vara e del Magra che inevitabilmente sarebbe stata interessata dall’afflusso tumultuoso e abbastanza veloce dell’enorme quantità d’acqua che stata precipitando nelle zone medio alte dei bacini imbriferi interessate dal percorso dei cumulo nembi.
La stazione idrometrica di Fornola, ubicata poco a valle dell’immissione del F. Vara nel F. Magra, ha registrato l’andamento delle portate; il massimo livello idrometrico del Magra (+7m, mai raggiunto finora) è stato misurato circa 2 ore e mezza dopo il culmine dell’evento piovoso nel bacino del Vara (figura 3.)
Tra la fascia più piovosa del Vara e Fornola vi sono circa 20 Km; ve ne sono circa 30 km tra la stazione idrometrica e la fascia della valle del Magra nella quale si trova Pontremoli caratterizzata da oltre 300 mm di precipitazioni nelle 6 ore durante le quali l’evento ha raggiunto la massima intensità.
Sembra che molte zone a valle della fascia più interessata dalle piogge eccezionali siano state raggiunte dall’onda di piena, nei fondo valle del Vara e del Magra, dopo molte decine di minuti e dopo qualche ora cogliendo impreparate istituzioni e popolazione.
Impatti ambientali dell’evento idrogeologico
In questa nota si focalizzano le problematiche geoambientali e le linee d’intervento per il miglioramento della difesa dell’ambiente naturale e antropizzato delle aree costiere delle Cinque Terre che hanno caratteristiche morfologiche e urbanistiche simili a quelle della penisola amalfitana e del messinese ionico.
Si tratta di territori costieri soggetti all’attraversamento da parte dei cumuli nembi come accaduto il 1 ottobre 2009 nel messinese e il 9 settembre 2010 ad Atrani.
Come è noto, in molte aree abitate ubicate in strette valli che si immettono direttamente sulla costa, nello scorso secolo sono state realizzate trasformazioni dell’asta torrentizia che attraversa l’insediamento urbano per favorire la mobilità locale e l’economia turistica. Molti alvei sono stati coperti ricavando una importante strada al di sopra che spesso rappresenta l’unica vera via urbana (figura 4).
Molte di queste zone costiere come quelle liguri, quelle della Toscana settentrionale, della Campania, della Calabria ionica e tirrenica e del messinese ionico sono periodicamente interessate dal transito di cumulo nembi prevalentemente nei periodi in cui cambiano le stagioni dal caldo al freddo (settembre-dicembre) e dal freddo al caldo (marzo-giugno). Come è noto i cumulo nembi possono causare precipitazioni piovose eccezionali in poche ore rilasciando fino a 150 mm in un’ora che possono causare dissesti idrogeologici in grado di trasformarsi in vere e proprie catastrofi qualora l’evento interessi aree urbane.
Come accaduto nei territori sopra citati.
Lungo i ripidi versanti montani e collinari compresi tra le Cinque Terre e la Lunigiana le piogge hanno causato (figura 5): – numerosi dissesti prevalentemente superficiali che hanno coinvolto il suolo, la copertura vegetale e la porzione alterata del substrato; – dissesti lungo i versanti terrazzati per scopi agricoli; – fenomeni erosivi accentuati e diffusi lungo i versanti con conseguente incanalamento dei flussi fangoso-detritici lungo i sentieri e le mulattiere; – erosione lungo l’alveo prevalentemente ad opera dei veloci flussi detritici (alimentati da numerose frane innescatesi lungo i ripidi versanti) che si sono incanalati inglobando detriti ed alberi d’alto fusto; – erosione accelerata e diffusa specialmente nelle parti di versante denudate dalle frane.
L’acqua alimentata dai cumuli nembi a partire dalle ore 9,00 circa ha imbibito il suolo e la copertura alterata fino ad innescare un diffuso ruscellamento superficiale, prima, e a causare l’innesco di diverse frane poi. Il ruscellamento superficiale, come accade di solito, a causa dell’accentuata inclinazione dei versanti e della presenza di terreni erodibili, si è trasformato dopo poche decine di metri, in un flusso detritico diffuso defluente lungo le pendici fino ad incanalarsi nell’alveo di fondo valle. Gli apporti detritici derivanti dai diffusi franamenti del suolo e della copertura alterata ha continuamente alimentato l’alveo lungo il quale si sono innescati ripetuti flussi fangoso-detritici che si sono riversati nelle aree abitate dopo alcune ore che erano iniziate le precipitazioni eccezionali. Ad esempio, nella parte alta dell’abitato di Vernazza i flussi sono stati prima fangosi e poi detritici. Questi ultimi hanno depositato ingenti volumi di detriti lungo l’alveo e la strada principale. Essi hanno iniziato ad invadere l’alveo strada e le strade nella parte alta dell’abitato tra le 14,00 e le 14,30 come evidenziato da un video amatoriale.
