Difficile iniziare un articolo, quando le sensazioni che si provano sono molte e contrastanti. Si vorrebbero dire mille cose, ma si ha quasi la certezza che non sarà facile trasmetterle, perchè non sempre le parole sono di aiuto per esternare quanto si prova, ma ci proviamo.
Sono passati 965 lunghi giorni da quel terribile 6 aprile 2009, erano le 3:32 quando la terrà tremò e per L’Aquila tutto cambiò per sempre. Difficile dimenticare per chi come me si trovava non molto distante, ma possiamo solo immaginare che strazio possa essere stato per chi l’ha vissuto in prima persona.
Partiamo dalla Capitale alla volta dell’Abruzzo in una tiepida giornata autunnale di novembre. L’autostrada dei Parchi ci guida fra paesaggi autunnali e dopo poche decine di km ci si lascia alle spalle la rombante Capitale per entrare in un mondo quasi arcaico e naturale. Il sole ci segue. L’autostrada segue le vallate fra Lazio e Abruzzo, dove un tempo qui c’era un confine di Stato e dove nel Risorgimento c’era grande fermento fra chi in queste montagne trovava rifugio.
Sembra di fare un salto nel tempo e nonostante qui la Penisola sia veramente stretta in pochi km, sembra di aver viaggiato per molto a lungo. I pannelli autostradali segnalano nebbie, non è raro nei periodo autunnali fra le valli appenniniche, anche se sembra difficile crederci vista l’intensità del sole.
L’Aquila – Ovest, 6 km, e si inizia a scorgere la conca in cui si trova la città abruzzese, e come una delle tante città del fondo valle delle Alpi è coperta dalla foschie mattutine. Il sole si nasconde quando usciamo per l’Aquila centro. La foschia sembra quasi voglia celare la ferita. Iniziamo a salire verso il centro storico ed inizia a sentirsi un nodo in gola, sono decide le case lesionate e puntellate. Sarà il cielo grigio, ma tutto è tristemente difficile da credere.
Lasciamo la macchina per entrare a piedi nel centro storico. E’ sabato è qualcuno c’è, qualcuno passeggia e qualcuno prende un caffè in qualche bar che ha riaperto appena fuori dal centro storico. Nel centro ci accoglie una città che sembra in guerra; gli Alpini, che qui sono di casa, presidiano gli ingressi delle vie del passeggio aquilano. Carabinieri, Polizia, Esercito, Vigili del fuoco sono queste le persone che si incontrano per le vie, ma anche qualche aquilano e qualche turista. Si proprio loro che forse attratti dalla curiosità possono dare una speranza, ma possono anche essere testimoni di quello che ancora si vede.
La cosa che più colpisce addentrandoci nelle vie del centro, oltre alla quasi totalità di case lesionate è il silenzio! Un silenzio assordante e incredibile. L’Aquila è una città fantasma. Qualche attività, soprattutto qualche bar ha comunque riaperto ed è questo l’unico segno che da speranza. Un bar nella centralissima Piazza Duomo, anch’essa deserta, che un tempo era il cuore pulsante della città, trasmette la radio all’esterno ed è questa musica che vuole essere un segno di rinascita. Tutto il resto serrande sbarrate dove tutto si è fermato a quel 6 aprile. Il paesaggio è inquietante e questo è solo quello che si vede fuori dalla Zona Rossa, il resto possiamo solo immaginare.
Girando per le vie sono tanti i messaggi scritti su fogli e lasciati dagli Aquilani su alcune transenne, tanti messaggi colpiscono, in particolare quello che recita “Venite a vedere L’Aquila”. Una lettera straziante destinata a chi è di passaggio in questa città fantasma; la lettera invita a testimoniare quello che si è visto. Queste parole ci hanno spinto a scrivere questo pezzo.
Parlando con qualche commerciante del centro non si sa molto cosa dire alle loro testimonianze. Nonostante ci sia voglia di ripartire queste persone non vedono un futuro roseo. Si parla di depressione, di tasse da pagare, bollette ecc e la crisi certo non aiuta chi vuole ripartire. Per lo Stato ormai questi commercianti è come se lavorassero con le condizioni di un negozio in centro a Milano. Si incentiva (a parole) a tornare a riaprire, ma con quali soldi e con quale sostegno (anche solo quello morale)?
Si parla della velocità nel realizzare le case, quando la Protezione Civile, in deroga a qualsiasi legge realizzò in tempo record le abitazioni. Qualcuno rimpiange quei metodi. Ma ora? Ora oramai è nuovamente tempo di scelte politiche, l’emergenza è finita (così si crede da fuori), quindi la decisioni vengono prese con altri criteri ed entrano le lungaggini burocratiche e le bagarre politiche fra destra e sinistra. Triste, tutto molto triste.
Personalmente ho provato una strana sensazione quando ho visto circolare per il centro della città un auto blu scortata, probabilmente con qualcuno che le decisioni le prende, ma forse questi personaggi non sarebbe meglio che girassero a piedi per queste vie e toccare un pò più con mano? Sarebbe prima di tutto un segno di rispetto.
Il centro storico contava oltre 25.000 abitanti, oggi non ci abita più nessuno. Difficile prevedere quando si potrà tornare. Vedendo tutto quel disastro, saranno necessari anni e anni, qualcuno dice anche venti o più, ma chissà! La canzona recitava Domani è già qui, Domani è già qui, ma questo domani per l’Aquila non è ancora arrivato.
Lasciamo la città, passando per la devastata frazione di Onna, con un nodo alla gola e pensiamo che non sia giusto che ora i riflettori si spengano per questa città, perchè non serve a nulla tanto clamore iniziale per poi lasciare tutto al tempo che qui ormai pare non scorrere più.
Breve Clip: