Oggi, dopo 8 giorni, vogliamo tornare a quel 4 novembre 1966 per dare il giusto risalto alla memoria di un evento drammatico che ha segnato la storia d’Italia. Lo facciamo grazie al preziosissimo contributo di Giampiero Petrucci, studioso e appassionato di fenomeni meteorologici estremi e collaboratore di MeteoWeb.
1) UN’ECCEZIONALE CONCOMITANZA DI EVENTI METEO
L’alluvione di Firenze del 1966 ha prodromi significativi nella situazione meteorologica globale del mese di Ottobre. Nei quaranta giorni precedenti il fatidico 4 Novembre si verifica infatti un anomalo eccesso di raffreddamento sulle zone artiche accompagnato da un forte riscaldamento sulle regioni subtropicali. Le statistiche trentennali delle temperature medie mensili registrano un calo di circa cinque-sei gradi sulle regioni più settentrionali ed un corrispondente aumento di circa quattro gradi alle nostre latitudini, nonostante una certa piovosità. Inoltre le acque del Mare Tirreno aumentano di circa due gradi la loro temperatura media, sempre raffrontata su arco trentennale.
Questa situazione termica generale, certamente anomala e rara, implica successive forti oscillazioni delle correnti occidentali ed intensi scambi termici tra Nord e Sud Europa, caratterizzati da grandi irruzioni di aria fredda nel Mediterraneo, con la tendenza allo sviluppo di una certa “normalizzazione” ed il ripristino di condizioni, per così dire, meteorologicamente più “normali” in relazione al periodo autunnale. In sostanza, si pongono le basi per il verificarsi di fenomeni violenti, se non addirittura estremi.
Stanno dunque per scontrarsi l’aria fedda proveniente dall’Artico e quella calda del Nord Africa: le due masse d’aria si svorappongono (la fredda in quota, la calda al suolo) quasi perfettamente in asse ed ovviamente entrano in collisione tra loro con differenze di temperatura notevoli, al limite dell’eccezionalità. E si scontrano proprio sulla penisola italiana che, al centro del Mediterraneo, subisce gli effetti disastrosi di questa perturbazione violentissima: l’Italia risulta soggetta a piccoli ma intensissimi vortici ciclonici, di breve durata ma localmente violentissimi, con minimi di pressione intorno a 996 millibar (vedi Fig. 2).
Nella Fig. 2 si possono notare quattro mini-vortici, quasi allineati da Sud a Nord: uno nel Tirreno Meridionale, tra Sardegna e Sicilia; un altro tra Alto Tirreno e Mar Ligure (quello che poi genererà l’alluvione di Firenze); il terzo al centro della Pianura Padana ed il quarto sulle Alpi Orientali. Questi mini-vortici provocano venti meridionali fortissimi associati a precipitazioni di eccezionale intensità, soprattutto nel centro-nord della penisola dove la perturbazione persiste in maniera più duratura e con effetti più devastanti.
Ciò è legato soprattutto alla disposizione orografica e geografica dell’Appennino Settentrionale in rapporto alla direzione delle correnti. Le masse di aria calda al suolo, provenienti da Sud, vengono convogliate tra l’Appennino ad Est e le masse fredde ad Ovest. In sostanza rimangono schiacciate in una sorta di “canale ad imbuto”, una specie di strozzamento, che le costringe a superare forzatamente i rilievi orografici. Nella loro risalita forzata dell’Appennino queste masse calde si raffreddano velocemente, perdono l’enorme quantità di vapore acqueo presente al loro interno e scaricano notevoli quantità di pioggia sui rilievi toscani. Quando poi le masse d’aria fredda al seguito della perturbazione raggiungono le coste della Versilia, per le masse calde non c’è più via d’uscita ed il fenomeno raggiunge il suo parossismo.
