La frana di Cavallerizzo (Cerzeto, Cosenza): aspetti e problematiche

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L’abitato di Cavallerizzo, una piccola frazione del Comune di Cerzeto (Cosenza) è franato il 7 marzo 2005, a seguito di piogge intense e prolungate, con una destabilizzazione in fasi successive di ammassi instabili e contigui che alla fine ha prodotto una grande frana, complessa e composta, del tipo scoscendimento-colata. Il primo franamento di consistenti dimensioni ha avuto funzione di innesco ed è iniziato circa alle ore 2 del mattino dello stesso giorno su una limitata porzione di versante particolarmente instabile, già nota per la sua elevata pericolosità ed in fase di rottura progressiva. Il processo di destabilizzazione si è quindi sviluppato su un’area molto più vasta, mobilizzando corpi franosi preesistenti, per un totale di circa 5milioni di mc. La frana di innesco era delimitata da due nicchie, ben riconoscibili sul terreno per l’abbassamento del piano stradale attraversante l’abitato; abbassamento che era grossolanamente stimabile in 50-100cm e le cui prime segnalazioni storiche risalivano al 1945-50. La frana è stata preceduta, a partire da metà febbraio, da fenomeni precursori e da colate di fango superficiali e diffuse ai piedi dei versanti instabili; mentre la fase parossistica è durata uno-due giorni (7-8 marzo) ed è stata seguita per almeno un mese da movimenti lenti e retrogressivi.

Le fasi premonitrici (così come l’evoluzione dei movimenti franosi a partire dal 1999), sono state dettagliatamente documentate e monitorate dal CNR; consentendo in tal modo un tempestivo allertamento (già dal giorno 1 marzo) ed un controllo passo-passo del processo di rottura, basati su valori-limite della velocità. E’ anche grazie a tale monitoraggio che non ci sono state vittime tra la popolazione locale, per lo più abituata a convivere con la frana e conseguentemente incline a sottovalutare il pericolo. Il calcolo a posteriori del momento atteso per il collasso con i metodi esistenti in letteratura mostra come questi ultimi siano meno tempestivi ed efficaci rispetto a quelli basati sui limiti di velocità. La franosità dell?area era stata oggetto di limitate indagini; ivi incluso uno controverso progetto di consolidamento. I monitoraggi eseguiti dal CNR dopo il 1998 e le indagini condotte dallo stesso dopo l’evento franoso per conto della Protezione Civile Nazionale hanno completato il quadro delle conoscenze e chiarito alcune problematiche geologiche che erano rimaste insolute. L’abitato, fondato intorno al 1600, è ubicato sul relitto di un corpo di frana antico, dello spessore di 50-60m: un consistente scoscendimento di rocce metamorfiche su argille messiniane postorogene. Il corpo di tale frana è costituito da metabasiti cataclastiche (detrito e blocchi ad abbondante matrice sabbiosa grossolana), contenenti a tratti – soprattutto in posizione basale – lenti di filladi e metaradiolariti argillificate; esso è stato quindi ricoperto da una consistente coltre di depositi pedemontani olocenici (10-12m di detriti ad abbondante matrice sabbioso-limosa di colore rossastro).

Tutti questi ammassi sono stati a loro volta interessati da successive dislocazioni, che li hanno ulteriormente scompaginati ed avanzati verso i fondo-valle, dove l’erosione incanalata ne ha messo a nudo le propaggini. Lo studio è stato supportato da un’indagine storica che ha permesso di ricostruire i fenomeni franosi degli ultimi secoli e da cui risulta un quadro di diffuso e ricorrente dissesto territoriale. La franosità dell?area è caratterizzata dalla sovrapposizione spazio-temporale di diverse tipologie franose; in particolare sono state riconosciute nell?area in esame tre diversi meccanismi franosi: A) gravitativi profondi di versante, in lenta e continua deformazione, connessi con l’attività tettonica; B) mediamente profondi, per scoscendimento-colata di masse detritiche, prodotte dai sollevamenti delle falde acquifere in cui le stesse sono immerse; C) superficiali, di coltri alterate, essenzialmente per colata e prodotte da processi di saturazione per piogge prolungate e/o intense. L’assetto geologico-strutturale è caratterizzato dalla presenza della faglia regionale Nord-Sud che mette in contatto le unità cristalline della Catena Costiera con le formazioni argillose postorogene della Valle del Crati. Lungo tale faglia è presente una consistente fascia di metamorfiti cataclastiche altamente permeabili, della larghezza di un centinaio di metri, che drena ingenti quantità d’acqua e determina notevoli sottospinte, al contatto dei depositi postorogeni. Nell?area in esame, in particolare, la predisposizione idrogelogica è prodotta da due dislocazioni normali alla predetta faglia, che di fatto determinano l?incasso di una sequenza a permeabilità inversa ed un acquifero confinato lateralmente; quest?ultimo passa in continuità nella fascia cataclastica della faglia, trasferendosi in parte in profondità ed in parte nelle cataclasiti dislocate su cui è costruito l?abitato.

