Gli scienziati potrebbero aver trovato il più piccolo buco nero dell’universo, ascoltando il suo “battito cardiaco” a raggi X. Il buco nero, se esistesse davvero, peserebbe meno di tre volte la massa del Sole, essendo al limite della massa minima teorica richiesta per un buco nero stabile. I ricercatori non possono direttamente osservare l’oggetto, ma hanno misurato un aumento e la caduta nella radiazione X proveniente da un sistema stellare binario nella nostra Via Lattea, che pensano che segnali appunto la presenza di un piccolissimo buco nero. Sino ad ora questo modello a raggi X, che è simile a un battito cardiaco registrato su un elettrocardiogramma, è stato visto solo in un altro sistema. Questa sorta di radiografia simile al battito cardiaco umano, è stato misurato dalla navicella Rossi X-ray Timing Explorer (RXTE) della NASA, in un sistema stellare in direzione della costellazione dello Scorpione ad una distanza stimata tra 16 mila e 65 mila anni luce. I ricercatori pensano che questo sistema, chiamato ufficialmente IGR J17091-3624, includa una stella normale con un buco nero compagno. Il flusso di massa sarebbe spento da questa stella normale e dalla caduta verso il nero buco, formando un disco appiattito intorno ad esso. Il gas sarebbe riscaldato a milioni di gradi, e il disco sarebbe in grado di emettere ad alta energia di raggi X, tale da essere visto in tutta la galassia. Gli astronomi hanno riconosciuto il segnale da questo sistema a causa della sua somiglianza con un altro sistema chiamato GRS 1915 105, il quale emana impulsi più o meno allo stesso modo. L’altro sistema contiene un buco nero che pesa circa 14 volte la massa del Sole, e che emette raggi X in modelli altamente strutturati che durano tra i secondi e le ore. In confronto, il sistema appena osservato ha un battito del cuore che pulsa 20 volte più debolmente rispetto a GRS 1915. “Così come la frequenza cardiaca di un topolino è più veloce di quella di un elefante, i segnali provenienti dai buchi neri variano a seconda della loro massa“, ha detto Diego Altamirano, un astrofisico presso l’Università di Amsterdam nei Paesi Bassi e autore di un articolo, i cui risultati sono stati pubblicati nel numero del 4 Novembre dell’Astrophysical Journal Letters.