Dunque, in conclusione, non esiste una causa specifica o peculiare dell’alluvione quanto piuttosto una serie di concause, fondamentalmente meteorologiche ma anche orografiche e geografiche. Non è eccezionale il verificarsi di ciascuna di queste singole concause quanto piuttosto il loro esplicarsi in maniera simultanea ed in modo così repentino e violento. Le temperature insolitamente alte del mese di Ottobre, la piovosità dell’ultima decade del mese, la formazione ed il movimento veloce del vortice ciclonico sulla Groenlandia saldatosi poi a quello del Golfo di Guascogna, il sovrapporsi dell’aria fredda in quota sull’aria calda al suolo proprio in corrispondenza dell’Italia, lo strozzamento delle masse di aria calda contro l’Appennino Tosco-Emiliano, hanno determinato fortissimi eventi piovosi, estremi ed eccezionali. Condizioni talmente eccezionali che non si sono più riverificate, almeno in maniera così violenta e simultanea, negli ultimi quarantatre anni.
2) PRECIPITAZIONI ECCEZIONALI SU BACINI SATURI
Oltre che caratterizzato da temperature medie al di sopra della norma, il mese di Ottobre 1966 fu contraddistinto da precipitazioni persistenti e quantitativamente significative soprattutto al centro-nord della nostra penisola, in particolare nella sua ultima decade. Su tutto il territorio nazionale le statistiche pluviometriche assegnano una valore medio mensile di 214 mm, pari addirittura al 188% della norma: valore dunque nuovamente anomalo ed eccezionale. In Toscana, soprattutto nel bacino dell’Arno e del Serchio oltre che nei dintorni di Siena ed Arezzo, tale percentuale supera il 200% ed in aree particolarmente ristrette sfiora perfino il 300%, soprattutto in corrispondenza dell’ultima decade di Ottobre. E’ evidente dunque che le falde sotterranee ed i bacini imbriferi siano sostanzialmente saturi ai primi di Novembre e che la possibilità di ritenzione di nuove piogge sia alquanto scarsa. Fra tutte quelle viste prima, è questa forse la concausa principale dell’alluvione.
Le precipitazioni si svilupanno a partire dalle prime ore del 3 Novembre, intensificandosi gradualmente e divenendo persistenti intorno alla tarda mattinata. Si tratta di piogge forti, estese, continue, intense, spesso violenti nubifragi che durano fino alle 14 del giorno seguente, con due nuclei di maggiore intensità ben definiti: il primo dalle 17-18 alle 21-22 del giorno 3, il secondo dalle 9-10 alle 12-13 del giorno 4. In Toscana cade una media di 200 mm di pioggia. Esistono però valori massimi ben superiori: nella parte settenrionale, nell’alta valle del Bisenzio, in località Gavigno, cadono 344.5 mm mentre a Sud, nella valle dell’Ambra, si raggiunge il valore massimo assoluto con 437.2 mm, a Badia Agnano. Nella valle dell’Arno le maggiori concentrazioni si sviluppano generalmente nel tardo pomeriggio del 3 Novembre (solo lungo la Sieve i massimi si raggiungono nelle prime ore del 4 Novembre) mentre i valori giornalieri rapportati ai precedenti valori analoghi del periodo superano del 200% qualsiasi altra precipitazione riscontrata nel passato. Valore già di per sè notevole, ma che diventa eccezionale se considerato in funzione della vastità dell’area interessata, estesa dalla Maremma all’Appennino Pistoiese. Un dato in particolare testimonia perfettamente la situazione: in diverse località (Badia Agnano, Batignano, perfino il capoluogo Grosseto) la sola quantità di pioggia giornaliera caduta il 4 Novembre è maggiore del valore massimo precedentemente riscontrato relativo ad un periodo di cinque giorni consecutivi.
3) BREVE CRONACA DI UN’ALLUVIONE
Nel primo pomeriggio l’Arno cresce ancora, la temperatura subisce un brusco aumento che provocherà lo scioglimento delle nevi in montagna, qualcuno tra le forze dell’ordine ed i militari inizia ad essere preoccupato. Si telefona a Roma, al Ministero dell’Interno, che però rassicura tutti: “State calmi e tranquilli, nessun pericolo”. No, nessun pericolo. Almeno per ora.