Le cataclasiti mostrano permeabilità estremamente elevata e pessime proprietà meccaniche (specialmente alla base, dove si trovano lenti di radiolariti argillificate e filladi, e su cui agiscono le sottospinte idrauliche che hanno origine dalla fascia cataclastica). Tutto ciò determina l?instabilità del corpo di frana antico nel suo complesso, ma soprattutto dei versanti più prospicienti agli assi vallivi, sia a Nord (dove l?ultimo movimento franoso risale al 1935–40) che a Sud (eventi significativi nel 1635, 1720, 1758, 1827). Le oscillazioni stagionali della falda prima dell?evento franoso erano di circa 1-2m ed i suoi livelli nel 1999-2000 erano simili a quelli del 1982; mentre negli ultimi anni si osservava un loro leggero sollevamento, con un picco nel maggio del 2004 e con forti ed anomali valori nel marzo 2005.

SUMMARY

La frana dell’abitato di Cavallerizzo, una piccola frazione del Comune di Cerzeto (Cosenza, Calabria) è franato il 7 marzo 2005, a seguito di piogge intense e prolungate, con una destabilizzazione in fasi successive di ammassi instabili e contigui che alla fine ha prodotto una grande frana, complessa e composta, del tipo “scoscendimento-colata”. Il primo consistente franamento ha avuto funzione di innesco ed è iniziato circa alle ore 2 del mattino dello stesso giorno su una limitata porzione di versante particolarmente instabile, già nota per la sua elevata pericolosità ed in fase di rottura progressiva. Il processo di destabilizzazione si è quindi sviluppato su un’area molto più vasta, mobilizzando corpi franosi preesistenti, per un totale di circa 5milioni di mc. La frana di innesco era delimitata da due nicchie, ben riconoscibili sul terreno per l’abbassamento del piano stradale attraversante l’abitato; abbassamento che era grossolanamente stimabile in 50-100cm e le cui prime segnalazioni storiche risalivano al 1945-50. La frana, a partire dalle sue fasi premonitrici, è stata dettagliatamente documentata e monitorata dal CNR, consentendo in tal modo un tempestivo allertamento (già a partire da giorno 1 marzo) ed un controllo passo-passo del processo di rottura, basato su valori-limite della velocità; ragion per cui non ci sono state vittime tra la popolazione locale. Il calcolo a posteriori del momento atteso per il collasso con i metodi esistenti in letteratura mostra come questi ultimi siano meno tempestivi ed efficaci rispetto a quelli basati sui limiti di velocità. La franosità dell?area era stata oggetto di limitate indagini; ivi incluso uno controverso progetto di consolidamento.

