Clima: domani inizia il vertice di Durban, in gioco il futuro del pianeta

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Il Sudafrica fara’ di tutto per evitare che Durban sia la tomba del Protocollo di Kyoto. L’impegno, enunciato in una conferenza stampa gia’ a agosto dalle ministre dell’Ambiente Edna Molewa e degli Esteri Maite Nkoana-Mashabane, in realta’ sembrava tradire i timori del governo sudafricano, che ospita da lunedi’ prossimo la 17/ma sessione della Conferenza dell’Onu sui cambiamenti climatici. Forse Durban non sara’ la tomba dell’accordo internazionale per la riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra, ma appare sempre piu’ probabile che ne sara’ la camera di ibernazione. Il Sudafrica e’ in una posizione delicata: come Paese ospitante vorrebbe ripetere l’exploit di immagine, organizzativo e logistico dell’anno scorso con i Mondiali di Calcio, e il presidente Jacob Zuma teme che un insuccesso verrebbe visto come un suo fallimento diplomatico. Pretoria, portavoce delle preoccupazioni del Continente africano – la regione del mondo con meno emissioni di gas serra ma che subira’ maggiormente le conseguenze dei cambiamenti climatici, ha ricordato oggi Molewa – spinge per misure contro il riscaldamento globale piu’ decise di quanto facciano i suoi partner nel gruppo ‘Basic’ (Brasile, Sudafrica, India, Cina). Il Sudafrica, unica economia industriale avanzata del continente, si aspetta di essere messo sotto esame al Cop17 per il suo uso esteso del carbone come prima fonte energetica (assicura oltre il 90% della produzione di elettricita’). Nonostante le sue emissioni di gas serra rappresentino solo l’1% del totale mondiale (e il 38% di quelle del continente), la percentuale pro capite si avvicina a quelle delle nazioni piu’ industrializzate. Inoltre sta costruendo due nuove centrali a carbone fra le piu’ grandi del mondo, per quanto tecnologicamente e ecologicamente avanzate. Il Sudafrica vuole anche che a Durban si dia seguito all’impegno preso a Copenaghen per la creazione entro il 2020 di un Fondo Verde per il Clima di 100 miliardi di dollari (circa 73 miliardi di euro) all’anno per aiutare i Paesi piu’ poveri a far fronte ai costi della riduzione delle emissioni di gas serra. Che invece per ora e’ rimasto nel limbo delle buone intenzioni.

Per il post-2012 di Kyoto, l’unico trattato internazionale legalmente vincolante sulla riduzione delle emissioni (da cui sono esclusi i maggiori emettitori a livello mondiale, Cina e Usa), si pensa a due strade: la prima e’ semplicemente un secondo periodo (cosi’ come previsto); la seconda invece farebbe scivolare la formula all’interno di un regime transitorio che, per esempio, si ipotizza possa arrivare fino al 2020. Per poi giocarsi tutto in vista di un accordo globale al 2020 (i cui step relativi ai tagli di CO2 potrebbero essere del 50% al 2030 e dell’80% al 2050). Su questo terreno, la commissaria europea al clima Connie Hedegaard pensa a ”una road map”, auspicando magari l’ingresso di Stati Uniti e Cina. Anche per il nuovo ministro dell’Ambiente Corrado Clini, un veterano dei tavoli internazionali dedicati a questo tipo di discussioni, che di fatto allinea l’Italia sulle posizioni Ue, le relazioni tra Usa e Cina sono fondamentali. Non meno complesso il discorso sul fronte del Fondo per il clima: rimangono irrisolte molte delle funzioni principali dell’organismo, e soprattutto la questione delle regole e della gestione. L’obiettivo rimane quello di contenere l’aumento della temperatura media globale entro i 2 gradi, o addirittura a 1,5. La vera speranza e’ che Durban possa essere un trampolino di lancio per Rio+20, il meeting mondiale che si terra’ a giugno in Brasile in occasione dei 20 anni dell’Earth summit dove per primi si punto’ su quella che poi sarebbe stata definita ‘green economy’. Intanto proprio dal Sud Africa, tra le terre piu’ sensibili ai cambiamenti climatici (per esempio la zona subsahariana e’ ritenuta un hot spot, da siccita’ a emergenze umanitarie), i negoziatori di Paesi come le piccole isole del Pacifico – per esempio, Tuvalu e Kiribati – promettono battaglia se non si giungera’ a un risultato concreto, e pensano gia’ a una protesta in stile ‘Occupy Wall Street’, a questo punto facendola propria in ‘Occupy Durban’.

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