Un problema generale che riguarda i centri abitati ubicati in una stretta valle attraversata da un alveo strada, che è diventata la via principale, è costituito dagli autoveicoli parcheggiati a monte dei centri urbani. Sistematicamente gli autoveicoli vengono trascinati dai flussi detritici verso l’abitato e in parte deposti sulla spiaggia. A Vernazza, qualche video amatoriale evidenzia che numerosi mezzi meccanici (anche un pulmino e camioncini) trascinati dal flusso idrico che in parte aveva invaso le strade sono stati inghiottiti dall’alveo coperto intorno alle ore 14,00; si presume che abbiano contribuito all’intasamento dell’alveo coperto e alla conseguente esondazione lungo la sovrastante strada.
I flussi idrici, fangosi e detritici incanalatisi lungo le strade con portate notevoli (valutate tra 120 e 240 mc/sec a Monterosso) e altezza che ha raggiunto i 2-3 metri al di sopra del piano stradale ha seminato distruzione e danni ai locali ubicati al piano terra invadendoli e accumulando detriti e fango procurando ingenti danni alle attività economiche e alle proprietà pubbliche e private (negozi, uffici postali, banche, chiese ecc.). Purtroppo alcune persone sono decedute, trascinate dai flussi impetuosi.
Sintetizzando gli effetti, l’evento, oltre alle vittime, ha causato: – danni lungo i versanti boscati e terrazzati per scopi agricoli; – danni alle strade a monte dell’abitato; – danni alle opere idrauliche a monte dell’abitato; – danni all’alveo coperto; – danni alle abitazioni e alle attività commerciali situate lungo le strade percorse dai flussi fangosi e detritici; – distruzione e danneggiamento di numerosi autoveicoli e imbarcazioni; – modificazioni morfologiche delle spiagge.
Lezioni imparate: come migliorare la difesa ambientale mediante l’allarme idrogeologico immediato
L’attuale organizzazione di protezione civile non funziona in relazione agli eventi idrogeologici catastrofici causati dai cumulo nembi in quanto non garantisce la sicurezza dei cittadini. Si ricorda che la perturbazione è stata individuata ed è stata delineata, in precedenza, la fascia di territorio che sarebbe stata interessata. L’allarme meteo sembra che sia servito a mettere al sicuro amministrativamente le Istituzioni superiori che lo hanno diramato, nel senso che con l’allarme è finito il loro compito.
Sembra che i livelli locali (comuni, province, regioni) abbiano accolto l’allarme come uno dei tanti e lo abbiano sottovalutato. Forse non erano organizzati per prevedere cosa sarebbe potuto accadere nei piccoli bacini con ripidi versanti (tipo quelli delle Cinque Terre) e lungo le aste fluviali principali e forse non erano stati messi a punto adeguati piani di protezione civile intercomunali e di bacino.
Le competenze sono distribuite tra diverse istituzioni che, probabilmente, non dialogano sinergicamente tra di loro. E’ evidente che occorre un coordinamento stretto tra i soggetti istituzionali preposti alla difesa del territorio e dei cittadini e una sala di regia dove confluiscano i dati meteo ed ambientali in tempo reale in grado di attivare un sistema di allarme preventivo che deve scattare quando è stata individuata la perturbazione e l’area che sarà interessata.
Occorre poi una nuova organizzazione in grado di fare scattare un sistema di allarme idrogeologico immediato che deve essere attivato nelle aree urbane e nel territorio interessato da infrastrutture di importanza strategica dopo pochi minuti che i vari pluviometri distribuiti sul territorio hanno iniziato a registrare una pioggia eccezionale tipica dei cumulo nembi.
Dopo il disastro del messinese evidenziammo che con l’attuale sistema di monitoraggio delle precipitazioni non si è in grado di capire in tempo reale se un cumulo nembo stia investendo una parte della superficie del suolo. Solo dopo il disastro lo sapremo; troppo tardi. Proprio come è accaduto ad Atrani il 9 settembre scorso. L’intensità della pioggia del cumulo nembo è nettamente superiore a quella delle piogge “normali”; pluviometri e moderni sensori meteo ubicati sul territorio con una maglia stretta e collegati in rete sono in grado di individuare e delimitare in tempo reale l’area investita dai cumulo nembi dallo scrivente denominati meto-serial-killer (figura 6).