I monitoraggi eseguiti dal CNR dopo il 1998 e le indagini condotte dallo stesso dopo l?evento franoso per conto della Protezione Civile Nazionale hanno completato il quadro delle conoscenze e chiarito alcune problematiche geologiche che erano rimaste insolute. L?abitato, fondato intorno al 1600, è ubicato sul relitto di un corpo di frana antico, dello spessore di 50-60m: un consistente scoscendimento di metamorfiti cataclastiche su argille messiniane postorogene. L?area è caratterizzata da un diffuso dissesto territoriale, con la sovrapposizione spazio-temporale di diverse tipologie franose. Lo studio è stato supportato da un?indagine sui dissesti del passato, che ha permesso di ricostruire il quadro morfodinamico dei fenomeni franosi degli ultimi secoli. L’assetto geologico-strutturale è caratterizzato dalla presenza della faglia regionale Nord-Sud che mette in contatto le unità cristalline della Catena Costiera con le formazioni argillose postorogene della Valle del Crati. Lungo tale faglia è presente una consistente fascia di metamorfiti cataclastiche altamente permeabili che sono sede di importanti acquiferi. Nell?area in esame, in particolare, due dislocazioni normali alla predetta faglia regionale, determinano un acquifero confinato che passa in continuità nei detriti su cui è costruito l?abitato (aventi pessime proprietà meccaniche, specialmente in corrispondenza delle lenti di radiolariti argillificate di base e su cui agiscono le sottospinte idrauliche che hanno origine dalla fascia cataclastica). Ciò determina l?instabilità del corpo di frana antico nel suo complesso, ma soprattutto dei versanti più prospicienti agli assi vallivi, sia a Nord (dove l?ultimo movimento franoso del 1935-40 è una rimobilizzazione della frana del 1903) che a Sud (dove sono documentati significativi eventi nel 1635, 1720, 1758, 1827).

PREMESSA

L’abitato di Cavallerizzo, una frazione di circa trecento abitanti del Comune di Cerzeto (Cosenza), il 7 Marzo 2005 è stato coinvolto in un vasto movimento franoso, che ha totalmente distrutto circa 30 fabbricati e ne ha danneggiati molti altri (figure 1 e 2). Per ragioni di sicurezza e su decisione della Protezione Civile Nazionale e della Regione Calabria, lo stesso abitato è stato completamente evacuato. La frana ha anche interrotto la strada provinciale SP19 e lambito l’acquedotto che fornisce la città di Cosenza; per quest’ultimo è stato necessario costruire un percorso alternativo di emergenza e quindi spostare definitivamente il suo tracciato. Vista la gravità dell’evento la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha dichiarato lo stato di emergenza e emanato l’ordinanza emergenziale n°3427 del 29/04/2005. La fase parossistica del movimento franoso, sviluppatasi in modo repentino nelle prime ore dello stesso giorno, non ha prodotto vittime, anche grazie al tempestivo allertamento e al controllo passo-passo del processo di rottura, basato sul monitoraggio della velocità della frana e di “valori-soglia” che erano stati trasmessi dall?IRPI –CNR all?Ufficio Tecnico comunale, già a partire dal 1 Marzo 2005.

Tale velocità è stata misurata in superficie ed in condizioni di emergenza sull?apertura della nicchia principale, con frequenza prima giornaliera e quindi oraria; al monitoraggio hanno partecipato soprattutto persone della comunità locale, istruite per far fronte alle specifiche esigenze. E? stato così possibile: evidenziare l?instaurarsi progressivo delle diverse fasi che hanno caratterizzato il processo di rottura; sensibilizzare la popolazione ad un atteggiamento attivo, con l?abbandono -in gran parte spontaneo- dell?abitato; sollecitare l?attenzione di alcuni residenti ai valori estremi di velocità di allarme. L?ultima fase, quella che ha segnato l?inizio del collasso, è iniziata alle ore 2 del mattino ed è stata annunciata dal provvidenziale suono delle campane di uno dei pochi abitanti rimasti nell?area più instabile (figura 1), ormai in un clima di generale evacuazione dell?abitato. Nel complesso la fase emergenziale che ha preceduto l?evento è stata gestita in sede locale senza il necessario coinvolgimento di tutti i soggetti istituzionalmente competenti, evidenziando quindi l?assenza di protocolli operativi condivisi a vario livello attraverso i quali disciplinare in maniera ordinata le fasi di attenzione, preallarme e allarme proprie di un piano di emergenza. Occorre sottolineare come all?assenza di tali protocolli abbia contribuito il quadro sociale, normativo ed ambientale esistente ma ciò non deve nascondere il fatto che i problemi relativi all?installazione di efficaci sistemi di allertamento possono essere superati, almeno per la gran parte delle frane, grazie al progresso tecnologico e della conoscenza. Disastri come il Vajont oggi non sono più tollerabili e l?esperienza di Cavallerizzo lo riconferma. In questo quadro il CNR ha dato un contributo sostanziale, evidenziando la problematica e progettando, già parecchi anni or sono, reti prototipali di sorveglianza e logiche di allertamento comparate alle diverse tipologie franose [RIZZO, 1990].