Ma nella serata del 3 Novembre il pericolo si dimostra in tutto il suo fulgore. Nel Mugello straripa la Sieve e tutto il Valdarno è a forte rischio esondazione. Alle 23 le campagne sono allagate, centinaia di persone si rifugiano sui tetti delle abitazioni. Da Firenze parte un centinaio tra Vigili del Fuoco e Carabinieri per prestare i primi soccorsi. Non si ha ancora chiara la percezione di quanto accaduto, ma in città comincia l’allarme: iniziano le chiamate ai Vigili del Fuoco, decine di cantine sono allagate, la pioggia non accenna a diminuire. L’Arno è sempre più gonfio e continua ad ingrossarsi.
La notte è drammatica, tragica. Intorno all’una l’Arno straripa in località La Lisca, a Lastra a Signa: vengono così interrotte le comunicazioni tra Firenze ed Empoli. Firenze è tutta sui Lungarni, Sindaco (Piero Bargellini) compreso. Qualcuno vorrebbe suonare le campane, come si usava al tempo dei Comuni, per dare l’allarme. Invece non si fa niente, si spera che tutto passi. Verso le due straripa il torrente Mugnone e Le Cascine vengono inondate: settanta cavalli dell’Ippodromo muoiono affogati così come allo zoo capita al famoso dromedario Canapone. L’acqua è sempre più alta, le fogne esplodono, i quartieri di Gavinana e Santa Croce sono i primi ad essere sommersi.
Dalle 4 in poi è il caos totale. L’Arno supera le spallette, prima nella zona del Lungarno Cellini, poi sul Lungarno Accioli ed alle Grazie. Niente e nessuno può più fermare l’acqua, anzi il fango e la melma che si riversano anche nel centro storico. Poco prima delle 7 è allagata anche la Biblioteca Nazionale Centrale assieme al quartiere di Santa Croce ed alla tipografia del quotidiano “La Nazione”. Alle 9 l’immagine più emblematica della tragedia: il fango irrompe in Piazza del Duomo dove la celebre “Porta del Paradiso” del Battistero viene spalancata dalla furia delle acque e le formelle del Ghiberti volano ognidove. Il fango entra anche a Palazzo Vecchio dove il Sindaco tenta inutilmente di coordinare i primi aiuti. In alcune zone della città il livello delle acque tocca addirittura i sei metri. Se mai vi capitasse di passare in centro a Firenze, non dimenticate di guardare le facciate dei palazzi: in diversi casi potrete notare le lapidi e le iscrizioni poste a perenne ricordo e monito dell’alluvione, con l’indicazione del livello raggiunto in quel punto dal fango. Si calcola in circa 250 milioni di mc la quantità d’acqua totale riversatasi su Firenze nell’evento alluvionale e si stima tra i 4000 ed i 4500 mc/sec la portata dell’Arno al momento dell’esondazione.
Trentaquattro furono le vittime accertate ufficialmente, tra molte polemiche, di cui la metà nella sola Firenze. Numerosi, come sempre, gli eventi tragici e commoventi. Primo fra tutti quello dell’anziana Elide Benedetti, inferma in carrozzina. Alcuni Carabinieri tentarono di salvarla, ma non vi riuscirono per la furia delle acque. La legarono alle travi in alto, sul soffitto del pianterreno, poi andarono a cercare ulteriori aiuti, lasciandola sospesa sulla sua carrozzina. Non fecero in tempo: al loro ritorno la sfortunata anziana era stata sommersa dalle acque. Carlo Maggiorelli invece lavorava presso l’Acquedotto dell’Anconella, al turno di notte. Un giornalista gli telefonò per conoscere la situazione, lui rispose ma proprio in quel momento venne travolto dalle acque che entrarono nella sede di lavoro. Una morte in diretta.
In tanta tragedia e caos ci fu, come sempre, chi si rimboccò le maniche senza piangersi addosso. I danni al patrimonio artistico di una delle città più belle del mondo furono enormi. Gli Uffizi, migliaia di libri della Biblioteca Nazionale, il Cristo di Cimabue, le formelle del Ghiberti vennero gravemente danneggiati. Ma a Firenze affluirono rapidamente da tutto il mondo migliaia di giovani, i famosi “angeli del fango”, che contribuirono, ben guidati dalle autorità locali tra cui si segnalò il Soprindente Ugo Procacci, a salvare i preziosi cimeli. Un indimenticabile esempio di solidarietà, un riferimento per tutti noi.
4) L’ALLUVIONE PUO’ TORNARE?
Molto è stato fatto, altro si può e si deve fare. La prima opera di rilevanza, apparsa per molti versi fondamentale, fu il completamento del cosiddetto “scolmatore”, un canale artificiale che parte a Pontedera e finisce a Calambrone (nei pressi Livorno), in grado di alleggerire la portata dell’Arno, però soltanto a valle di Firenze ed oggi (causa scarsa manutenzione) oltre tutto parzialmente interrato. Vennero poi eseguiti lavori per la maggiore messa in sicurezza del Ponte Vecchio e del Ponte Santa Trinita, si rialzarono le spallette dei Lungarni. Ciò probabilmente poteva non essere sufficiente se si fossero riverificate le condizioni eccezionali del 1966.
Nuovo, necessario, impulso alla salvaguardia del territorio venne nel 1990 dalla costituzione dell’Autorità di Bacino del Fiume Arno che sviluppò un interessante Piano di Bacino, rimasto però sulla carta per mancanza di finanziamenti. Questo tentativo è stato seguito dal cosiddetto PAI (Piano Assetto Idrogeologico) che analizza dettagliatamente la pericolosità ed il rischio idraulico sull’intero bacino, contribuendo fortemente all’indirizzo della programmazione urbanistica. Grazie agli accordi tra Stato e Regione, è stato possibile reperire i fondi necessari per l’avvio della messa in sicurezza delle situazioni più critiche le quali però sono state sanate solo in parte. I lavori comunque continuano e si deve essere fiduciosi anche se rimangono ancora diverse situazioni a rischio, soprattutto nell’alveo dell’Arno.
L’aspetto però fondamentale, opere idrauliche a parte, rimane il monitoraggio costante e continuativo che può ancora essere implementato: la mancanza di fondi però impedisce di allargare la rete di controllo. Il Sistema di Preannuncio, sviluppato dall’Autorità di Bacino, è comunque operativo tramite la Protezione Civile e si ritiene che le procedure di allerta siano compatibili anche con un’alluvione simile a quella del 1966.
Proprio qui però sta il punto. Può ripetersi un simile evento e soprattutto se si ripetesse, quali danni provocherebbe? Difficile rispondere anche perchè i pareri sono discordanti. L’evento meteorologico del 1966, per quanto eccezionale e raro, può ripetersi nel caso in cui le concause dovessero riverificarsi tutte contemporaneamente: nessuna però di queste concause può essere eliminata perchè la natura è incontrollabile e dunque la possibilità di un’altra alluvione disastrosa esiste, per quanto rara essa possa essere. Quasi impossibile quantificare i danni. Certo, la Biblioteca Nazionale è ancora là, sul Lungarno e con molti locali sotto il livello del fiume. In quarant’anni diverse zone allora disabitate od agricole hanno subìto intense trasformazioni, divenendo aree industriali o addirittura ad alta densità abitativa (Osmannoro, Campi Bisenzio). Un’altra alluvione esattamente uguale a quella del 1966 potrebbe addirittura provocare danni maggiori, soprattutto dal punto di vista economico (si stimano circa 20 miliardi di euro!) perchè le vite umane potrebbero essere salvate da un adeguato sistema di monitoraggio, preannuncio ed allarme. La prevenzione è iniziata ed è stata pure in parte sviluppata, ma probabilmente non è abbastanza. Si può, e si deve, fare di più. A Firenze come in tutta Italia.
Bibliografia e fonti essenziali:
- L’evento alluvionale del Novembre 1966, Commissione Interministeriale per lo studio della sistemazione idraulica e della difesa del suolo – Ministero dei Lavori Pubblici, Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste – Istituto Poligrafico dello Stato – 1969
- Autorità di Bacino del Fiume Arno, sito web: www.adbarno.it
- Quotidiano “La Nazione”, annata 1966
- Wikipedia, it.wikipedia.org