I centri urbani ubicati nelle valli devono avere un piano di protezione civile che consenta l’evacuazione degli alvei strada e la messa in sicurezza dei cittadini in alcune decine di minuti (es. Monterosso, Vernazza) (figure 7, 8, 9 e 10).
Dopo qualche decina di minuti di pioggia eccezionale può essere individuata e delimitata l’area interessata da un evento piovoso causato dal transito di cumulo nembi per cui è agevole prevedere dove si incanalerà l’acqua precipitata al suolo in relazione alla morfologia del territorio e dopo quanto tempo l’onda di piena arriverà ad interessare le aree ubicate progressivamente più a valle facendo scattare idonei allarmi nelle aree abitate e nelle zone interessate da infrastrutture e insediamenti produttivi.
In base alle caratteristiche morfologiche e geologiche devono essere costruiti preventivamente scenari di “effetti al suolo” nelle aree dove si possono innescare colate detritiche con il coinvolgimento di alberi d’alto fusto e blocchi lapidei (es. dove i versanti sono inclinati più di 30°) e dove invece vi sarà scorrimento di acqua superficiale e trasporto di sedimenti fini (versanti prevalentemente argillosi inclinati meno di 20° circa).
Un ruolo fondamentale per garantire una adeguata difesa dei cittadini è riservato al sistema di allarme idrogeologico immediato che deve rappresentare una novità assoluta nei sistemi di protezione civile in aree che possono essere interessate da eventi piovosi eccezionali rilasciati dai cumulo nembi.
Dopo pochi minuti che i pluviometri hanno registrato che il bacino è interessato da piogge molto intense (rilasciate inequivocabilmente dai cumulo nembi) deve scattare l’allarme lungo l’alveo strada e le vie laterali che possono essere invase dai flussi idrici, fangosi e detritici che possono sopraggiungere dopo un periodo variabile da circa 15 a circa 30 minuti qualora nei bacini vi siano parti di versanti che sono state devastate dagli incendi oppure dopo diverse decine di minuti come accaduto a Vernazza (circa 5 ore).
Il piano di protezione civile deve individuare esattamente le aree che possono essere invase dall’acqua, fango e detriti e l’altezza massima inondabile. Quando scatta l’allarme i cittadini si devono portare almeno al primo piano o nelle parti dell’abitato più alte di almeno 5m rispetto alla strada ubicata sull’alveo. Le aperture (porte, finestre) devono essere chiuse con apparati stagni allo scattare dell’allarme.
Lungo il bacino a monte dell’abitato e all’imbocco dell’alveo strada devono essere sistemati congegni per una videosorveglianza e per il controllo meccanico del deflusso in alveo in modo che può essere individuato il sopraggiungere di onde di piena.
Messa in sicurezza dei cittadini e mitigazione dei danni dei centri abitati interessati da alvei strada come Monterosso e Vernazza.
Qualora le caratteristiche morfologiche, geologiche e di urbanizzazione e finanziarie siano favorevoli si può progettare anche un canale adeguato per lo smaltimento delle piene in mare, magari in galleria. Spesso, però tali condizioni fisiche e finanziare non esistono per cui la nostra proposta consiste in interventi tesi essenzialmente a garantire la sicurezza dei cittadini e a mitigare i danni all’ambiente e nei centri abitati.
I bacini stretti e lunghi di dimensioni simili a quelle a monte di Monterosso e Vernazza (Atrani e altri comuni della costiera amalfitana, Messina), che incombono su aree abitate attraversate da alvei-strada, quando sono interessati da eventi piovosi simili a quelli del 25 ottobre 2011, possono alimentare dapprima flussi idrici e fangosi e poi detritici tali da trasportare nell’area urbana, complessivamente alla fine dell’evento, fino a 50.000 mc circa.
La portata massima che caratterizza questi flussi eccezionali, di solito, non viene smaltita gli alvei coperti in sicurezza in quanto gli alvei vengono sistematicamente intasati da autoveicoli, tronchi di alberi d’alto fusto e detriti anche di grandi dimensioni. Esempi recenti sono rappresentati dagli eventi catastrofici già citati del messinese, Atrani, Casamicciola.
Una prima mitigazione dell’impatto al suolo degli eventi piovosi eccezionali può essere rappresentata dalla realizzazione di interventi attivi quali le sistemazioni ambientali delle parti sensibili dei versanti come i terrazzamenti agricoli, i sentieri, gli alvei, le zone devastate dagli incendi come si è già iniziato a realizzare nel messinese da parte dell’Azienda Foreste Demaniali sotto la direzione dell’architetto Giuseppe Aveni con il quale abbiamo svolto rilievi e ricerche dopo i catastrofici eventi del 1 ottobre 2009 che devastarono Scaletta Zanclea, Giampilieri e diversi altri nuclei abitati della costa a sud di Messina.