La franosità dell’abitato era già stata oggetto di tesi di dottorato dell’UNICAL nel 1982-83 [MONGIOVI, 1982] e di successive indagini comunali, nel 1998-99; queste ultime finalizzate all’esecuzione di interventi sistematori [GUERRICCHIO, 1998], che erano stati visti come risolutori dal Commissario comunale pro-tempore. L’autore, chiamato ad esprimere un parere, in qualità di ricercatore del CNR-IRPI esperto in materia di rischio idrogeologico, per conto del Dipartimento di Protezione Civile Nazionale (DPCN), aveva evidenziato la pericolosità dei siti subito dopo l’evento del 7 marzo 2005 e la necessità di mantenere la frazione evacuata fino a studi più dettagliati sull’evoluzione del fenomeno . I risultati di un anno di indagini eseguite dal CNR-IRPI su incarico comunale, presentati ad un workshop locale il 16.09.1999, mostravano piani di scorrimento localizzati a circa 32m di profondità e livelli di falda (con relative oscillazioni) sostanzialmente invariati rispetto al 1982. Successivamente, pur in assenza di specifici incarichi ufficiali e conscio della pericolosità della frana, lo stesso CNR aveva seguito il processo franoso con saltuari monitoraggi inclinometrici e piezometrici, evidenziando nel Maggio del 2004 livelli della falda acquifera anomali e superiori ai massimi livelli storici. A metà Febbraio 2005, a seguito di una stagione di piogge intense e prolungate, venivano osservati una serie di segni preoccupanti. Per cui si intensificava l’attenzione e, alla fine di Febbraio, venivano avviati monitoraggi di emergenza in superficie (alternativi a quelli inclinometrici non più eseguibili). L’evento si è prodotto all’interno di un’area di studio, dove il CNR-IRPI di Cosenza sta applicando, nell’ambito di un progetto europeo interregionale, metodologie di interferometria differenziale satellitare per valutazioni di pericolosità delle frane [RIZZO, 2006]. Immediatamente dopo l’evento la Protezione Civile Nazionale e la Regione Calabria hanno avviato ulteriori indagini, di cui si è fatto carico il CNR (in qualità di Centro di Competenza del DPCN), coordinate dallo scrivente e finalizzate alla valutazione della pericolosità di Cavallerizzo e dei paesi limitrofi, unitamente all’analisi di fattibilità di possibili aree di delocalizzazione dell’abitato (RIZZO, 2005; RIZZO et al, 2005; RIZZO et al, 2005).

INQUADRAMENTO GEOLOGICO – L’area su cui insiste l’abitato di Cavallerizzo è segnata da contatti tettonici Nord-Sud a carattere regionale, per faglie dirette subverticali, tra metamorfiti della Catena Costiera (metamorfiti di alta pressione e bassa temperatura, accostate dai sovrascorrimenti tettonici orogenici) ed argille post-orogene. La tettonica lungo tale struttura ha dato luogo ad estesi fenomeni distensivi, con notevoli dislocazioni subverticali e la messa in posto dei sedimenti argilloso-sabbiosi dei cicli sedimentari mio-pliocenici e plio-quaternari della Valle del Crati. L’area in esame è stata oggetto di diversi rilevamenti geologici e di un recente studio geostrutturale e geomorfologico di dettaglio (figure 3 e 4). In particolare, con riferimento alle metamorfiti della Catena Costiera [TORTORICI, 1982] sono riconoscibili, dal basso verso l’alto.

Filladi da grigio–scure a nerastre, omogenee e a scaglie minute, contenenti rare lenti di quarzo, di età giurassico–cretacica. Questi affioramenti sono riferibili all’Unità del Frido. In corrispondenza dell’abitato questo termine si trova a tratti accostato lateralmente a quello delle cataclasiti. In affioramento le filladi sono rappresentate da un sottile e discontinuo lembo alla base delle masse franate (corpo di frana relitta di figura 4).

Metabasiti riferibili all’Unità ofiolitica (nota anche come Unità di Diamante–Terranova), caratterizzata da litotipi metamorfosati in condizioni di alta pressione e bassa temperatura. Essa è localmente rappresentata da vari litotipi, tra cui argilliti silicee, calcari marnosi, metaquarziti, passanti verso l’alto a metaradiolariti, con colorazioni tipiche grigio–verdastre o violacee, intensamente alterate ed argillificate, di età giurassico–cretacica. Questo termine, dislocato insieme al precedente dai movimenti franosi e dalle faglie, affiora con diffusa struttura cataclastica, sia sul lato Sud che su quello Nord dell’Abitato. Nella parte centrale di quest’ultimo le strutture cataclastiche scompaiono, mostrando affioramenti poco fratturati (ammassi provenienti dai versanti soprastanti il “gauge” e dislocati per frana). Lo smembramento di questa formazione e la sua struttura cataclastica derivano quindi sia dal sovrascorrimento tettonico, ma soprattutto sia dalle dislocazioni gravitative sia dalla presenza della faglia regionale attiva. La cataclasite, per lo più altamente permeabile per fatturazione e notevolmente alterata, possiede caratteristiche meccaniche pessime ed è il termine più scadente della sequenza.

Calcari metamorfosati, sottilmente interstratificati con livelli metacalcarenitici, metaarenaci e subordinatamente con marne argillose fogliettate, di età cretacica inferiore; costituite da rocce originariamente di ambiente neritico e poggianti sulle unità precedenti, localmente rovesciate. Queste rocce hanno caratteristiche meccaniche discrete, ma sono altamente permeabili per fratturazione; per cui, insieme alle metamorfiti cataclastiche, danno origine ad importanti acquiferi sulle formazioni impermeabili (filladiche e/o argillose) sottostanti.

Con riferimento alle unità postorogene sono riconoscibili, dal basso verso l’alto:

Gessi e gessareniti massivi, microcristallini, di età messiniana. Argille ed argille–marnose, di colore grigio scuro, ricche in montmorillonite ed altamente plastiche; fortemente scagliettate e caoticizzate; contenenti a tratti livelli arenaci o gessarenitici, di età messiniana.