Un problema di strategica importanza è costituito dalla necessità di trattenere l’enorme volume di detriti che viene trasportato verso valle lungo gli alvei causando, spesso, il totale intasamento degli alvei stessi e delle strade nell’area abitata. Lungo le aste torrentizie, a monte dell’abitato, possono essere realizzate adeguate briglie selettive, naturalmente con piste di accesso per la necessaria e periodica rimozione dei detriti, capaci di trattenere ciascuna alcune migliaia di mc di detriti e tronchi d’albero. Ad esempio dieci-quindici briglie che contengano da 3000 a 5000 mc ciascuna. In tal modo defluirà acqua fangosa con sedimenti fini che possono essere evacuati dagli alvei coperti o lungo le sovrastanti strade. Non bisogna ispirarsi alle dieci briglie realizzate lungo il bacino del torrente Dragone ad Atrani dopo l’evento del 9 settembre 2010 che si sono rivelate insufficienti e mal dimensionate anche per un evento piovoso “normale” verificatosi il 20 ottobre 2011 (per di piu’ non sono state realizzate le piste per procedere alla periodica rimozione dei detriti di diverse briglie): due briglie selettive sono state messe fuori uso mentre due briglie a pettine hanno trattenuto alcune centinaia di mc di detriti e alberi (figura 11).
Altro problema da risolvere è evitare che gli autoveicoli parcheggiati, di solito, a monte dell’alveo strada vengano trascinati dai flussi e trasportati fino all’imbocco degli alvei coperti e lungo la sovrastante strada causando seri problemi per l’incolumità dei cittadini e danni ai manufatti e agli esercizi commerciali dell’area urbana. I parcheggi devono essere vietati lungo le strade in prossimità degli alvei e ubicati in posizione sicura rispetto alle inevitabili esondazioni dei flussi.
Altro problema ricorrente da risolvere è costituito dai danni ingenti causati dai flussi idrici, fangosi e detritici che attraversano le strade urbane. Ad esempio i flussi che hanno attraversato Monterosso e Vernazza hanno devastato gli immobili penetrando nei locali a piano terra come pure è accaduto ad Atrani (in Penisola Amalfitana) e mili San Pietro e Mili San Marco (Messina) e a Casamicciola nell’Isola d’Ischia). Per evitare questo effetto, che sistematicamente si verifica, si possono dotare di chiusure stagne, accettabili dal punto di vista estetico, tutte le aperture delle costruzioni a piano terra, in grado di resistere anche all’urto di autovetture trasportate dai flussi, in modo che la strada al di sopra dell’alveo coperto di trasformi in un canale impermeabilizzato e tale da lasciare defluire i flussi.
Il costo delle chiusure stagne potrebbe anche essere in parte sostenuto con un intervento finanziario pubblico.
Un altro problema, ancora, da risolvere è rappresentato dai gravi danni che talvolta i flussi detritici causano ai primi manufatti ubicati nella parte alta degli abitati dove l’alveo si immette nell’area abitata, sono quelli più esposti all’impatto di blocchi rocciosi e di tronchi d’albero che possono sfondare le pareti esterne e provocare una escavazione alla base delle fondazioni. E’ opportuno rinforzare le pareti, le fondazioni e le aperture (chiuse da strutture stagne) in modo da reggere all’urto dei corpi trasportati dai flussi.
Le attività sopra proposte sarebbero realizzabili immediatamente a costi contenuti.
Lo smantellamento della copertura degli alvei non risolverebbe i problemi dei danni ai manufatti e alle attività economiche dal momento che gli eventi idrogeologici causati dal transito dei cumulo nembi raggiungono potenze eccezionali.
L’unica soluzione sarebbe l’abbattimento di alcune file di costruzioni confinanti con l’alveo in modo da ripristinare una adeguata sezione torrentizia in grado di smaltire in sicurezza le portate di acqua, fango, detriti e tronchi d’albero che sistematicamente si innescano nelle aree soggette al transito dei cumulo nembi (figura 12).
Le immagini seguenti illustrano la pericolosità, per i cittadini e i danni arrecati ai manufatti e alle attività pubbliche e private, dei potenti flussi idrici, fangosi e detritici che hanno devastato gli alvei strada di Monterosso e Vernazza. Questi effetti sarebbero mitigabili e/o annullabili attuando il piano di protezione civile locale basato sull’Allarme Idrogeologico Immediato e sugli interventi prima descritti, come ad esempio, l’isolamento dei locali al piano terra con porte a chiusura stagna.