Le sequenze messiniane hanno uno spessore alquanto ridotto e sono accostate bruscamente (per tettonica o spinte gravitative laterali) ai termini alti dell?ultimo ciclo sedimentario. Argille e argille siltose, di colore grigio–azzurro, più compatte ed omogenee delle precedenti, plio–quaternarie. Arenarie, sabbie e calcareniti fossilifere, di età plio–quaternaria, in passaggio graduale dalle argille sottostanti. Depositi eluvio–colluviali, pedemontani, ad abbondante matrice sabbiosa, di colore bruno-rossastro, dell?Olocene. Il contatto di faglia tra metamorfiti della Catena Costiera e depositi postorogeni (“master fault”) è segnato da un?ampia fascia, della larghezza di circa un centinaio di metri, ad andamento subverticale, di ammassi metamorfici altamente fratturati (fascia di “gauge”, rappresentata da miloniti e/o cataclasiti) che costituiscono importanti vie di filtrazione (figura 5) e dove si producono elevati carichi idraulici anche a notevole profondità, come già segnalato in altri lavori [RIZZO & BOZZO, 1998]. Lungo la faglia regionale, tali ammassi si trovano spesso dislocati per gravità sulle argille messiniane e sepolti sotto i depositi pedemontani del Pleistocene superiore-Olocene. Si tratta di frane relitte, di cui si hanno esempi documentati anche non lontano dell0area in esame [RIZZO et al., 2005]. In alcuni casi le faglie attive staccano cunei del margine orientale del cristallino che, laddove esistono condizioni geomeccaniche e strutturali favorevoli, sono spinti da movimenti gravitativi profondi contro ed al di sopra degli ammassi argillosi del ciclo postorogeno messiniano, ubicati immediatamente a contatto. A seguito di tali spinte gli stessi ammassi argillosi sono spesso verticalizzati in prossimità del cristallino. Si determinano in tal modo, lungo la fascia cataclastica e di dislocazione tettono-gravitativa, notevoli acquiferi, con azioni di sottospinta sugli ammassi a valle ed elevate pressioni interstiziali; ovvero situazioni idrogeologiche predisponenti ad una instabilità complessa dei versanti, sia superficiale che profonda. Una situazione di questo tipo è presente a Cavallerizzo, dove i metacalcari sono spinti da un creep gravitativo sulle formazioni plastiche ed impermeabili sottostanti (filladi e metabasiti), per cui essi si trovano in posizione avanzata verso Est rispetto al generale andamento Nord–Sud delle formazioni cristalline, spingendo e verticalizzando le limitrofe argille messiniane. La struttura che ne deriva, confermata anche da una analisi morfostrutturale, sarebbe di tipo cuneiforme (Struttura Cuneiforme di Assestamento Gravitativi o “SCATG” [IOVINE et al., 2005]. Tale movimento è pilotato da una dislocazione tettonica verticale dello stesso cuneo lungo due piani sub-paralleli, ad andamento Est–Ovest (a Nord e a Sud dell?abitato), che ha incassato la serie e favorito la formazione di un consistente acquifero (figura 3); quest?ultimo si trova in tal modo intrappolato dentro i metacalcari, è confinato lateralmente e alla base dalle formazioni filladiche ed alimenta con un discreto carico idrico la sottostante zona di “gauge”, estremamente permeabile. Quindi, a partire dalla faglia principale tale acquifero permea verso valle, diffondendosi nei depositi detritici pedemontani e nelle cataclasiti dislocate sulle argille postorogene su cui è costruito l?abitato di Cavallerizzo, perdendo continuità solo nei settori più distali (figura 5).

Tra il 1982 ed il 1998 sono stati eseguiti nell?Abitato di Cavallerizzo diversi sondaggi, alcuni dei quali sono stati attrezzati a piezometro ed inclinometro. I sondaggi eseguiti nel 1982 (tre piezometri) e quelli del 1998 (tre inclinometri e due piezometri) mostravano spessori consistenti di detrito (da 20m a oltre 50m), ed in taluni casi raggiungevano il substrato di argille post-orogene. La parte sommitale del detrito, dello spessore massimo di 12m, osservabile anche in affioramento, si differenziava nettamente per colore (color tabacco) da quello più profondo e presentava caratteristiche composizionali e tessiturali tipiche di un deposito eluvio-colluviale. Sia negli studi del 1982 che in quelli del 1998, il deposito detritico nel suo complesso veniva indicato come una copertura detritica, e veniva ascritto erroneamente ad un antico conoide di deiezione” (GUERRICCHIO, 1998; MONGIOVI, 1982). In realtà la coltre detritica sottostante la copertura eluvio-colluviale, messa a nudo dal movimento franoso del Marzo 2005 e sottoposta ad una rivisitazione dei ritrovati resti di carotaggio dei sondaggi del 1998, mostra chiaramente di essere costituita in toto da metabasiti cataclastiche, con tipiche colorazioni violetto, grigio-verde, più raramente giallastre, dislocate in massa sulle argille postorogene (figura 6); l?estrema fratturazione, connessa con le dislocazioni della formazione, è associata a piani striati in masse altamente alterate e argillificate, aventi pessime caratteristiche geotecniche (tabella 1). Non si notano né elementi di formazioni diverse da quelle riferibili alle metabasiti, né materiale riferibile ad una matrice di natura diversa. Si tratta quindi di metamorfiti cataclastiche, provenienti prevalentemente dalla fascia di gauge, le quali sono state ulteriormente destrutturate dai processi gravitativi che le hanno dislocate sulle argille postorogene. A tratti, soprattutto alla base del materiale dislocato, sono presenti blocchi di metamorfiti e/o lembi di radiolariti e filladi.

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